Per chi ne segue le tracce dal lontano esordio di “Dear”, è stato subito evidente che con l’album “Monument” Keaton Henson avesse chiuso un capitolo, che una svolta pop fosse dietro l’angolo è stato tuttavia una sorpresa, anticipata in parte dal curioso progetto di cover “Keaton's Party Playlist”. La discesa negli inferi della pop music da parte del musicista inglese è dettata dalla sua volontà di raccontare se stesso da un punto di vista differente.
Allontanate le ombre oscure delle malattie mentali, superato il dolore per la perdita del padre, e dopo il matrimonio con Dani (da anni in relazione a distanza con lui) e il successivo trasferimento nel Sussex, Henson si affida al fascino fulmineo della composizione pop per raccontare il lungo cammino verso la serenità e la consapevolezza.
“House Party” è un disco volutamente sfacciato, giovanile, elaborato con l’aiuto di una squadra di collaboratori dal nobile curriculum - Matt Ingram (Laura Marling), Harry Deacon (Gaz Coombes) “Little” Barrie Cadogan (Edwyn Collins) e i co-produttori Luke Smith (Foals, Depeche Mode) e Fiona Cruickshank (Paul Weller, Dot Allison) - dichiaratamente ispirato dal songwriting di artisti come Randy Newman, Bob Seger, i Replacements, Jason Molina e Ry Cooder.
Di tanta sostanza, quel che resta è una versione alternativa del mondo lirico di Keaton Henson. Anche le pagine più tristi e inclini alla malinconia, come “Late To You”, possiedono una leggerezza che accarezza l’anima senza turbarla eccessivamente.
A trovar maggior giovamento è la particolare attitudine al romanticismo di Henson, una sensibilità che mette al servizio di una malsana storia d’amore nella languida “Two Bad Teeth” e della splendida ballata finale “Hide Those Feelings”, dove un lieve dubbio sembra riaffiorare quasi a mettere in discussione quanto raccontato nel resto dell’album.
L’operazione di rinnovamento e l’iniezione di briose trame pop non è esente da lievi cadute di tono, a turbare non è tanto la prevedibilità pop-soul di “Stay”, quanto l’inconsistenza di un brano come “Holiday”.
Ad onor del vero, Keaton Henson si dimostra all’altezza della sfida nell’elegante contaminazione britpop di “Envy” e nella densa “The Meeting Place”, due brani che ostentano una padronanza della materia pop-rock lodevole.
A tenere alto il livello qualitativo dell’opera sono comunque le canzoni più affini al passato: la mesta e mai ridondante malinconia di “The Mine” e la fragilità folk orchestrale di “Late To You” non aggiungono forse molto a quanto già noto del musicista inglese, ma sono sempre un bel sentire.
A dar man forte ai sostenitori di questo rinnovamento stilistico vengono ulteriormente in soccorso le stuzzicanti atmosfere alla Big Star di “I’m Not There” e la piacevole ruffianeria di “Parking Lot”, due canzoni che ne sottolineano ulteriormente l’abilità come autore.
“House Party” è un disco forse non del tutto a fuoco, ed è forte la sensazione che questo sia solo un anticipo di pagine future più avventurose ed eccitanti, nello stesso tempo è alquanto difficile liquidare questo nuovo lavoro dell’autore inglese come un semplice album di transizione, ai posteri l’ardua sentenza.
10/09/2023