The Art of Darkness

La storia della musica gothic nel libro di John Robb

Intro

 

John Robb - The Art of DarknessDalla caduta di Roma alla nascita di Instagram. Millecinquecentotrentaquattro anni. Basterebbe anche solo lo smisurato arco temporale preso in considerazione per far comprendere l’ambizione sottesa a “The Art Of Darkness”, l’enciclopedico volume di 650 pagine che lo scrittore John Robb ha dedicato alla storia della musica goth (vedi nota a fine pagina) Perché il filo rosso (sangue) che unisce le gesta dei Goti all’ultimo gruppetto neo-dark del Duemila è assai più spesso di quanto si possa immaginare, a conferma di come un movimento frettolosamente giudicato come “effimero” (cosa c’è di più “fuori moda” oggi di un darkettone?) possieda in realtà radici profonde e si sia negli anni evoluto e ibridato grazie a una sensibilità peculiare in grado di trascendere i generi. Da convinto assertore dell’accezione estensiva di questi ultimi, chi scrive non può non restare piacevolmente colpito dalla visione inclusiva di Robb, a partire dall’intuizione di definire “prima band goth” un’istituzione classic rock come i Doors, solitamente non percepiti come affini a quell’universo. Del resto, Robb, 62 anni, parla a ragion veduta non essendo un accademico ma un ex-musicista, profondo conoscitore dell'underground britannico grazie alla sua militanza nei Membranes, quindi stimato giornalista musicale attraverso svariati libri e la sua webzine Louder Than War.
Ma procediamo con calma, perché se Roma non è stata costruita in un giorno, figurarsi quello che è successo dopo la sua fine…

 

La genesi

 

Cattedrale medievaleSe per risalire alle sorgenti del rock si retrocede solitamente all’inizio del Novecento, rispolverando i canti blues del delta del Mississippi, Robb – come detto – esagera, riavvolgendo il nastro a partire addirittura dal 24 agosto 410, quando Roma venne brutalmente saccheggiata da un esercito di Visigoti al comando del generale Alarico. L'evento ebbe un'immediata risonanza in tutto l'Impero, sconvolgendolo moralmente: fu descritto da Agostino d'Ippona come il segno della prossima fine del mondo (“De civitate Dei”), mentre il teologo San Girolamo asserì che “in una città, l’intero mondo era perito”. I Visigoti lasciarono la città, ma il mito dell'inviolabilità di Roma era definitivamente crollato. Alla fine del Quinto secolo a.C, l'Impero Romano d'Occidente già non esisteva più (la sua fine viene generalmente fissata al 476, anno in cui Odoacre depose l'ultimo Imperatore Romano d'Occidente, Romolo Augustolo). “Ever since then, the term gothic has been associated with walk on the dark side”, chiosa Robb, ricordando come le cattedrali gotiche del Tardo Medioevo avrebbero presto soppiantato lo stile classico. L’origine del termine “gotico” risalirebbe invece alla celebre lettera di Raffaello a Papa Leone X (1519), in cui l’artista, incarnando il vero spirito del Rinascimento, si univa a Baldassar Castiglione in giudizi assai poco lusinghieri nei confronti dell’architettura dei Goti “lontanissima dalla bella manera de’ Romani”.

 

Gotico come “barbaro” dunque (anche se Robb non tralascia nemmeno la “gory glory” delle tragedie greche classiche) ma anche come epitome di quell’immaginario medievale più cupo e macabro, che si nutriva anche di una serie di miti e leggende di derivazione romana: storie di fantasmi, streghe e bestie assortite che alimentarono quella che Robb definisce “The dark age of superstition”. Un’era popolata di creature inquietanti come i lupi mannari francesi, i fantasmi gjenganger e i troll norvegesi, le banshee irlandesi (vi dice qualcosa il nome?), gli zombie strigoi rumeni e gli spauracchi bitcho-papao portoghesi. Un retroterra horror che avrebbe plasmato l’immaginario del Romanticismo e della letteratura gotica. Autori come John Keats, William Blake, Lord Byron e Percy Bysshe Shelley fungono così da “proto-goths”, assieme a un poeta maudit francese come Charles Baudelaire i cui “Fiori del male” evocano istintivamente - ai malati di rock - i marciti “Flowers Of Romance” dei Public Image Ltd. In una lunga scia venefica che va dall’antesignano Horace Walpole del “Castello di Otranto” (1764) ai romanzi più celebri di Edgar Allan Poe, dalle morbosità del marchese De Sade agli incubi di H.P. Lovecraft, la narrativa gotica stende una cappa di nera suggestione saldandosi allo Sturm und Drang ma anche alla filosofia esistenziale di Kierkegaard e Nietzsche, all’estetica decadente di JK Huysmans fino all’esoterismo stregonesco di Aleister Crowley. Un complesso e variegato retroterra culturale che nel Novecento avrebbe trovato nuovi folgoranti impulsi.
A tutto ciò, Robb aggiunge un tassello non meno importante: la dimensione fiabesca dell’innocenza infantile contrapposta a torbide fantasie, che pervade favole come quelle dei fratelli Grimm o di Lewis Carroll, l’autore di “Alice’s Adventures In Wonderland” e “Alice Through The Looking Glass” (espressione quest’ultima, guarda caso, ripresa da Siouxsie in un suo celebre album di cover).

 

“Goth, insomma, non è soltanto una questione di smalti e rossetti scuri, ma il prodotto di tante correnti artistiche - come spiega Robb in una recente intervista a Diego Ballani su Rumore - Tutte queste correnti abbracciavano la malinconia e il lato oscuro dell'animo umano. Due maggiori elementi di fascinazione del goth, sesso e morte, sono alla base sia della poesia cimiteriale che della musica post-punk. La figura di Nick Cave è per certi versi simile a quella di un moderno Lord Byron. La musica, dunque, non nasceva nel vuoto pneumatico, era pervasa da questo tipo di sentimento: l'atmosfera, le ragioni per cui esisteva e i contenuti lirici erano gli stessi”. Una sensibilità che a un certo punto inizia a filtrare nella cultura popolare. “Potremmo far risalire tutto a quelle famose serate ginevrine in cui Lord Byron e altri artisti si sfidarono a scrivere storie di fantasmi – aggiunge Robb - Da lì nacquero opere come ‘Frankenstein’ di Mary Shelley, ‘The Vampyre’ di Polidori, ‘Carmilla’ di LeFanu e ‘Dracula’ di Bram Stoker. Ma al quadro generale bisogna aggiungere anche la fascinazione per Halloween, che soprattutto negli Stati Uniti rappresenta un elemento culturale molto importante. Tutto questo pose le basi per l'horror del Ventesimo secolo, che Hollywood aiutò a rendere popolare in tutto il mondo”.

