Mia moglie è una discreta appassionata di musica jazz, conosce una consistente percentuale di classici del genere, non di rado partecipiamo a rassegne organizzate da amici che in molti casi sono anche ottimi musicisti. Quando mi trovo a parlare con loro, mi prodigo per segnalare l’ascolto di qualche nuovo nome di area jazz, in particolare soffermandomi sulla florida scena londinese che negli ultimi anni ne sta producendo a ritmi frenetici, fra i quali l’indispensabile Shabaka Hutchings rappresenta soltanto la punta di un enorme iceberg. Ma, dicevo, mia moglie mi mette sempre in guardia, spiegandomi quanto i puristi siano poco inclini ad accettare troppe contaminazioni. “Contaminazioni”, ecco, questa è la parola chiave, sono proprio le “contaminazioni” che mi conducono ad apprezzare il talento di Nubya Garcia, Yussef Kamaal, Ezra Collective, John Armon-Jones, Kokoroko (ma potrei citarne molti altri), tutti gravitanti intorno alla zona di Londra, il Cafe OTO, i quartieri di Hackney e Peckam, dove la matrice di questi suoni ha intriso l’atmosfera.
Ma ditemi voi quanto potrebbe risultare oltremodo indigesto per i puristi accettare all’interno di un progetto jazz addirittura la presenza della sezione ritmica di due ex-Fugazi, fondamentale band del circuito post-hardcore nata (nel 1987) con l’obiettivo di abbattere le regole musicali preesistenti e sovvertire qualsiasi convenzione. Al contempo, Joe Lally e Brendan Canty sono esattamente ciò che rende attraente al popolo indie/alternative i lavori dei Messthetics, trio in pista dal 2016 completato dalla presenza del chitarrista Anthony Pirog: tre musicisti straordinari con una dose importante di curiosità intrisa nel proprio Dna.
In occasione del progetto di cui stiamo parlando, i Messthetics uniscono le forze con il sassofonista di Buffalo James Brandon Lewis, realizzando uno dei lavori più stimolanti e anticonvenzionali del 2024.
A “L’Orso”, posta in apertura, viene assegnato il compito di lasciar ambientare l’ascoltatore, con chitarra e sax che da subito iniziano a rincorrersi a vicenda, evidenziando a tratti il lato fusion della faccenda. E’ soltanto l’antipasto che funge da stretching preparatorio, prima che “Emergence” centri in pieno il bersaglio grazie alla sua incontenibile energia.
Parlavo di contaminazioni, e in questi solchi ce ne sono parecchie: “Boatly” avvicina il quartetto a un certo situazionismo post-rock – sempre di ambientazione jazz – non troppo distante dall’esperienza dei Karate, “Fourth Wall” mostra un’andatura che arriva a due passi da certe modalità Radiohead, “The Time Is The Place” libra le ali spingendosi lungo il proprio svolgimento verso territori rumoristici, mentre le raffinate atmosfere di “Railroad Tracks Home” (che assorbe evidenti fascinazioni blues) e l’ancor più rilassata “Asthenia” si alternano alle centrifughe energetiche dispensate da “The Thang”, che presenta interessanti riferimenti funk.
Groove e controtempi sono sempre stati presenti nel vocabolario di Canty e Lally, e del resto Lewis si è sempre posto al di fuori dell’ortodossia, alla ricerca di un suono unico e caratterizzante. Ne scaturisce una commistione spigolosa ma fruibile, avanguardistica pur senza mai diventare realmente ostica. Il disco reca il bollino della storica Impulse! Chi lo avrebbe mai potuto immaginare ai tempi di “Repeater” e “In On The Kill Taker”?
29/11/2024