23-25/05/2019

Messthetics

Locomotiv/The Cage, Bologna/Livorno


Bologna, 23/05/2019

di Ossydiana Speri

Suvvia, non meniamo il can per l'aia: se stasera siamo qui, non è certo per le funamboliche svirgolate del malcapitato Anthony Pirog. Una band come i Fugazi, visti i tempi, ci manca come il metadone nel bel mezzo di un'astinenza nera: qualche slogan rabbioso da urlare, un esempio nobile a cui riferirsi o semplicemente un po' d'energia a darci la scossa. Chi ha raggiunto il Locomotiv in questa pigra serata tardo-primaverile è agitato da un bisogno simile: abbastanza mal riposto, se è vero che stiamo per assistere a un concerto strumentale.

Pur con tutta l'indulgenza del mondo e nonostante il ricattatorio marchio Dischord, il disco dell'anno scorso mi ha convinto a metà. La responsabilità è da scaricare ancora sul povero Pirog: ce ne vuole per penalizzare una delle sezioni ritmiche più micidiali del pianeta, ma quella chitarra è così invadente da far desiderare un apposito fader per sprofondarla nel mix. Confido, però, che il palco possa giovare a un progetto interplay-based, e non posso che apprezzare la mantenuta coerenza con la politica-Fugazi: 10 euro di biglietto tondi tondi. Quanto a me, cerco di fare la mia parte: non una goccia d'alcol in tutta la serata.

Il dj-set a base June Of 44 (anche loro in tour in questi giorni) e l'iconica campana della microfonatissima batteria di Canty scaldano il cuore, un po' meno l'opening solitario del modenese Giack Bazz che, in un locale ancora deserto, si presenta come "uno che suona canzoni tristi": sottoscriviamo la sua dicitura. Una mezz'ora dopo il palco è pronto ad accogliere il trio: le scalette a pennarello fanno molti anni 90, le bottigliette a fianco delle postazioni contengono rigorosamente acqua. Il sobrio Precision di Lally si contrappone al tronfio caravanserraglio di Pirog (sorta di bolso J Mascis in flanella e cappellino con visiera): una quindicina di pedali e un'orrenda Jazzmaster gold modificata con pickup Di Marzio.

"Buonasera Bologna, come state?", ci saluta Joe col suo italiano ancora impeccabile, per poi riassestarsi sul suo idioma nativo: "We're the Messthetics and have some songs to play". La prima, l'inedita "Boredoms", è un assalto così irruento da sfondarmi i timpani, costringendomi ad arretrare dalla prima fila che mi ero guadagnato. La previsione è felicemente confermata: la leziosità della prova in studio è spazzata via dalla carica che solo un concerto può restituire. Certo, Pirog si attira più di una maledizione col suo indugiare in un'asfissiante effettistica Cline-iana, confermandosi preferibile negli accompagnamenti piuttosto che nei soli, ma la potenza della premiata ditta Lally-Canty assesta un pugno sonoro non indifferente. Ho la certezza che non sarà il saggio da conservatorio che temevo, e per adesso tanto mi basta.

Il brano si tronca all'improvviso, subito rimpiazzato dal basso ipnotico di "Mythomania", jazzcore che sa farsi in parti uguali desertico, metallico o indianeggiante e poi scomporsi in un chiasso assordante quando Canty picchia sulla campana. Il noise vetrato di "The Assignment" inaugura la pratica degli intermezzi tra un pezzo e l'altro e dà ulteriore spinta a una "Quantum Path" supersonica, con un'impressionante performance di quell'assassina macchina ritmica che è Canty. "Your Own World" nebulizza quell'adrenalina in una nube psichedelica scandita dallo scampanellare di un crotalo, il fumo di un razzo che decolla solo con la successiva "Inner Ocean", forse il numero più lirico del repertorio, notte piovosa riflessa su uno sconsolato arpeggio di basso, con Pirog all'altezza nei panni di un liquido Bill Frisell 2.0.
Dal post-rock si regredisce al post-hardcore di "Wipers", con un lavoro di cassa che sposta l'aria come una turbina e una chitarra che, sì, trapana duro come quella di Greg Sage. Poche tracce byrniane, invece, nell'orientaleggiante "Talking Heads", anticipata dalla breve e altrettanto atmosferica "Cloop" ma presto polverizzata dalla tambureggiante grattugia di "Sixes" e dal blues dispari di "Sevens", con un'abrasiva spuma di tremolo.

Lo slowcore oceanico di "Ambient I" torna ad acquietare gli animi scagliando pesanti massi doom che si sbriciolano in taglienti sampietrini nella sfuriata di "Serpent Tongue", suonata con tanta foga che Canty perde una bacchetta. Ed è proprio lui a ringraziarci per la nostra calorosa presenza, con l'umiltà che l'ha sempre contraddistinto ("We really appreciate, we've come a long way..."), ricompensandoci con lo stoner felpato di "Radiation Fog" fuso a una dinamicissima "Crowds And Power" in più tempi (spirale anfetaminica alla Tool, duello western, rallentamento al cardiopalmo). Fa per andarsene ma gli altri due rimangono ad accordare. "So we're going to play one more?", finge di stupirsi, e il non-bis è un vero regalo: l'attacco di "Funk" è così fugazziano che qualche esaltato crede di scorgervi chissà quale brano minore del gruppo madre, poi la fabbrica collassa in uno swing che, a sua volta, si smembra in un'improvvisazione dinoccolata fatta precipitare lungo un versante montuoso. Ci mettiamo un po' a realizzare che stiamo ascoltando un medley, con incastonate dentro due graditissime sorprese: "Black Satin" di Miles Davis e "School Work" di Ornette Coleman, sentito tributo tanto ai propri modelli quanto alla propria creatività e bravura.