La sacra trimurti rock

 

Jim Morrison - The DoorsGià, ma la musica? Al di là di un periodo facilmente identificabile come stagione d’oro dark, coincidente grosso modo con l’avvento di post-punk e new wave, i flirt tra gotico e popular music hanno cominciato a manifestarsi molti anni prima. Si pensi a un personaggio come Screamin’ Jay Hawkins, “il primo shock rocker”, protagonista di show selvaggiamente teatrali, accompagnati da macabri oggetti di scena sul palco (teschi, costumi gotici e simboli voodoo) nonché autore del più celebre sortilegio del rock, “I Put The Spell On You” (reso poi noto anche dalla cover dei Creedence Clearwater Revival); o alle suggestioni “sataniche” dei Rolling Stones unite all’androginità proto-glam di Mick Jagger, o ancora alla poesia crepuscolare di Leonard Cohen, capace di esercitare un’influenza incalcolabile su intere generazioni di “bardi” noir (da Nick Cave in giù), o infine alle filastrocche psichedeliche più allucinate dei primi Pink Floyd, al simbolismo demoniaco dei Black Sabbath e all’occultismo dei Led Zeppelin irretiti dalla magia nera di Crowley.

 

Ma Robb individua in ogni caso una sorta di “sacra trimurti” del dark, tre gruppi che hanno in qualche modo condizionato la nascita e l’evoluzione del fenomeno. Anzitutto, come detto, i Doors, guidati da quel “moderno Byron” di nome Jim Morrison, i cui riferimenti artistici affondano le radici nel Romanticismo (a partire da quello stesso Blake che evocò le “porte della percezione”), ma abbracciano anche il “Teatro della crudeltà” di Antonin Artaud (vedi “the killer awoke at dawn” in “The End”), un’esuberanza dionisiaca di ispirazione nietzschiana (“The Birth Of Tragedy”) e perfino i trittici visionari del pittore fiammingo Hieronymus Bosch.
“Sesso. Morte. Psicodramma. I Doors furono i veri progenitori del goth rock”, afferma Robb, ricordando anche come la loro “People Are Strange” sarebbe diventata un inno agli zombie metropolitani nell’horror “The Lost Boys” di Brat Pack (1980).
Del resto, la voce baritonale di Morrison, sposata all’immaginario fosco e al sound barocco della band californiana, lasciava già presagire molti canoni della futura scena dark, ed è proprio con loro che per la prima volta sarà utilizzato il termine “gotico” nella critica rock (in una recensione del loro primo concerto a New York del 1967). Quasi superfluo, infine, ricordare anche l’impronta lasciata da Morrison e compagni su un gruppo cardinale di quella scena come Siouxsie and the Banshees, che li omaggeranno anche con una straniante cover di “You’re Lost Little Girl”.

 

A ruota dei Doors, seguono gli Stooges di Iggy Pop, tra i più ferventi discepoli dei baccanali di Jim Morrison e compagni. L’Iguana di Detroit resta folgorato da una loro esibizione e ne riprende la carica più folle e selvaggia, trasformandosi in uno dei performer più trasgressivi di sempre. Al tempo stesso, però, ne asciuga la poetica, in un’ottica desolata che già anticipa il nichilismo del punk. Bastano solo due parole, allora: No fun. E il gioco è fatto.
Last but not least, a completare la (un)holy trinity dei progenitori dark, i Velvet Underground, con il nichilismo disperato dei loro disturbanti pannelli metropolitani, infarciti di alienazione, solitudine, perdizione fisica e morale, tra amori sadomaso, droga, prostituzione, violenze e crimini. Con loro, il sole della West Coast tramonta nelle cantine di New York per lasciar posto alle tenebre, attraverso cerimoniali stranianti e ossessivi (i bordoni di viola, il drone), suggellati dal canto distaccato e alienato di Lou Reed, che diverrà uno dei capisaldi del goth, così come il suo alter ego femminile sepolcrale, affidato all’ugola conturbante di Christa Paffgen alias Nico. Non a caso la più celebre canzone interpretata dalla cantante tedesca con i Velvet Underground, “All Tomorrow’s Party”, sarà descritta retrospettivamente come “mesmering gothic rock masterpiece” dal critico statunitense Kurt Loder.

Wham bam thank you glam

 

Davd BowieMa tra gli eroi proto-gotici e i protagonisti della più fertile e fortunata stagione dark, c’è di mezzo un coloratissimo ponte di nome glam-rock. Abbiamo così voluto riprendere il titolo dell’apposito capitolo di “The Art Of Darkness”, che parafrasa il verso di una celebre canzone bowiana (“Suffragette City”), per esplicitare un legame spesso sottaciuto ma di cruciale rilevanza. Se è altamente probabile che “punks were the bastard children of Ziggy Stardust”, come affermò Gavin Friday dei Virgin Prunes, è pressoché incontestabile che l’intera darkwave abbia avuto in David Bowie il principale nume tutelare. Tutto, nella parabola del dandy londinese, ha finito con l’influenzare profondamente la generazione nerovestita: dalle visioni distopiche e orrorifiche di concept-album come “Ziggy Stardust” e “Diamond Dogs” al trasformismo e all’ambiguità sessuale, dalle suggestioni cinematografiche kubrickiane (“Arancia meccanica” su tutte) al crooning teatrale, gelido e decadente. Tutte le sue maschere – dall’alieno Ziggy all’alienato (e inquietantissimo) Duca Bianco, dal cracked actor orwelliano al pierrot neoromantico di “Ashes To Ashes” – hanno sempre nascosto un che di misteriosamente lugubre, una grottesca morbosità capace di suggestionare intere generazioni di appassionati. “Bowie – racconta Robb a Rumore - è stato il vero architetto degli anni 70, un decennio mostruosamente creativo per la musica. Ogni suo album aveva un sound differente e, cosa non meno importante, corrispondeva a un diverso look. Spesso si dice che il goth altro non è che un glam virato al nero, ma Bowie fu importante anche per le nuove tecniche di produzione utilizzate negli album realizzati insieme a Tony Visconti. Molti di quelli che divennero musicisti goth sono cresciuti con il glam. Nelle interviste citava Burroughs, le tecniche del cut-up, i poeti beat, i Velvet Underground. Erano tutte cose sconosciute ai giovani britannici di quegli anni. A tutti questi ragazzi Bowie squarciava un velo e mostrava quello che stava al di fuori delle loro camerette”.

 

Siouxsie - Marc BolanSe Bowie è stato certamente il fenomeno più amato e influente dell’evo glam, non si può certo disconoscere il contributo di colui che di quella stagione in multicolor fu l’indiscusso precursore alla testa dei T. Rex: il “cigno bianco” Marc Bolan, la cui impronta su punk e gothic non fu meno rilevante, come testimoniato da tanti protagonisti di quella stagione, a cominciare da Siouxsie Sioux, il cui stesso look – capelli neri elettrificati, occhi pesantemente bistrati – sarebbe stato influenzato da un’eccentrica apparizione di Bolan nello show televisivo Supersonic alla metà degli anni 70, almeno stando alla ricostruzione di Mark Paytress in “Bolan: The Rise And Fall Of A 20th Superstar”. La stessa cantante inglese, del resto, ha riconosciuto apertamente il suo debito con il duo Bolan-Bowie: “Dopo di loro, è stato tutto diverso; i cantanti volevano essere effeminati, le cantanti mascoline. È stata un'epoca di grande libertà sessuale. Il punk, poi, ha accentuato la rivolta; così le ragazze hanno cominciato a diventare sempre più dure e aggressive, a fare paura”.

