Autore: Bono
Titolo: Surrender - 40 canzoni, una storia
Editore: Mondadori
Traduzione: Michele Piumini
Pagine: 696
Prezzo: Euro 27
Fourty, quaranta. Proprio come il celebre brano che chiudeva “War”. Anche se l’interrogativo non è più “How long to sing this song?” ma semmai come attraverso queste quaranta canzoni sia possibile ricostruire la storia di Paul Hewson, alias Bono Vox, alias una delle più grandi rockstar planetarie degli ultimi quaranta (eccolo il fatidico numero che torna) anni. Per suggellare la sua prima auto-biografia, il leader degli U2 sceglie anche un titolo fortemente simbolico, “Surrender”, come un’altra traccia di “War” - anche se non c’è niente a che vedere con i riferimenti biblici di quella canzone. “Quando ho iniziato a scrivere questo libro, speravo di illustrare nel dettaglio quanto io precedentemente avevo sempre e solo rappresentato nelle canzoni. La gente, i posti, le possibilità datemi dalla vita. Surrender è una parola piena di significato per me. Crescere in Irlanda negli anni 70 con le mani in alto (musicalmente parlando) non era un concetto naturale e a questa parola ho girato intorno finché non ho raccolto i miei pensieri per il libro. Mi aggrappo ancora a questo genere di imperativo: nella band, nel matrimonio, nella fede, nella mia vita da attivista. Surrender è la storia di un pellegrinaggio che non arriva da nessuna parte… ma con un sacco di divertimento lungo il cammino”. Il solito Bono, insomma, che gioca a spiazzare e disorientare attraverso le pagine della sua vita, della sua band e del suo paese, di cui è diventato la massima icona musicale.
L’espediente di “40 Songs, One Story” consente di strutturare il volume in quaranta capitoli, ognuno intitolato come una canzone degli U2. E l’incipit (“Lights Of Home”) non potrebbe essere più potente: “Sono nato con un cuore eccentrico. C’è una camera del cuore in cui quasi tutti hanno tre valvole, mentre io ne ho due. Due porte a battenti, che a Natale del 2016 stavano uscendo dai cardini”. Il riferimento è alla delicatissima operazione chirurgica cui venne sottoposto al Mount Sinai Hospital di New York: otto ore di intervento durante le quali i chirurghi gli fermarono il battito per salvargli il cuore. E così Bono, che pensava che il suo dono fosse quello di saper trovare la linea melodica della vita, scopre, invece, che il regalo più grande che la natura gli ha fatto è la capacità polmonare.
Da qui in poi, si snoda il racconto di un artista tormentato e combattivo, che comprende di essere al suo meglio proprio quando impara ad arrendersi: dalla nascita nel Northside di Dublino da padre cattolico e madre protestante, in un periodo di crescente violenza settaria in Irlanda, alla perdita della madre a soli 14 anni; dal timore adolescenziale di sentirsi mediocre all’esplosione di una creatività caotica e onnipresente: in studio di registrazione, sul palco, durante una manifestazione, nei corridoi del Congresso degli Stati Uniti o nell'angolo di un bar. Apprendiamo anche delle sue difficoltà a gestire la rabbia, un sentimento che traspare dalle sue canzoni sull'amore e sulla nonviolenza, e lo sentiamo ammettere di avere un ego “ben più grande della mia autostima”. Sotto la sua guida, si compie la vertiginosa accelerazione che trasforma gli U2 da ruspanti teenager dublinesi a rockstar mondiali, fino a stagionati professionisti del mainstream – e Bono non nasconde opinioni anche controverse sulla longevità della band, a fronte di decenni di difficoltà personali e profonde divergenze creative. In parallelo, cresce anche la sua seconda vita di attivista, dalla lotta per cancellare il debito dei paesi poveri alla battaglia contro l'emergenza globale dell'Aids.
Lo stile è diretto, confidenziale, spesso irriverente, con quel tocco di humor caustico tipicamente irlandese. Disseminate tra le pagine molte chiavi per interpretare le canzoni più celebri del gruppo. Ma i capitoli più interessanti sono probabilmente quelli più intimi. Come i passaggi in cui Bono ricorda la sua amicizia con Derek Rowen alias Guggi, compare di scorribande nel North Dublin e animatore del cenacolo alternativo del Lipton Village insieme ai Virgin Prunes (praticamente i cugini underground degli U2). Fu proprio Guggi, tra l’altro, ad affibbiargli il nome Bono, tra i tanti ideati negli anni, “uno più ridicolo dell’altro”. Emoziona anche il racconto dell’addio alla madre Iris: “Portano me e mio fratello Norman in ospedale per dirle addio - scrive il cantante - Entro nella stanza arrabbiato con il mondo intero. Non riesco a capacitarmi che una parte di lei già non ci sia più… Ho pochi ricordi di mia madre. Il fatto è che dopo la sua morte in casa non si è più parlato di lei. Forse, però, la verità è peggiore. E cioè che non abbiamo più pensato a lei”.
