Non volevo dare lezioni, volevo invitare l'ascoltatore lasciandogli la possibilità di riflettere piuttosto che colpirlo e sottometterlo. Il mondo è già abbastanza duro e io non voglio aggiungere altra brutalità. Negli anni mi sono reso conto che si deve trovare un equilibrio, poiché il mondo va verso qualcosa di molto minaccioso, sempre più basato su retoriche violente e urlate, io voglio parlare di una protesta silenziosa
(Max Richter)
Una delle creature musicali più preziose degli ultimi venti anni è stata probabilmente la modern classical. Definirla non è semplicissimo, in quanto non è facile delimitarne regole o confini, ma a grandi linee potrebbe definirsi come una musica elaborata da compositori con studi classici alle spalle - fortemente influenzati dal post-minimalismo - che utilizzano, oltre alla strumentazione tradizionale (il pianoforte e gli archi sono di certo i preferiti), strumenti elettronici, manipolazioni sonore e registrazioni ambientali. Ma questo non basta ancora a definirne tutti i connotati essenziali: manca l’aspetto principale della modern classical, quel mood principalmente malinconico e intimista, che da una parte spinge l'ascoltatore a un isolamento pacifico e a una riflessione autonoma sulla propria esistenza, dall’altro è capace anche di giungere - in particolare nei momenti orchestrali - a imperiosi e solenni voli pindarici. L’aspetto tendenzialmente minimale - pur senza un utilizzo compulsivo della ripetizione che caratterizza tutta la scuola minimalista e post-minimalista americana - è presente, ma la modern classical punta all’emotività e a un sempre ricercato aspetto cinematico.
Tra i compositori che hanno aperto la strada alla modern classical, il più celebre e probabilmente il più significativo è Max Richter, ormai una celebrità e un punto di riferimento assoluto di questa generazione di musicisti, tanto da essere ricercatissimo autore di colonne sonore di film e serie tv, ed essere approdato da tempo alla più celebre etichetta di musica classica del mondo, la leggendaria Deutsche Grammophon.
Tedesco, classe 1966, naturalizzato britannico, Richter trova un punto di equilibrio sorprendente tra il post-minimalismo di Philip Glass, la musica ambient di Brian Eno e la classica contemporanea da Erik Satie a John Cage. La modern classical di Richter si distacca dalla musica classica contemporanea di compositori come John Adams, David Lang o Arvo Part per aver eroso sempre più il solco che esiste tra la classica colta e la musica popolare. La formula faticosamente trovata da Richter ha successo e ogni sua pubblicazione oggi suscita l'interesse sia degli appassionati di musica elettronica, ambient e persino rock, sia degli ascoltatori di musica classica.
Si può anche ipotizzare una data in cui queste idee vengono messe a fuoco per diventare il modello di una nuova corrente musicale. Più che col suo esordio “Memoryhouse” (2002), Richter sviluppa sino in fondo le sue intuizioni con “The Blue Notebooks” (2004) - Lp nato idealmente sia come atto di protesta per la guerra in Iraq, sia come meditazione sulla propria infanzia travagliata - che ad oggi può considerarsi il suo capolavoro nonché il manifesto fondante della modern classical, autentico punto di riferimento per tutti i musicisti che si sono successivamente accostati a Richter, tanto riconosciuto come tale che quindici anni dopo la sua pubblicazione la Deutsche Grammophon ne festeggia in grande stile l'anniversario.
Il secondo Lp di Richter suscita subito l’idea di rappresentare un nuovo traguardo musicale, in grado di aprire la strada a una intera generazione di musicisti, cosa puntualmente avvenuta, con una lunga schiera di emuli. Un Lp diviso in undici brani spesso brevi - alcuni semplici abbozzi di appena un minuto, altri più lunghi fino a otto minuti - ma che nonostante questa frammentarietà, appare come un unico flusso sonoro compatto e indivisibile.
I quaderni blu sono un lungo viaggio nella memoria con pianoforti estremamente minimali che fanno da sfondo a giornate passate a scrivere sulla spiaggia con una vecchia macchina da scrivere, con il suono delle onde del mare e le letture di Franz Kafka e Czesław Miłosz a fare da cornice. E’ affascinante il comune denominatore dell'album, il battito della macchina da scrivere che raccoglie idee e pensieri liberi, che unisce tutto il disco dall’inizio alla fine come un diario intimo e personale.
E’ come se il musicista tedesco mettesse a fuoco definitivamente tutte le sue intuizioni precedenti raggiungendo apoteosi assolute con l’evocativa e cinematica “On The Nature Of Daylight” che gli è valsa la fama internazionale e la presenza in vari film hollywoodiani. Il piano e gli archi che due anni prima cercavano faticosamente una sintesi, la trovano perfettamente in questi sei minuti malinconici, ma prossimi all’estasi, tristi e catartici, come se la luce del giorno squarciasse le nebbie di un’umanità ormai perduta.
Nei brani brevi convivono piccoli pattern armoniosi di piano con sovraincisioni ambientali (la title track e “Horizon Variations”). Tutto è perfetto ed equilibrato. Anche quando è solo il pianoforte protagonista, accade il piccolo miracolo di “Vladimir Blues”, una composizione di appena un minuto, estremamente semplice, ma nella sua accelerazione capace di evocare mondi lontani.
Negli episodi più lunghi, come “Shadow Journal”, letture dei “Quaderni in ottavo” di Franz Kafka ad opera dell'attrice Tilda Swinton su loop di synth e distese di archi, creano un effetto intimo e spaesante. I sintetizzatori con cori femminili di “Iconography” assumono connotati quasi religiosi e gli varranno il premio agli European Film Awards come miglior colonna sonora per il film animato “Valzer con Bashir”.
“Arboretum”, “Old Song” e “Organum” possono definirsi un trittico di brevi abbozzi in successione di modern classical ed elettronica, ancora una volta da intendersi come colonna sonora per pensatori solitari nello spazio e nel tempo. “Old Song” gioca sull'avanzare del tempo e sul deperimento dei ricordi e dei supporti musicali, “Arboretum” è un piccolo e riuscitissimo abbozzo di beat elettronici e archi, “Organum” trova una struggente armonia di organo. Il terzo brano lungo è “The Trees”, che dopo un inizio in linea col resto dell’album (lettura, piano e archi) continua in un insistito crescendo di piano, commovente e cinematico, uno di quei voli pindarici che Richter è in grado di regalarci.
Dopo quest'album, la carriera di Richter cambierà radicalmente, l’apprezzamento del pubblico sarà enorme e i riconoscimenti diverranno innumerevoli. Come se fosse stata ormai individuata la formula magica, infatti, i successivi lavori saranno tutti figli della poetica dei Quaderni Blu. Quindici anni dopo la pubblicazione di “The Blue Notebooks”, la Deutsche Grammophon propone una ristampa con doppio cd per ricordare l'anniversario. La pubblicazione è arricchita da lunghi testi dell’autore, da un nuovo brano per piano (“A Catalogue Of Afternoons”), da alcuni remix dimenticabili e soprattutto da una versione riuscitissima di “On The Nature Of Daylight”, sulla quale viene inserita la voce della cantante jazz Dinah Washington e del suo brano del 1960 “This Bitter Earth”, con testi che si adattano perfettamente al mood del brano.
20/12/2020