 

Glam come musica di liberazione, dunque, dalle opprimenti gabbie ideologiche dei 70’s, ma anche come culto della decadenza e dei barocchismi melodrammatici che avrebbero fatto la fortuna dell’era dark. Se gruppi geniali nati in quella stagione come Roxy Music e Sparks porteranno in dote al gothic quel tocco di spiazzante eccentricità necessario a demarcare le dogmatiche linee del punk (e torna anche qui Siouxsie con la sua spiazzante cover di “This Town Ain't Big Enough For Both Of Us” dei fratelli Mael), e se il Lou Reed virato glamour di “Transformer” in fondo non farà che aggiornare gli spettri dei Velvet Underground al tempo di una nuova rivoluzione sessuale, a imprimere un solco profondo sulla successiva scena goth sarà soprattutto il macabro “shock rock” di Alice Cooper, con le sue storie di disagi mentali, fobie, necrofilia e pulsioni omicide, sposate a show popolati di rettili, cascate di sangue, ghigliottine e sedie elettriche. Una visione granguignolesca del rock in grado di generare innumerevoli proseliti, che spaziano idealmente dal Bela Lugosi dei Bauhaus alle pantomime dei Kiss e al teatro dell’orrore di Marilyn Manson.

L’onda nera

 

Siouxsie - John LydonÈ però il punk a scatenare l’onda lunga della darkwave. Per una miracolosa alchimia, come spesso accade nella storia della musica popular, si vengono a saldare una serie di elementi disparati: retaggi del passato e spirito del tempo, influenze culturali e sotto-culturali e moda, urgenza creativa e marketing musicale. Tutto concorre alla nascita di un fenomeno che – come osserva Robb – trovava nel punk e nel post-punk il linguaggio più adatto del momento a rendere la musica centrale nelle vite dei giovani. Come se il gothic fosse in fondo la semplice derivazione oscura della stagione del “no future”, la tappa successiva di una rivoluzione che aveva profondamente modificato lo stesso approccio alla musica all'insegna del do-it-yourself, consentendo una proliferazione di gruppi inimmaginabile fino a qualche anno prima.

 

La rivoluzione punk investe i due lati dell’Atlantico, capitanata su una sponda dai Ramones, sull’altra dal tandem Sex Pistols-Clash. Con una miriade di gruppi di ogni sorta, ma anche curiosi testimonial come Jordan, la commessa di SEX divenuta icona di stile con la sua attitudine da performer nata che usava il proprio corpo come espressione artistica. È lei, nel libro, a fungere idealmente da guida alla scoperta dell’intima essenza del movimento che voleva seminare la “anarchy in the Uk”.
Perché la musica dark possa nascere, però, sarà necessario che il punk muoia. O quantomeno si trasformi in qualcos’altro. A coronare la svolta, una generazione di ibridi mutanti, capaci di declinare il linguaggio urgente e minimalista della blank generation con le grammatiche sonore più disparate (dal gothic all'elettronica, dall'avanguardia al funk), delineando nuove estetiche e prospettive storiche. Lo chiameranno post-punk o new wave, o entrambe le cose.
Anche in questo caso, non mancano le eminenze grigie e i padrini, puntualmente citati in “The Art Of Darkness”. Oltre ai succitati glam-rocker, non si può non risalire ad esempio all’horror-shock dei Cramps e agli abissi di cupezza dello space rock targato Hawkwind, le cui sonorità ipnotiche – come ricorda Robb - si riveleranno un’influenza chiave per band come Killing Joke, Joy Division e Sisters Of Mercy; così come non si può certo dimenticare il ruolo avuto dalle raggelanti pantomime elettroniche dei Suicide (tra i padri della new wave tutta, assieme ad altri pionieri newyorkesi di scuola Cbgb quali Patti Smith, Television e Talking Heads), così come dalle frange più oscure del kraut-rock (Can, Neu! ma ancor di più Amon Düül) e dall’elettronica “totale” dei pionieri Kraftwerk, magari in rotta di rendez-vous con il Duca Bianco berlinese ("From station to station, back to Dusseldorf city, meet Iggy Pop and David Bowie", recitava “Trans-Europe Express”). Volendo – e Robb non rinuncia all’occasione di citarla – ci sarebbe anche la giovanissima eroina neogotica Kate Bush, alle prese con le Cime Tempestose di Emily Bronte nel suo primo singolo (“Wuthering Heigts”, per l’appunto).
Insomma, un immenso calderone di influenze che la generazione gothic finirà con l’assimilare e riplasmare in nuove forme secondo il più classico meccanismo del “remake/remodel” (riecco i Roxy Music, casualità?). Ed è a questo punto che a John Robb si presenta la missione (quasi) impossibile del libro: fare ordine, riconoscendo primogeniture e gerarchie, nel fittissimo reticolato di artisti dark che si dirama dalla fine degli anni Settanta fino ad almeno la metà del decennio successivo. Quando un esercito di nerovestiti in trench, giubbotti di pelle, Dr. Martens, ma anche calze a rete, corsetti fetish e vistosi make-up irrompe sulla scena. Rimescolando la variegata centrifuga dei riferimenti estetici così riassunta da Robb: “Il primo glam, i B-movie, l’arte camp e kitsch, l’estetica trash, la psichedelia dei 60’s, la poesia romantica del tardo Novecento, le fascinazioni per le avanguardie dadaiste e per l’era neo-vittoriana, ma anche per la desolazione urbana di Berlino e l’inferno metropolitano di New York, oltre a una buona dose di androginia dandy di diretta derivazione Bowie-Bolan”. Un universo voluttuoso e sessualmente fluido, in cui “i confini erano spesso tanto sfocati quanto il sesso e i feticci visivi erano un punto fermo”.

Siouxsie e (poi) gli altri

 

Siouxsie SiouxPuò essere un’infiltrata del punk – anzi, persino una groupie dei Sex Pistols del famigerato Bromley Contingent – ad aver fatto nascere il goth così come lo conosciamo? Secondo Robb, probabilmente sì, anche se Siouxsie “odia il termine goth”, così come il suo bassista Steven Severin e tanti altri artisti legati al movimento. Del resto, spiega lo scrittore, “nessun musicista vuole essere incasellato in una scena, tantomeno se questa nemmeno esisteva al momento del suo esordio”. Eppure, Siouxsie, con il suo look stregonesco e i suoi occhi bistrati in stile-Cleopatra, resterà per sempre “un'icona goth, un’opera d’arte in continua evoluzione”. Nella stagione d’oro dei Banshees, stuoli di ragazze truccate e vestite come lei (le cosiddette “Suzettes”) affollano i club britannici. E il merito non è solo dell’indubbio carisma della misteriosa Susan Janet Ballion, in grado di diffondere un modello femminile al tempo stesso romantico e aggressivo, sensuale e indomabile, assai poco docile ad adattarsi ai canoni maschilisti del music business.
Ma la rivoluzione di Siouxsie and the Banshees – dal nome del film “Cry of the Banshee” con Vincent Price - è anche e soprattutto musicale. “Non credo sia mai stato sottolineato abbastanza quanto la band sia stata innovativa – sottolinea Robb  nell’intervista a Rumore - Soprattutto nei primi due album, con Kenny Morris alla batteria e la chitarra di John McKay: aveva un sound che sembrava fatto di vetro. Nessuno aveva mai suonato come loro e molti gruppi, come i primi Joy Division, ne furono influenzati. La rarefazione sonora di questi ultimi e quel senso di vuoto contenuto nei brani era già presente nelle canzoni dei Banshees. Con loro la narrazione del punk prendeva per la prima volta nuove strade e diventava il modello per quello che sarebbe stato definito goth”.