Alti volumi, gran suono, tanta energia: cos'altro chiedere a un concerto rock, seppur suonato con precisione da jazzisti? Qualcosa mi dice che la tanto agognata reunion ce la possiamo scordare, ma in fondo poco male: come muto succedaneo, questi Messthetics valgon bene una barricata.

Livorno, 25/05/2019

di Maria Teresa Soldani

Seconda serata per salutare la stagione invernale del Cage di Livorno. Dopo il meraviglioso live dei June of 44 di ieri sera, arriva un secondo concerto di grande qualità. Nessun opening act stavolta, si va dritti al piatto forte col power-trio composto da Brendan Canty (Rites of Spring, Fugazi, Girls Against Boys, Lois), Joe Lally (Fugazi, Decahedron, Ataxia) e Anthony Pirog (New Electric, Skysaw).

Si parte subito con “Mythomania”, primo brano dall’album di debutto della band “The Messthetics” (2018, Dischord Records), mentre il noise di “The Assignment” apre la strada alla psichedelia e alla bulimia chitarristica di “Quantum Path”, con una sezione ritmica granitica che tiene il brano ancorato a terra evitando di farlo planare su lande metal. Particolarmente coinvolgente la doppietta estatica “Your Own World”/“The Inner Ocean”, che ci trasporta con raffinatezza dall’intensa stagione slowcore di band come i Karate agli assoli incendiari seventies in stile Funkadelic. Segue la summa indie/emocore di “Wipers”, che sempre a quei prolifici anni Novanta guarda. Il concerto si caratterizza così per la grande dinamica in cui si rallenta (“Radiation Fog”) e si accelera (“Serpent Tongue”, “Crowds And Powder”), si mescolano le ascendenze più disparate (Who, Primus, Marc Ribot) e i generi più frequentati (post-hardcore, jazz, post-punk, prog) per aprirsi costantemente, con la naturalezza di un movimento di diaframma, a spazi di improvvisazione e di sviluppo della scrittura tra i brani, come se fosse il concerto stesso una composizione unica.

La sezione ritmica dei Messthetics porta avanti un fondamento “Fugazi-ano”: fare tutto quello che si può, e anche quello che si pensa non sia possibile, con il solo strumento e l’amplificazione. Le geometrie della coppia Lally/Canty accolgono quello che sembrerebbe quasi un elemento esotico nel loro saldo e rodato equilibrio: la chitarra e i loop di Pirog. Le sue sonorità e le sue frasi, quasi eccessive, sono protagoniste: esondano, riverberano, si moltiplicano, eccedono, corrono e dilatano la musica, ma, in ogni caso, sono del tutto integrate nel groove e nelle strutture armoniche. Sotto il piacevole segno dei King Crimson (di Robert Fripp e di Andrew Belew), le sue traiettorie chitarristiche fondono armonia e melodia mimetizzandosi con le figure ritmiche e il tocco di Lally e Canty. La risultante è un rock polimorfo, contaminato da un jazz febbricitante, una psichedelia acida e un noise plastificato. Il progetto è così libero nella sua forma live – esprimendosi meglio dal vivo che su disco, dove appare più “addomesticato” – da far tornare alla mente, soprattutto in brani come “Quantum Path”, quella ratio crossover dietro a ensemble come Mr. Bungle di Mike Patton o Heavy Blanket di J Mascis, folle progetto noise a doppia batteria del chitarrista di Amherst.

C’è ovviamente spazio per omaggiare nel migliore dei modi il jazz più amato, come la cover – presente anche nel disco – di “Once Upon A Time” del chitarrista Sonny Sharrock dall'album “Ask The Ages” (1991, Island Records, co-prodotto con Bill Laswell e suonato da Elvin Jones alla batteria), o il tributo ai primi anni 70 con “Black Satin” di Miles Davis da “On The Corner” (1972, Columbia/CBS, prodotto da Teo Macero) e “School Work” di Ornette Coleman, outtake dalle sessioni di registrazione di “Science Fiction” (1972, Columbia/Cbs) pubblicato in “Broken Shadows” (1982, Columbia/Cbs).

Lo spirito plurale che tanto ha preso dall’ethos della scena post/emo/hardcore di Washington DC fa sì che le individualità all’interno dei Messthetics si esprimano in un oggetto musicale compatto e molteplice, suonato divinamente, pieno di godimento e passione per la performance senza cronologie o età. In questo live c’è tutto quello che si può amare della musica e del sentirla dal vivo e, nella migliore tradizione delle scene da cui questi musicisti provengono, ti fa morire dalla voglia di infilarti in sala prove a suonare.

Setlist

Setlist Bologna

Boredoms
Mythomania
The Assignment
Quantum Path
Your Own World/Inner Ocean
Wipers
Cloop
Talking Heads
Sixes
Sevens
Ambient I
Serpent Tongue
Radiation Fog
Crowds And Power
Black Satin/School Work/Funk


Setlist Livorno

Mythomania

The Assignment
Quantum Path/A Drone
Your Own World/The Inner Ocean

Wipers
Cloop
Talking Heads
Sixes/Sevens

Ambient 1
Boredoms

Serpent Tongue

Radiation Fog
Crowds and Power
Witchy Poo
Section 9
Black Satin/School Work/Funk

Messthetics su Ondarock