Keaton Henson torna a esplorare paesaggi, luoghi e storie quotidiane con il solo ausilio della musica e delle variazioni cromatiche di archi, tastiere e strumenti a fiato.
Non è la prima volta che il poeta, pittore e musicista inglese intercetta il nobile romanticismo della musica classica; è accaduto già due volte, con presupposti diversi ma con egual fulgore creativo.
"Somnambulant Cycles" è per alcuni versi speculare a "Six Letargies", progetto strumentale che esplorava paure, timori e ansie causate dalla depressione, ma anche un suggestivo esperimento live di elettrodermica (ovvero il monitoraggio dell'attività cerebrale degli ascoltatori con un apparecchiatura che traduceva le emozioni in luci).
Questa volta le emozioni e le suggestioni sono legate al riposo, al sonno e a tutti quei suoni che vibrano nella notte. Mentre "Romantic Works" funzionava da contrapposizione al clamore di "Birthdays", il nuovo album si pone in antitesi con l'album più estroverso dell'autore: il più recente "House Party".
Pubblicato da Mercury Classical (nuovo contratto o accordo transitorio?), "Somnambulant Cycles" si compone di quattordici brani che raramente superano la soglia dei quattro minuti. E' l'ennesimo transito da cantautore a compositore, un progetto terapeutico e profondo, un viaggio tra quei suoni e rumori che abitano il silenzio della notte, ingannevolmente percepiti come esclusivi: il vento tra i rami e le foglie, il fruscio delle coperte, il suono lontano di un motore, il passo greve della solitudine.
Su tutte queste sensazioni prevale comunque il silenzio, Keaton Henson lo cattura per un attimo con placide note di piano ("I Sat"), quasi a voler rimarcare l'attitudine di queste nuove composizioni alla quiete, al riposo e a quel piacevole dialogo con il subconscio che solo la notte può originare. In "Somnambulant Cycles", silenzio, tregua e solitudine sono stati emotivi in movimento, a volte impercettibili.
È evidente che questa dimensione sia più congeniale all'artista: le sonorità sono avvolgenti, ardenti, intense. Non stupisce dunque che il violoncellista Ren Ford sia tornato a collaborare con Henson: nessun altro sarebbe stato capace di srotolare con uguale forza le infinite trame strumentali di "And All At Once We Were Radiant". Organo ed echi cosmici trovano pace e ristoro nel dialogo tra piano e violoncello, per una delle pagine più belle dell'album.
Un ulteriore momento di magia è offerta dalla collaborazione con Daniel Herskedal in "Try", un brano in cui tromba e violino si dilettano con arie barocche spogliandole del superfluo fino a renderle surreali. Il musicista norvegese è altresì complice dell'altrettanto potente "Bleached", composizione dai toni minimali che permette ai musicisti di rievocare quegli immensi spazi vuoti dove pochi suoni riecheggiano come generati da un'orchestra.
Più che emozioni, sono vibrazioni quelle che Keaton Henson tramanda. E' evidente che ogni composizione ha una sua fonte d'ispirazione, ma non è importante che ci sia corrispondenza tra autore e astante. Il languido romanticismo di "Awake/Alive", il tono colloquiale di "Crows", il fascino onirico di "Sandwalking", le flebili interferenze elettriche di "Tokyo Laundry" e le tonalità ambient-classical di "Like Chalk" sono colonne sonore perfette per molteplici meditazioni.
Che sia il suono di una foglia cadente, il rimbombo sordo della neve o l'eco dei ricordi, non ha importanza. La musica di Keaton Henson è perfetta per qualsiasi attimo di raccoglimento e riposo, un linguaggio musicale graziato da una spiritualità universale. "Somnambulant Cycles" è uno dei pochi dischi del 2024 che non dimenticherete facilmente.
26/06/2024