 

Semplice, no? Così, tanto per chiarire le idee a revisionisti e detrattori della più celebre icona femminile della stagione goth. Del resto, anche le date vengono in soccorso: è il 20 settembre 1976 quando, al 100 Club di Londra, i Banshees si lanciano in 20 minuti di straziante improvvisazione basata su "The Lord's Prayer", durante il Punk Festival organizzato da Malcolm McLaren, al quale partecipano Sex Pistols e Clash (per l'occasione Siouxsie e Steven Severin assoldano Marco Pirroni, futuro chitarrista degli Adam & The Ants, e Sid Vicious alla batteria!). Siouxsie folgora subito il pubblico con la sua inconfondibile voce: lugubre, roboante, ipnotica, sensuale. Ma a far scalpore è anche la sua presenza scenica tetra, aggressiva e inquietante. “Segnate i Banshees - Fatelo adesso” si legge sui muri di Londra nei primi mesi del 1978. Nel luglio 1978, undici anni dopo il caso dei Doors – come ricorda Robb – il termine gothic viene associato a un’altra band: “Si possono tracciare paralleli e raffronti tra la musica di Siouxsie and the Banshees e quella di architetti gothic rock come i Doors e i primi Velvet Underground”, scrive il critico Nick Kent. Pochi mesi dopo, nel marzo 1979,  tornerà a usare il termine a proposito di “Secondhand Daylight”, secondo Lp dei Magazine di quell’Howard Devoto che aveva mollato i Buzzcocks dicendo “ciò che un tempo era malsanamente fresco ora è un vecchio cappello pulito”.
In autunno, esce “The Scream”, l’album d’esordio di Siouxsie in cui si consuma il distacco dal "no future" dei cugini punk: la musica dei Banshees, infatti, predilige testi arcaici e atmosfere tenebrose, puntando su sonorità cupe, echi, riverberi e distorsioni snervanti. Un clima a metà tra horror e misticismo occulto, che trova nel cabarettismo macabro della rocker londinese il suo veicolo naturale e che avrà modo di svilupparsi ancora meglio nei lavori successivi (in particolare “Join Hands”, 1979, e “Ju-Ju”, 1981). Siouxsie aggiorna in chiave ancor più cupa e melodrammatica le atmosfere scarne e sepolcrali di Nico, cantautrice di riferimento, come detto, per generazioni di goth-fan.

 

Pur con un piede ancora nelle sonorità punk, “The Scream” segnava l’abbrivio di una nuova stagione, perché, come scrive Robb, “dopo la frenesia del punk, i fiori oscuri di Baudelaire stavano ora iniziando davvero a sbocciare”. Anche i Joy Division vengono definiti “gothic”, dal critico Tony Wilson, quando, nel settembre 1978, firmano per la Factory. Nel frattempo, gruppi come Wire e Public Image Ltd. (dove il muezzin John Lydon approda dopo l’esperienza nei Sex Pistols) traghettano il punk in nuove acque, plasmando un sound molto più profondo, atmosferico e allucinato, che acuisce ancor più il senso di smarrimento, e che si riallaccia all'opera di altri pionieri wave come Stranglers e Ultravox!. Tutti decisi a sbarazzarsi della formuletta mandata a memoria per aprire a tastiere e arrangiamenti sofisticati: proprio quei feticci prog che Sex Pistols & C. avevano messo al bando. “Era la generazione punk che reagiva all’eterna angoscia di vivere in Uk circondati da fatiscenti edifici post-industriali e dall’incubo della Guerra Fredda. L’apocalypse party era iniziato”, chiosa Robb.

La mappa dell’oscurità

 

Peter Murphy - BauhausE così goth fu. Un fenomeno sotterraneo che si diffonde a macchia di leopardo alla fine dei 70’s in tutta la Gran Bretagna, avamposto indiscusso del movimento. Sull’onda di serate decadenti a tema Bowie/Roxy Music – ma anche sulle orme dei trip lisergici dei Cramps - sbocciano club alternativi in ogni angolo d’Albione, da luoghi cult come il Phono di Leeds o il Batcave di Londra a club underground di piccole città satellite come Bradford, Northampton, Wakefield o Crawley. Spesso sono semplicemente “discoteche alternative” dove la musica dark si diffonde contaminandosi anche con un universo apparentemente agli antipodi come la black music (alla faccia del presunto razzismo di cui blaterano alcuni critici). “È stata un’influenza chiave – racconta Robb – Il goth ha abbracciato il ritmo e le nuance, la sensualità e la spaziosità della dance music di marca black. Molti musicisti goth hanno assimilato i battiti flessuosi della disco-music e del funk nella loro musica. Siouxsie era una fan della disco, i Sisters Of Mercy fecero una cover di ‘Emma’, pezzo soul-pop degli Hot Chocolate, e in ‘Alice’ non fecero altro che rendere glaciale il groove neo-disco della drum machine, mentre i beat tribali dei Killing Joke erano infarciti di funk e disco - la loro ‘Follow The Leathers” mescolava Donna Summer con l’apocalisse – e la stessa ‘Bela Lugosi’s Dead’ dei Bauhaus si basava su una forma cupa di dub”.

 

Non esiste un vero e proprio epicentro del fenomeno: se la capitale Londra può vantare la maschera iconica della regina della notte Siouxsie Sioux, Manchester risponde con le litanie ipnotiche e agonizzanti dei Joy Division del compianto Ian Curtis (“non una goth band in senso classico, ma capace di esercitare un’enorme influenza sulla scena con la sua immersione nel lato oscuro dell’esistenza”), mentre Liverpool può rivendicare la nuova psichedelia tenebrosamente doorsiana di Echo & The Bunnymen, ma soprattutto i Sound del non meno sfortunato Adrian Borland.

 

Andrew Eldritch - Sisters of MercyÈ però un’altra città a candidarsi come possibile capitale dark: la plumbea Leeds. Già sede dell’iconico Phon, la metropoli siderurgica dello Yorkshire diviene in breve uno dei luoghi-cardine del movimento, dando anche i natali a uno dei messia indiscussi della scena gotica, Andrew Aldritch, che Robb definisce come “un ombroso e carismatico personaggio che da diligente studente alla Clark Kent si trasforma in un notturno frontman”, mettendo la sua ugola catacombale al servizio dei Sisters Of Mercy e delle loro selvagge danse macabre, sospinte da una leggendaria drum machine cui venne anche dato un nome Doktor Avalanche: non ci può essere compendio della stagione goth che prescinda dalle loro “Marian” e “Temple Of Love”. E dal loro nucleo emergerà anche il non meno tetro repertorio dei Mission di Wyane Hussey.

