"Spaceman", il nuovo film di fantascienza targato Netflix, si colloca nel filone filosofico e meditativo del filone - lontano anni luce da quello d'azione - sottogenere che ha nel regista Andrej Tarkovskij il suo principale punto di riferimento. Netflix che incontra "Solaris" verrebbe da pensare, e la cosa non è del tutto campata per aria. In un film dai ritmi così lenti e dalla trama così psicologica, dove il viaggio ai confini del sistema solare - nell'oltre Giove di kubrickiana memoria ("2001: Odissea nello spazio") - non è altro che una metafora della ricerca umana della verità e delle proprie origini, limite irraggiungibile come Moby Dick per il capitano Achab, appare evidente come la musica di Max Richter non potesse che essere adatta allo scopo.
Il compositore tedesco mantiene saldi tutti gli stilemi modern classical da lui stesso portati a definitivo compimento con un percorso creativo invidiabile, che parte dalla pietra miliare "The Blue Notebooks" (2004) sino a farlo diventare uno dei più ricercati compositori di colonne sonore.
Richter si trova quindi nella difficoltà di dover descrivere la storia di un astronauta diviso dalla nostalgia della propria famiglia e l'onore di essere protagonista della missione più ambiziosa della storia del genere umano, chiedendosi però spesso se quello che sta cercando non sia nulla in confronto a ciò che aveva già in casa (la moglie in gravidanza che lo aspetta). Questo profondo senso di nostalgia è espresso dai synth e dagli archi di Richter, ora vicini all'epica avventurosa di un viaggio che nessun uomo aveva mai fatto prima ("Hearing Voices 1"), ora intrisi del fascino dell'immensità del cosmo ("The Listening Cosmos").
Richter è capace di ricreare orrori spaziali nei momenti di paura, come "Interference?", chiaramente prossima alla musica cosmica tedesca e a quella del compositore ungherese Ligeti, per andare rapidamente a scolpire nel suono sensazioni opposte nei brani potentemente sinfonici come "Memory Is A Voyager", o cercando di dare voce alla solitudine in "Lenka Lament" dove fa uso del vocoder.
I momenti più alti si trovano alla fine, nei sei minuti di archi di "Reflected In Her Eyes", con un'alternanza di synth, piano e forse persino un mellotron a raggiungere il punto evocativo più elevato, come anche in "The Dark Backward And Abysm Of Time", in cui Richter gioca con variazioni timbriche interessanti che ricordano molto da vicino le soluzioni che Howard Shore aveva trovato nella soundtrack di "Crimes Of The Future".
Infine, per i titoli di coda del film, c'è un'inattesa chiusura al confine del pop con la voce di Sparks.
Siamo al solito punto: una musica già rodata e nota che si ripete (quasi) sempre uguale a se stessa, che comunque continua a funzionare in determinate situazioni. In tutto questo, Max Richter continua a non avere rivali.
27/03/2024