Il consistente numero di tributi dedicati a Syd Barrett basterebbe già di per sé a spiegare l'influenza che il diamante pazzo dei Pink Floyd ha esercitato su schiere di musicisti provenienti da ogni parte del mondo. Oltre a essere l'artefice del suono del primo periodo della band, visionario e sperimentale (base di partenza per quello più intellettuale/strutturato degli anni Settanta), Barrett ha però contribuito anche a estendere l'accezione del termine pop psichedelico, differenziandosi dalle cavalcate lisergiche di gruppi d'oltreoceano come Grateful Dead e 13th Floor Elevators.
Una volta messo ai margini del progetto dal resto del gruppo, la sua indole instabile lo ha infatti riavvicinato a una struttura compositiva più minimale, a volte debitrice delle filastrocche, con un taglio indiscutibilmente
britannico - figlio delle scuole d'arte - e una sorta di ironia sghemba e ipnotica che i
Beatles avevano cominciato a mettere in musica a partire da "Tomorrow Never Knows". Una specificità quasi archetipica, che sarebbe oggi inappropriato attribuire solo all'uso disinvolto che Syd faceva di stupefacenti come Lsd, cannabis e Mandrax.
Tra tutti gli omaggi resi al genio di Cambridge, sono stati pochi quelli che hanno battuto una strada marcatamente elettronica. Ci pensa oggi uno dei più interessanti
producer in ambito synth-pop italiani,
Eugene (collaboratore tra l'altro di
Garbo, Andy dei Bluvertigo e Claudio Simonetti), a colmare la lacuna, proponendo quattro gemme psichedeliche che attingono sia dal repertorio solista che da quello dei Floyd.
L'occasione, per il musicista romano (ma di base a Milano), è quella di dichiarare la sua passione adagiando l'imprevedibilità melodica di Barrett su un tappeto sonoro più rassicurante, dove il fascino obliquo delle composizioni viene catapultato nello spazio siderale - un tema sempre caro a Eugene - e arricchito grazie a sonorità sintetiche che fanno risplendere la modernità del materiale di partenza. Il messaggio potrebbe essere: se Syd era un alieno già nei
Sessanta, forse ha senso andare a cercargli un vestito direttamente nel cosmo.
"Golden Hair" e "Love You", entrambe da "The Madcap Laughs" (e fra le prime mai scritte da Barrett con la chitarra), hanno il compito ideale di presentare questo viaggio, la prima disperdendo l'
allure goth del testo di Joyce in un dolce pulviscolo atmosferico, la seconda chiedendo a una ritmica di TR-808 di declinare in modalità synth-pop le variazioni armoniche di un brano che non avrebbe sfigurato nel repertorio di
Bowie (altro alieno per eccellenza, e fan di Barrett).
"Effervescing Elephant" arriva invece dal
secondo album omonimo, spostando il
mood da una marcetta con gli ottoni a una divertita dissertazione honky-tonk al piano elettrico, veloce antipasto prima del piatto forte di questo Ep, la
rendition evocativa e sognante di un pezzo che le stelle le ha già nel titolo, "Astronomy Domine", dall'
esordio dei Floyd. Qui Eugene lavora sulle stratificazioni vocali per trasformare la complessità dell'arrangiamento originale in una piccola suite arricchita dal vocoder che potrebbe elegantemente accompagnare anche l'epopea stellare del comandante Bowman di
kubrickiana memoria. L'incastro è perfetto: l'elettronica incornicia finalmente una composizione che già in origine era extra-terrena e la fa diventare qualcosa che probabilmente Barrett avrebbe amato ancora di più (in senso futuristico) se la tecnologia glielo avesse permesso all'epoca. Una ipotesi nemmeno eccessivamente azzardata per questo "Sydereal", il cui unico difetto è quello di durare troppo poco.
17/03/2025