 

Ma c’è anche la remota Northampton, pronta a riesumare le spoglie vampiresche di Bela Lugosi(‘s dead), protagonista del primo inno dei Bauhaus di Peter Murphy, promossi grazie anche alla lungimirante opera del conduttore-dj John Peel e destinati ad assurgere al ruolo di avamposto grottesco del movimento, fondendo i toni macabri e dissonanti del dark-punk con l'atteggiamento teatrale del glam-rock attraverso memorabili incubi e incalzanti danze orrorifiche. Dalla periferia dell’Hertfordshire, Stevenage per l’esattezza, giunge l’eco dei Fields of the Nephilim, cowboy dell’Apocalisse con i loro cerimoniali occulti e ossessivi, in grado di donare al genere una connotazione mai così intellettuale ed esoterica, dove il deserto western di Sergio Leone fa da scenario ai riti pagani di Aleister Crowley.
E se bisogna addentrarsi nella remota Basildon per poter prender parte alla “Black Celebration” dei pionieri synth-pop Depeche Mode – anch’essi fortemente suggestionati dalla darkwave in una fase cruciale della loro carriera - da Crawley, Sussex, giungono i fondamentali Cure, capitanati da quello spirito guida di un’intera generazione di nome Robert Smith deciso, dopo l’esperienza al fianco di Siouxsie, a tramutare il post-punk iniziale del gruppo in una funerea e decadente darkwave, sublimata nella trilogia “Seventeen Seconds”-“Faith”-“Pornography”. “Un capolavoro di melodrammatica malinconia”, quest’ultimo, che varrà loro la trasformazione “da raincoat band a formazione gotica a tutti gli effetti” - cosa c’è di più goth di un incipit come “it doesn't matter if we all die”? (“One Hundred Years”) – come sottolinea Robb, ricordando anche la carica psichedelica dei loro trip, quasi una versione dark dei viaggi lisergici dell’acid blues, sulla scia degli incubi di Smith, “moderno Peter Pan eternamente rinchiuso nella sua stanzetta di nevrotica insicurezza, poesia emozionale e fervida immaginazione”. Un percorso che sarebbe proseguito negli anni attraverso vari generi ma sempre con un piede dentro la loro impenetrabile Forest.

 

Ian Astbury - The CultIn “The Art Of Darkness” hanno un capitolo a testa anche altri nomi cruciali per la diffusione del movimento in terra britannica, seppur solitamente non identificati tra i promotori del movimento. Come ad esempio quei Public Image Ltd. che, attraverso la figura stessa di John Lydon, esplicitarono più di chiunque altro il traghettamento del punk nelle brume nebbiose della darkwave, con i loro psicodrammi claustrofobici e alienanti, tra Box Metallici e “Flowers Of Romance” di baudelairiana memoria. O i non meno lungimiranti Damned di Dave Vanian e Captain Sensible, primo gruppo punk inglese a pubblicare un singolo (“New Rose”) e al tempo stesso tra i fondatori del gothic-rock con il loro miscuglio teatrale di garage, rock psichedelico e cabaret. O ancora il pirata Adam Ant, strabiliante e temerario performer, che - come scrive Robb - “sembrava abbracciare il sesso e il pericolo al cuore del punk” e che in una seconda fase “svilupperà la sua natura provocatoria creando un prototipo gotico e neoromantico”. E infine i Chameleons, con la loro psichedelia post-punk virata in nero, e i Killing Joke di Jaz Coleman, signori del caos “capaci di combinare possente dub, funk tribale, melodie neoclassiche, riff-panzer e voci apocalittiche” in una sorta di permanente attesa dell’Armageddon. “Not goth but definitely dark”, decreta Robb.
Infine, c’è spazio per realtà meno note e certamente sottovalutate, come gli struggenti Lords Of The New Church dell’emaciato e carismatico Stiv Bators, gli Uk Decay da Luton, spesso riconosciuti come i primi a cui è stata affibbiata l’etichetta di “goth band”, e i Southern Death Cult da Bradford, prima ed effimera incarnazione del gruppo di Ian Astbury, destinato a entrare nel cuore del popolo dark sotto la sigla The Cult, in particolare con il fondamentale “Love”, punto d'incontro tra una darkwave evocativa e tentazioni zeppeliniane. Tutti germi di una “febbre nera” che si sarebbe propagata rapidissimamente in tutta la Gran Bretagna, influenzando poi – come spesso accade – il resto del Vecchio Continente.

 

Ma ampio spazio è riservato, naturalmente, anche ai nomi di punta del dark extra-albionico. A partire da quei “cugini” irlandesi che non potevano non risentire della vicinanza geografica con la cupissima Britannia degli Eighties. In particolare, nel dublinese Lypton Village germoglieranno i semi malati di una band come i Virgin Prunes di Gavin Friday, impareggiabili nell’inscenare un raggelante cabaret dadaista, all'insegna di urla e sangue, messe nere e danze sfrenate, nel solco del Teatro del Dolore di Artaud. Un cerimoniale macabro e pagano che troverà il suo vertice nel capolavoro “...If I Die, I Die” del 1982. Tra i membri del circolo di Ballymun, c’erano anche due ragazzi di nome Paul Hewson e David Evans, meglio noti in seguito come Bono Vox e The Edge degli U2. Stessa base di partenza, dunque, per due carriere che scorreranno parallele e quasi complementari tra loro: una sottotraccia, l'altra sotto le luci della ribalta.

 

