Certo che avrebbe meritato di vincere lui il 75° Festival di Sanremo. Non c'è bisogno nemmeno di ribadirlo, vista la pochezza di Olly, che manca l'Eurovision per "drammi" tecnici-esecutivi, lasciando almeno a Lucio Corsi la gioia e soprattutto la vetrina di una kermesse che, per quanto oscenamente kitsch, resta un'occasione di lancio considerevole.
Occorre però fare uno sforzo serissimo, fatte queste opportune precisazioni. E abbandonare il Corsi sanremese, quello che vince facile come il naufrago della pubblicità del gratta e vinci, dato il vuoto assoluto intorno a lui, compreso un Brunori Sas approdato "anzianissimo" all'Ariston per allietare le mamme e i papà con un brano stucchevole e peraltro alla De Gregori, cioè la sua fotocopia, va da sé. Perché solo svincolandosi dalle tiritere a basso mercato e dai giudizi nazionalpopolari, pre e post sanremesi, si può tornare liberamente a valutare il cantautore di Grosseto e con una certa serenità.
Va detto che "Volevo essere un duro" comincia con un mezzo capolavoro, piaciuto tantissimo anche a Carlo Verdone, sponsor ufficioso di Corsi in tempi non sospetti. "Tu sei il mattino" è una di quelle canzoni che se fossero uscite negli anni 70 avrebbero conquistato l'universo-mondo italico, sia per la qualità della scrittura che per l'assoluta compattezza melodica, a restituirci inoltre una variante intima di "Cosa faremo da grandi?", confermando in definitiva che il giro melodico indovinato da Corsi, e proposto un po' a naso in diversi momenti del suo canzoniere, è ancora vivo e punta a catturare gli animi di quelli a cui mancano molti pezzi del suo passato.
Corsi fa per fortuna un po' quello che vuole, anche per quanto concerne la licenza espressiva, fregandosene delle potenziali censure dei puristi che gironzolano dalle nostre parti ormai da un po' di tempo. E allora che elogio alle sigarette sia, in appunto "Sigarette", nel primo momento alla Ivan Graziani del disco. Ecco, Graziani. È lui il riferimento assoluto di Corsi in un album che è il più umano della sua discografia. Il meno fiabesco, per farla breve.
Il trentunenne Lucio scende quindi finalmente dall'albero delle stelle, posa Dodò, manda finalmente a quel paese Topo Gigio, Pinocchio, il gatto, la volpe e le conchigliette poverine le ho mangiate tutte, come direbbe il carpentiere al tricheco. Ed è cosa buona e giusta. E veramente cosa buona e giusta è anche uscirsene con nove semplici canzoni e nessuna ospitata di convenienza. Aria all'epidermide. Anche in questo Corsi compie una scelta saggia, fuori dal tempo e quindi sana.
"Francis Delacroix" è invece l'altra perla di "Volevo essere un duro" e contiene una marea di citazioni nobili, che si avvicendano come palline pazze, per una danza surreale, talvolta amabilmente lapalissiana e irta di quadretti impossibili. Da Gengis Khan a Don Chisciotte, Wojtyla e Colombo: non manca quasi nessuno. Corsi si esalta in una canzonetta che avrebbe fatto gola a Graziani (ci risiamo!) e forse pure Carella. E che attesta il suo stato di grazia, al netto dei riempitivi che arrivano puntuali poco dopo, su tutti il rock piacione, ermetico e poco incisivo di "Let There Be Rocko", con il quale il cantautore descrive le bizzarrie di un Lucignolo (si presume) della sua adolescenza.
Francis Delacroix lo trovi in via dei Matti"Questo disco parla d'infanzia, di amicizia e d'amore. È un disco di fantasia con i piedi per terra. In questo album ho cercato di trovare il sogno non fuggendo nel cielo ma strisciando sui marciapiedi, passando sotto i tavoli da pranzo o nascondendomi negli armadi. È un disco di ricordi personali mescolati a storie di altra gente. Ci sono molti personaggi in queste canzoni, da Rocco, il bullo della scuola media, al Re del rave, una sagoma romantica e sgangherata, fino a Francis Delacroix, mio grande amico (forse immaginario, ma non importa)", racconta il musicista toscano. C'è di certo poi troppo John Lennon dietro i tasti di "Situazione complicata", ma va bene così.
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21/03/2025