E poi la svolta cruciale, datata 1976, quando, a 16 anni, legge un volantino nella bacheca della sua Mount Temple Comprehensive School: “Batterista cerca musicisti per formare una band”. “È buffo come il nostro destino si compia casualmente - ironizza Bono - Siamo tutti stipati in quel forno che è la cucina di Larry Mullen Jr. Come facciamo a far entrare in una stanza tanto piccola la batteria, gli amplificatori e noialtri apprendisti rocker? Adam rappresentava lo spirito rock’n’roll, una specie di Sid Vicious in versione posh. Se Larry ha dato vita alla band, è stato Adam a credere che la band potesse darci una vita”. All’inizio dovevano essere The Hype, diventarono U2: “Nella nostra testa era un aereo-spia, ma è un nome che continua a non piacermi”, ammette.
Una band che, al netto delle divergenze artistiche, si è cementata come una famiglia, con un senso di fratellanza che Bono sintetizza in un episodio accaduto a Phoenix, Arizona, durante il Joshua Tree Tour negli anni 80: qualche giorno prima del concerto, alcune organizzazioni di suprematisti bianchi lo avevano minacciato che, se avesse cantato “Pride” (nel cui testo si descrive l’omicidio di Martin Luther King), non sarebbe arrivato alla fine della canzone. “Attaccammo Pride con aria di sfida, ma alla terza strofa iniziai a vacillare, o almeno a perdere la concentrazione – ricorda Bono - Non era solo melodramma quando chiusi gli occhi e quasi mi inginocchiai per nascondere la paura di cantare il resto delle parole… Quando aprii gli occhi mi accorsi che non vedevo il pubblico. Adam Clayton mi ostruiva la visuale, era davanti a me. Era rimasto davanti a me per tutta la strofa”.
Non può mancare naturalmente il tema della fede, definita come capacità di percepire il segnale nel rumore, una “piccola voce quieta” che Bono percepisce soprattutto nel suo matrimonio, nella sua musica e nella lotta contro la povertà. Ma "Surrender" è anche e soprattutto una storia d'amore dedicata alla moglie Ali, che Bono invitò a uscire per la prima volta la stessa settimana in cui gli U2 avevano suonato insieme per la prima volta e di cui scrive “Quando trovi nella stessa persona amore e amicizia sei di fronte a qualcosa di speciale”. E così i due si sposano giovanissimi, a 22 anni, il 31 agosto del 1982. A tenerli insieme negli anni, però, è anche, paradossalmente, una distanza, che il cantante definisce “entusiasmante” perché non dà niente per scontato, salva un pezzo di ognuno dalla fusione totale e dalla noia. Alison Stewart è la regista delle scene fondamentali descritte nel libro, incluso il terzo atto in cui la coppia sta entrando oggi, alle prese con tante domande e poche risposte su quando vale la pena di combattere e quando è il caso di arrendersi.
Bono ha anche realizzato 40 disegni originali che appaiono in diverse parti dell'autobiografia. A completare l’operazione, infine, un video animato, narrato dallo stesso Hewson e basato su alcuni dei suoi disegni: contiene un estratto del capitolo "Out Of Control", nel quale il cantante irlandese racconta di quando scrisse il primo singolo degli U2: era il 10 maggio 1978, giorno del suo diciottesimo compleanno. “L’avevo intitolato Out Of Control perché mi ero reso conto – e potrebbe esserci sotto lo zampino di Fedor Dostoevskij – che noi umani non abbiamo praticamente alcun potere sui due momenti più importanti della nostra vita. La nascita e la morte. Mi sembrava il genere di ‘fanculo all’universo’ adatto a un grande pezzo punk”.
Paradossale che oggi, gli ideatori di quel primo, strepitoso fanculo siano percepiti da tanti come milionari viziati e un po’ ipocriti. Un destino cinico e baro – e ingiusto, tutto sommato, malgrado il crollo creativo degli ultimi anni – che però mai potrà cancellare l’immagine di quei ragazzi infervorati, che ciondolavano sui loro strumenti ai docks di Dublino, gridando “Gloria in te domine” come se fosse l’espressione della più veemente rabbia di vivere. E chissà che prima o poi anche qualche detrattore non esclami “Surrender” di fronte alla grandezza di questa storia, che dai vicoli di Dublino ha invaso il mondo. Parafrasando Bono, non è mai troppo tardi per arrendersi.
L'indice del libro
Part One
1. Lights Of Home
2. Out Of Control
3. Iris (Hold Me Close)
4. Cedarwood Road
5. Stories For Boys
6. Song For Someone
7. I Will Follow
8. 11 O’Clock Tick Tock
9. Invisible
10. October
11. Two Hearts Beat As One
12. Sunday Bloody Sunday
13. Bad
14. Bullet The Blue Sky
15. Where The Streets Have No Name
16. With Or Without You
17. Desire
Part Two
18. Who’s Gonna Ride Your Wild Horses
19. Until The End Of The World
20. One
21. The Fly
22. Even Better Than The Real Thing
23. Mysterious Ways
24. Stuck In A Moment
25. Wake Up Dead Man
26. The Showman
27. Pride (In The Name Of Love)
Part Three
28. Beautiful Day
29. Crumbs From Your Table
30. Miracle Drug
31. Vertigo
32. Ordinary Love
33. City Of Blinding Lights
34. Get Out Of Your Own Way
35. Every Breaking Wave
36. I Still Haven’t Found What I’m Looking For
37. Love Is Bigger Than Anything In Its Way
38. Moment Of Surrender
39. Landlady
40. Breathe