Nick Cave - Blixa BargeldSono invece soprattutto i clangori metallici dei berlinesi Einstürzende Neubauten a rappresentare l’Art Of Darkness di marca teutonica. Un’impronta sonora claustrofobica e rumorista che cattura tutta la tensione della città lacerata dal Muro in piena Guerra Fredda, gettando le basi per le future diramazioni industrial del movimento (dai Nine Inch Nails in giù). “La dualità di Blixa Bargeld e compagni – scrive Robb – era deliziosamente scioccante. La musica era brutale, magnifica e originale, con tutto il potere gutturale della lingua tedesca a manifestarsi in un’era di dominio musicale anglo-americano”. Il paese del kraut-rock, del resto, aveva contribuito a forgiare quel calderone di stili innumerevoli chiamato new wave, della quale la corrente dark divenne un sotto-genere. E la stessa variante tedesca della Neue Deutsche Welle partorirà interessanti realtà affini all’area dark come le Malaria! di Gudrun Gut (batteria, chitarra, voce) e Bettina Köster (voce, sassofono), delle quali Robb riporta anche testimonianze precedenti legate all’esperienza nel negozio di moda “Eisengrau” nel quartiere di Schöneberg. Una corrente fertilissima che genererà artisti di spicco come Nina Hagen, Grauzone, Abwärts e Xmal Deutschland, nonché un’esperienza cardinale come quella dei DAF (Gabi Delgado e Robert Görl), con il loro minimalismo synth-punk che germinerà nell’Ebm, passando attraverso inni marziali e oltraggiosi come “Der Mussolini” in un tripudio di ritmiche ossessive, a sublimazione del körpermusik, l’incontro più autentico e viscerale tra il corpo e la macchina.
Ed è sempre a Berlino che si incrociano i destini di Einstürzende Neubauten e del bardo gotico per eccellenza, il Re Inchiostro Nick Cave, che all’alba degli anni 80, abbandonate le fetide cantine di Melbourne (Australia), è ancora alla testa dei suoi Birthday Party, “armati della loro visione a tinte fosche del futuro con un sound in cui il dramma di Shakespeare e la poetica di Byron si mescolavano a una violenza criminale ma anche a una malinconica bellezza”, come sottolinea Robb. In un singolo programmatico sin dal titolo come “Release The Bats”, secondo l’autore, si condensa tutta la carica oscura del progetto, capace di detonare nei goth club underground di Londra prima e Berlino poi. Del resto, Cave incarna a pieno titolo il prototipo dell’artista byroniano, con la sua passione per la letteratura e la poesia mescolata a un’attitudine maudit, conseguenza di una vita di eccessi e tossicodipendenze. Lunga chioma nera, viso emaciato, sguardo tetro e profondo, King Ink, alla testa dei suoi Bad Seeds, resterà un’altra delle “maschere” di riferimento di una scena gotica dalla quale però tenterà di distaccarsi progressivamente, stemperando i suoi cruenti baccanali blues-rock degli esordi in un cantautorato “totale”. Ma resta indiscutibile – chiosa Robb – come la sua visione potente e blasfema ne faccia uno dei pilastri del “modern gothic”.

 

Robb non dimentica poi altre realtà solo apparentemente marginali del Vecchio Continente a tinte fosche degli anni 70-80, come la scena post-punk francese, il new beat belga (precursore diretto del techno hardcore) e la darkwave olandese capitanata dagli ombrosi Clan Of Xymox e Gathering, o come la formidabile new wave jugoslava (con un capitolo a parte per il martial industrial degli sloveni Laibach) e le esperienze più misteriose dell’Est europeo (si pensi ai polacchi Siekiera di “Nowa Aleksandria”), oltre al black metal scandinavo (norvegese, in particolare), citando anche formazioni italiane come Neon e Gaznevada (ma dimenticandone altre non meno rilevanti, come Litfiba e Diaframma).

 

Rozz Williams - Christian DeathE poi c’è naturalmente l’intricata cartografia d’oltreoceano, alla quale è dedicato il capitolo intitolato “American Gothic and Dark Art of the American Dream”. In un immaginario itinerario culturale che dal gotico sudista della provincia rurale approda alla futuristica Gotham City, Robb traccia le coordinate di un’America “ossessionata dalla religione” e che proprio per questo ha spesso “danzato col diavolo”, sin dai tempi dei primi bluesmen e rocker – da Robert Johnson a Elvis Presley passando per Little Richard e Jerry Lee Lewis. Detto del cuore di tenebra degli anni Sessanta, incarnato dalla triade Doors-Stooges-Velvet Underground, il rock americano si è poi nutrito di suggestioni gotiche a più riprese, dalle liturgie psychobilly dei Cramps fino alla raggelante art music dei Suicide, per tacere del ruolo svolto dalla musa greca (ma nata a San Diego) Diamanda Galas, con le sue litanie demoniache imbevute di morte e letteratura dark. Del resto – come osserva Robb – la fascinazione dell’America per il lato oscuro aveva radici antiche, da personaggi bizzarri come Vampira, presentatrice tv degli anni 50, a film-cult di George A. Romero come “Night Of The Living Dead” (1968) fino alla venerazione per la festività di Halloween. E la fine dell’utopia hippie, segnata idealmente dalla tragedia di Altamont (dove, durante un concerto degli Stones, il diciottenne afroamericano Meredith Hunter fu ucciso da alcune coltellate sferrate dal violento “servizio d’ordine” degli Hell’s Angels), contribuirà a creare un clima di cupezza crescente che avrebbe influenzato molte band a venire: “Its was getting dark out there”, conclude John Robb.

 

Così anche il punk a stelle e strisce ha il suo “dark side”, che l’autore individua soprattutto in cruciali esperienze underground come gli assalti beach-punk al cardiopalmo dei Black Flag della “belva in gabbia” Henry Rollins, l’horror punk dei Misfits, trainati dal baritono-shock di Glen Danzig, l’immaginario torbido della Queen Of Siam Lydia Lunch, il beach-punk dalle venature torbide degli X della sacerdotessa Exene Cervenka, la nascente psichedelia noise degli Swans di Michael Gira e quella “orchestra della morte” di nome Type O Negative capace di fondere nel suo magma incandescente gotico, heavy-metal, hard-rock, pop e progressive.
Ma è soprattutto con i cerimoniali death-rock dei Christian Death di Rozz Williams che il gotico americano costruisce un’alternativa valida e dirompente al marchio di fabbrica britannico. Il loro debutto “Only Theatre Of Pain” (1982) – come ricorda Robb – “è un'istantanea oscura del ventre cupo di Los Angeles”, con i suoi sabba malefici e le sue atmosfere da rituale occulto, tradotte poi teatralmente sul palco da Williams nei suoi show provocatori, tra vestiti da sposa e crocifissi giganti, per un immaginario blasfemo che avrebbe profondamente influenzato intere generazioni di adepti, a partire dal reverendo Marilyn Manson.

 

Patricia MorrisonIn un’avvincente carrellata, costruita su ricordi, testimonianze, curiosità e acute dissertazioni musicali, Robb fa riemergere questa “mappa oscura” in tutta la sua fervida creatività, donandole spessore filosofico e affidandosi spesso alle parole degli stessi protagonisti, chiamati a raccontare le proprie vicende. E sullo sfondo ci sono loro, i goth. Una popolazione nerovestita e dal cuore in fiamme, che una ex componente della “tribù” come Suzanne Harrington - proprio in un dialogo con Robb sull’irlandese Independent - definisce “creature della notte che si scioglievano al sole e che per lo più provenivano dalle periferie urbane, misteriose anime malinconiche che si accalcavano insieme e il cui aspetto richiedeva un bel po' di impegno, tra “rossetto nero, vestiti di pelle, eyeliner, tinte per capelli, corsetti e calze a rete”.
Fu molto facile liquidare il fenomeno a versione cimiteriale del punk, come se si trattasse di una moda prêt-à-porter passeggera, destinata a essere rapidamente spazzata via. Ma l’evoluzione musicale successiva e le diramazioni della darkwave in altri futuri generi dimostreranno la totale infondatezza di questa tesi, molto cara agli integralisti del rock. Volendo inseguire all’eccesso Robb, si potrebbe stabilire persino un parallelo tra la sottovalutazione dell’arte gotica ad opera dei paladini della classicità in epoca rinascimentale (quelle cattedrali “barbare” sgradite a Raffaello) e quanto accadde alla gothic music all’epoca della sua esplosione, quando recensori in mala fede rinunciarono ad andare oltre il cliché del “mostro in costume”. Oltre tutto, come ricorda ancora Robb nell’intervista all’Independent, la tribù goth era mediamente molto più istruita di altre sottoculture dell’epoca: “Essere gothic significava abbracciare la malinconia, ballare con la morte, cedere al fascino del sesso. Era diverso dalle altre correnti musicali dell’epoca, perché era tutto più incentrato sull'arte e sulla letteratura”. Eppure – spiega ancora Robb a Harrington – “il goth non ha mai goduto dei favori della stampa e anche band come i Bauhaus sono state spietatamente stroncate dalla critica musicale dell’epoca, pur essendo una delle grandi formazioni art rock”.

