Marracash

È finita la pace

2024 (Universal/Island)
hip-hop, conscious-hip-hop, pop-rap

E se ti sparassi, saremmo entrambi senza cervello

Quando il quadro delle principali uscite di hip-hop italiano del 2024 sembrava ormai definito nella sua indefinibilità, perché nessuno oggi può sognarsi di aver ascoltato anche solo un decimo di tutto quello che viene pubblicato quotidianamente online, ecco che arriva a sorpresa il ritorno di Marracash. L’album dopo il Premio Tenco, dopo la maturazione nei contenuti e dopo il riconoscimento del rapper come autore e musicista, non solo per gli impallinati di hip-hop. “È finita la pace” è un album che rischia di rimanere schiacciato dalle aspettative, tramortito dalle opinioni divergenti che ammorbano la rete in cui siamo tutti impigliati.
È l'album di un rapper di 45 anni che commenta il presente, dalla politica alla società passando per la musica, senza featuring, senza singoli di lancio, senza countdown sui social per fomentare l’hype. Se “Persona” (2019) è stata una rinascita, perché Marracash è sembrato finalmente capace di cambiare registro e approccio, “Noi, loro, gli altri” (2021) ha segnato un vertice difficilmente replicabile ed “È finita la pace”, più che provare a replicare e superare, scarta di lato, supera qualche confine e, occasionalmente, torna anche verso un linguaggio più semplice, diretto, muscolare. In questo suo approccio, che ovviamente ha scontentato chi si aspettava un album ancora più strutturato dei precedenti (ma non vi sono bastati?), Marracash non ha fatto che trovare la sua traiettoria evolutiva in un 2024 che ha palesato una certa stanchezza nella scena nostrana.

L’entusiasmante apertura con “Power Slap” è una cannonata con scampoli di elettronica distorta e un beat tribale dove Marracash mette in riga tutti i colleghi, parlando fuori dai denti, azzannando fuori dalle solite spacconate, raccontando delle storture del mercato e anche degli ascoltatori, pronti a premiare rapper senza idee né personalità.

Non cerco nostalgia e non inseguo i new (Yeah)
Remaster, remake, reunion, reboot
Ne abbiamo piene le palle
Le stesse marche, stessi designer
Stessi orologi, stesse vacanze
Stessi producer e stesse guest
Stessi argomenti, le stesse reference (Yeah)
Va bene così perché fanno tutti i platini (Mhm)
Premiati in TV, tutti bravi su esse Magazine

Chiaramente non si ferma alla scena e allarga al governo e il sistema, commentando i nuovi potenti e narrando un horror mai così realistico in “Crash”, amara e ansiogena su un beat degno del “Cult” di Noyz Narcos e Salmo.
Dopo due brani aggressivi, hardcore pur nella loro contemporaneità, arriva un pop-rap che, ancora una volta, vuole dire qualcosa della società e diventare persino un (anti-)inno per il suo pubblico: “Gli sbandati hanno perso” è una delle canzoni italiane dell’anno, di quelle che potrebbe resistere anche alla prova del tempo, nonché il suo modo di avvicinarsi a una “Quelli che benpensano” che insegue da molti anni e che qui avvicina (ma non eguaglia) senza imitare.
A quest'apertura da peso massimo segue un brano più lento e cantato, “È finita la pace”, che forse azzarda troppo e confida su doti interpretative che su questo fronte sono ancora da limare: una cosa era “ Love”, ma qua c’è troppo poco rap sostituito da una ballata corale che, probabilmente, renderà soprattutto live.

Si torna al linguaggio di “Noi, loro e gli altri” con la duplice “Detox/ Rehab” e nella dolente “Soli”, muovendosi sempre tra personale e collettivo.
Più originale il beat pestato e il flow pieno di pause di “Mi sono innamorato di un AI”, in scia al Kanye West più cyborg e quantomeno curioso il dub depresso di “Factotum”.
L'idea di opera-rap, che ha già praticato (e non inventato) ritorna nella dedica dolorosa “Vittima”, a contrasto con la più sfrontata e sboccata “Troi*”, una presa di posizione sul maschilismo nel linguaggio montata su una house meccanica e muscolare.

Dire 'playboy' non sarebbe lo stesso
'Casanova', 'dongiovanni', 'troia' lo rende meglio
Okay, non è amore di certo
Però siamo due persone, non è mai solo sesso

Se un brano cantato dev’essere, più della title track, sia “Pentothal”, una litania o lettera suicidaria, dal fondo dell’abisso.

Io non so dire mai la verità
Senza mentire
E la tua cura, sai, non fermerà
Le mie tossine
Io ti ho già detto la verità
Ma tu non vuoi sentire
Vuoi farmi un altro shot di Pentothal

Farà pensare i siti di gossip “Lei”, anche se è uno dei passaggi più deboli di un album che trova la chiusura in “Happy End”, a sancire la fine di un periodo della carriera di Marracash e, forse, anche un capitolo dell'ormai lunga storia dell’hip-hop italiano.

A chi vi scrive “È finita la pace” non sembra l’exploit che fu l’album precedente, perché il linguaggio e i temi sono già stati esplorati dal rapper, ma è comunque capace di suggerire nuove traiettorie, approcci differenti, idee che meritano ulteriore esplorazione. È una fine ma senza esaurimento, la conferma che su Marracash possiamo contare per ascoltare un hip-hop italiano ragionato e schierato, senza uscire dal genere o inerpicarsi in cervellotici intellettualismi o manierismi tecnici dietro al microfono. Più di molti altri, Marracash ha dimostrato di essere non solo rapper ma soprattutto un talentuoso musicista.

Il rap italiano
Che non sa più come dire
Che non sa più cosa dire
Ah, è finita la pace, è finita la pacchia
Come funziona l'industria
Un giorno sei Dio, il giorno dopo sei nulla
Dal matrimonio alla calunnia
Una fragile bolla che fluttua
Nessuno ha dato e fatto quello che ho dato e fatto, è un dato di fatto
Anche quando ho dato di matto, il messaggio
È che nessuno diventa qualcuno seguendo le orme di qualcun altro

01/01/2025

Tracklist

  1. Power Slap
  2. Crash
  3. Gli sbandati hanno perso
  4. È finita la pace
  5. Detox / Rehab
  6. Soli
  7. Mi sono innamorato di un AI
  8. Factotum
  9. Vittima
  10. Troi*
  11. Pentothal
  12. Lei
  13. Happy End
 

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