Remnants of a deeper Darkness

 

Trent Reznor - Nine Inch NailsL’ascoltatore sprovveduto tende a decretare la fine della stagione dark all’incirca alla metà degli anni 80, quando wave e post-punk cedettero il testimone al new pop, lasciando progressivamente il centro della ribalta. Ma, così come per il prog, dato per morto alla fine degli anni 70, è una ricostruzione del tutto superficiale e fuorviante.
Come si diceva, è stato soprattutto l’industrial rock a incorporare, già dai primi esperimenti degli anni 80, attitudine ed estetica dell’era darkwave. È in particolare nella fucina industriale di Sheffield, tra scantinati fatiscenti e vecchie fabbriche abbandonate, che si propaga un fermento creativo irrefrenabile. Il retroterra sono le liturgie rumoriste che il guru Genesis P-Orridge sta facendo deflagrare a Londra con i suoi Throbbing Gristle. Ma gli orizzonti sono ancora più ampi. Possono rincorrere i sogni anarcoidi dei vecchi pionieri dadaisti di Zurigo (Cabaret Voltaire), oppure, possono spostare le lancette ancora più in là, verso un futuro indefinito dove l’elettronica robotica dei Kraftwerk e i groove jazz-funk si lasciano trascinare dai bassi ossessivi del dark-punk verso un’avantgarde minacciosa e destabilizzante, come nel caso dei Clock Dva di Adolphus “Adi” Newton (ex-Human League). Esperienze che si riveleranno indispensabili per lo sviluppo del movimento industrial degli anni Novanta, capitanato dai Nine Inch Nails di Trent Reznor, ma anche da band come Nitzer Ebb, Skinny Puppy e Front Line Assembly. E se gothic è soprattutto un’atmosfera, più che un vero e proprio stile, non potranno non esser accostate al termine anche vicende musicali in parte divergenti, come quelle di Current 93, Coil, Nurse With Wound e Whitehouse.

 

Dead Can DanceUnite solo dall’esile filo rosso delle ritmiche marziali, le scabre sonorità neofolk dei Death In June di Douglas P e le sinfonie elettronico-neoclassiche dei gemelli Nigel e Klive Humberstone aka In The Nursery hanno certamente svolto un ruolo decisivo nel traghettare l’immaginario dark degli Eighties nel decennio successivo, così come l’ethno-gothic arcano e solenne dei Dead Can Dance (Lisa Gerrard & Brendan Perry), definito dal critico Ned Raggetty “un suono europeo consapevolmente medievale”. Quasi superfluo rammentare l’ammaliante bellezza di album come “Spleen And Ideal” (1986), “Within The Realm Of A Dying Sun” (1987) e “The Serpent's Egg” (1988), capisaldi di quella variante 4AD del tutto peculiare, che ha avuto tra i suoi paladini – in campo dream-pop – i leggendari Cocteau Twins, anch’essi peraltro pienamente assorbiti dalla febbre darkwave, almeno ai loro esordi, come testimoniato dal debutto “Garlands” (del resto, Elizabeth Fraser ha sempre ricordato di essere un’ultra-fan di Siouxsie).
Ma l’ombra della darkwave ha lambito anche caliginosi shoegazer ante-litteram come i Jesus & Mary Chain, lasciando un segno evidente anche su quella realtà musicale, così come sui paesaggi dark-ambient (e finanche metal) dei tedeschi Lacrimosa. E – come sottolinea opportunamente Robb – radici goth si sono diramate anche in direzione Bristol, se si pensa alle brume nebbiose dei Portishead o a un cupissimo manifesto trip-hop come “Mezzanine” dei Massive Attack, definito “un riflessivo capolavoro gotico fuori tempo massimo” (con la stessa Fraser guest star). Ancor più audacemente, Robb chiama in causa anche il britpop dei Suede, menzionando la “sensibilità gotica” delle loro canzoni decadenti, tra sesso suburbano e visioni esoteriche.

 

Black Tape For A Blue GirlInsomma, tracce dell’universo gothic, magari scomposte e liofilizzate, sono andate a innervare i generi più disparati. A fungere da trait d’union tra la stagione darkwave e le propaggini attuali è stato anche un sottobosco di artisti, spesso indipendenti, in grado di rinnovare profondamente le radici goth contaminandole con altre suggestioni. Non tutti, a dire il vero, ricordati da Robb – ed è questa forse la principale lacuna di “The Art Of Darkness”. Per una doverosa menzione dell’esperienza di Sopor Aeternus & The Ensemble of Shadows (il progetto gotico-barocco fondato nel 1989 a Francoforte dalla compositrice transgender Anna-Varney Cantodea), manca all’appello, invece, l’intero universo Projekt, che ha il suo faro in Sam Rosenthal, leader dei Black Tape For A Blue Girl - ai quali va ascritto il capolavoro gothic degli anni 90, il neoclassico “Remnants Of A Deeper Purity” (ma anche il non meno entusiasmante “The Scavenger Bride”, dedicato a Franz Kafka e alla Praga del 1913) – e che si sostanzia in una galassia di gruppi dediti al recupero e alla rielaborazione di stilemi dark, come Attrition, As Lonely As Dave Bowman, Unto Ashes, Arcana, Autumn's Grey Solace, Tearwave e soprattutto i magistrali Lycia del chitarrista Mike Van Portfleet, capaci di incarnare appieno questa nuova dimensione della musica dark: non più teatro dell’orrore, pulsione macabra o rituale ossianico, ma rappresentazione metafisica della desolazione, di un pessimismo cosmico (si ascolti l’immenso conceptCold”, sul tema dell’inverno e del gelo isolazionista). Un lavoro per sottrazione, che ha dissanguato il cuore più granguignolesco del gothic rock, per approdare verso la musica da camera e l’ambient-music, sfiorando i toni del requiem e del canto gregoriano.

 

Altra etichetta-chiave di questa riscossa neo-gotica colpevolmente trascurata da Robb è la svedese Cold Meat Industry, fondata nel 1987 da Roger Karmanik e capace di dar vita fino al 2014, anno della sua chiusura, a pagine sontuose di dark-ambient, neofolk e martial industrial attraverso artisti come All My Faith Lost, Atrium Carceri, Ordo Rosarius Equilibrio, Raison d'être e ROME. Manca all’appello anche la cruciale vicenda degli Aurora, il duo tedesco formato da Peter Spilles e Patricia Nigiani come side-project dei Project Pitchfork, capaci di partorire autentici capolavori di questo “rinascimento gotico” degli anni Novanta, come “The Land Of Harm And Appletrees” (1993) e “Dimension Gate” (1994), con i loro lied tenebrosi e romantici, impreziositi da uno straordinario talento melodico.
Sono assenze che pesano, in un volume dal respiro enciclopedico come “The Art Of Darkness”, che mira a rappresentare una sorta di guida definitiva alla musica dark, e la speranza è che in successive ristampe la lacuna possa essere colmata.

Essere gothic oggi

 

Chelsea WolfeL’ultimo capitolo del libro è inevitabilmente dedicato alla contemporaneità (o quasi), con il neanche troppo velato obiettivo di far intendere come di darkness non si possa certo fare a meno in tempi oscuri e distopici come quelli che stiamo vivendo, tra pandemie, guerre, devastazioni e alienazione. Illuminante in tal senso la risposta che Robb dà in un’intervista a Repubblica circa le condizioni sociali e culturali per un possibile ritorno dell’estetica dark: “Il nero è eterno, sensuale, non passerà mai di moda. È vero che il mood attuale ricorda la Londra di fine Settanta, quando vivevamo con un governo terribile e la minaccia della guerra fredda. Ma esplorare il lato oscuro non vuol dire piangersi addosso, anzi. C’è un detto famoso: ‘Se hai paura della morte, non puoi celebrare la vita’. Se il mondo sta finendo, tanto vale fare festa, è proprio nei club che è nato questo movimento. Inoltre, i temi fondamentali della cultura goth sono la morte e il sesso, forze primordiali”.
Doverosi, quindi, i riferimenti ai principali esponenti di area dark post-Duemila, dagli statunitensi Soft Moon di Luis Vasquez, con la loro influenza “Cure-meets-NIN”, ai norvegesi Ulver, protagonisti di una curiosa parabola dal black metal al cupo elettropop depechemodiano di "The Assassination Of Julius Caesar", dai monoliti doom metal dei tenebrosi Sunn O))) alle ipnotiche soundtrack del liutista olandese Jozef van Wissem (memorabili le sue musiche per la coppia vampiresca di “Only Lovers Left Alive” di Jim Jarmusch).
E se l’emo ha introdotto una nuova generazione a certi stilemi goth (si pensi a band come My Chemical Romance, Evanescence o Him), l’ondata nu new wave ha introdotto una sorta di revival dark, che dagli Interpol di “Turn On The Bright Lights” (vicini alle atmosfere dei Joy Division grazie anche alla voce spettrale del cantante Paul Banks, ma con un suono più pieno e stratificato) è approdato alle diverse matrici oscure di gruppi come I Love You But I've Chosen Darkness, Vanishing, Cold Cave, Horrors (specie quelli della pietra miliare “Primary Colours”), nonché i misteriosi Have A Nice Life del monolite nero “Deathconsciousness”.

 

L’intuizione principale di Robb, però, è quella di ravvisare nelle figure femminili le vere protagoniste di questa rinascita dark. Se è vero – come sottolinea l’autore – che “in the 21st century, most contemporary groundbreaking music is made by women”, la mente allora non può non correre alla svedese Anna Von Hausswolff con i suoi “dramatic canyons of atmospheric sound” cadenzati dai rintocchi del suo organo da chiesa, ai plumbei paesaggi neo-gotici-industrial in bassa fedeltà di Nika Roza Danilova aka Zola Jesus e alla musa incontrastata del nuovo goth mondiale: Chelsea Wolfe, tra le più credibili eredi di Siouxsie per iconicità e carisma, capace di interpretare tutte le sfumature (di nero) del nuovo millennio, dal folk al doom-metal (e ritorno), attraverso un percorso personale affascinante, costellato di demoni e redenzioni, abissi di dolore e catarsi salvifiche.

 

Wave Gotik Treffen - LipsiaMa se la musica dark (soprav)vive ancora – magari trapiantata in ambito Ebm e techno o perfino pop (Robb arriva a citare finanche Billie Eilish e Rihanna!) - sicuramente gode sempre di ottima salute la sua estetica, che secondo l’autore è stata ormai completamente assorbita all’interno della cultura mainstream, anche attraverso fenomeni come la saga di Batman (musiche di Hans Zimmer incluse), il “Bram Stoker’s Dracula” di Francis Ford Coppola, l’immaginario noir di David Lynch o l’intera filmografia di Tim Burton, incluso il recente fenomeno seriale di Mercoledì Addams (“Wednesday”), capace di traghettare l’estetica goth anche alla generazione Netflix, oltre a quei fumetti, anime e videogame dai quali la cultura giovanile attinge oggi una cospicua parte dei suoi riferimenti. Una pervasività che fa dire a Robb “The art of darkness is everywhere you look”. Anche se “in continua evoluzione, perché ogni stile quando diventa codificato, muore”. E se le serate a tema goth sono ancora diffuse in tutto il mondo, non mancano anche i festival ad hoc, dall’importante Wave-Gotik-Treffen di Lipsia, che abbiamo avuto modo di raccontarvi più volte su queste pagine, al Projektfest, la kermesse dark-ethereal che unisce molti artisti dell’etichetta di Sam Rosenthal.
Infine, come si diceva, nuovi veicoli di trasmissione come il web e i social network, in un’epoca in cui la musica è divenuta meno centrale. “Penso che i maggiori vettori per la cultura goth oggi siano gli influencer di Instagram e YouTube – osserva Robb nell’intervista a Rumore – Si tratta sempre dei temi della morte, del sesso e della vita. Inoltre è una cultura che ha profondità storica, riesce a darti un'idea di ciò che significa farne parte senza farti sentire intrappolato al suo interno. Spesso chi ama il goth, oltre alla musica, ama la cultura, le arti e la letteratura. Pertanto è possibile che se sei un teenager intelligente e malinconico, quello sia il posto adatto per te”.

 

Intanto, rompendo un lungo silenzio, Siouxsie è tornata in scena con una serie di concerti, inclusa la data italiana al Teatro degli Arcimboldi di Milano. C’è chi per l’occasione ha rispolverato perfino il vecchio guardaroba. E la storia continua...

 

John RobbAutore: John Robb
Titolo: The Art Of Darkness - The History Of Goth
Editore: Louder Than War Books
Pagine: 650
Prezzo: 30 euro
John David Robb (Fleetwood, Inghilterra, 4 maggio 1961) è un musicista e giornalista inglese, noto come bassista e cantante della band post-punk The Membranes, attiva dalla metà degli anni 80.
Scrive e gestisce il sito web Louder Than War e una rivista musicale mensile con lo stesso nome. Profondo conoscitore dell'underground britannico, ha scritto libri su rock band (Stone Roses, Membranes, Charlatans) e realtà musicali come punk e post-punk. Dal 2014 gestisce il festival di scrittura musicale Louder Than Words che si tiene a Manchester nel mese di novembre. Il suo ultimo volume "The Art Of Darkness - The History Of Goth" è disponibile al momento soltanto nella versione originale in inglese.