Dieci Piccoli Italiani

Dieci Piccoli Italiani - N. 33

di AA.VV.

jlenard.J. LENARD – J. Lenard Ep (2013, autoproduzione)
songwriter

Abbiamo parlato a più riprese su queste pagine del lavoro di Juri Di Lenardo, che finora si era fatto chiamare Juri Lenard. Ora il Nostro accorcia ulteriormente il moniker ma, per quest’ultimo Ep, lo spettro musicale è molto più ricco che in passato. Certo, siamo sempre nel campo dell’essenzialità e della delicatezza, ma la chitarra è elettrica e non più acustica, c’è sempre un accompagnamento ritmico, ovviamente leggero, però c’è, e si riscontra anche una certa varietà in termini di pulizia o ruvidezza del suono a seconda delle canzoni. È quindi evidente l’intento dell’autore di non rimanere su quanto fatto in precedenza, ma di impostare un vero e proprio percorso che comunque non comporti la perdita della propria identità musicale. La missione, almeno qui, è perfettamente compiuta: questo Ep è un passo in avanti non solo per le aggiunte specificate sopra, ma soprattutto per l’aumentata qualità del songwriting e per la capacità di catturare totalmente l’ascoltatore, il quale non potrà che sentirsi decisamente coinvolto sul piano emotivo ascoltando le cinque canzoni. Lenard si è dapprima trasferito a Berlino e, stando a quanto scrive su Facebook, al momento si trova in India e si è portato la chitarra. A dirla tutta, ascoltando i suoi lavori viene da augurargli di poter continuare a fare questa vita il più a lungo possibile, producendosi le proprie cose da solo e andando in giro a suonare e a cercare ispirazione. Questo perché un simile contesto appare il migliore possibile per far esprimere all’autore tutte le sue potenzialità e perché questo sembra uno dei pochissimi casi in cui il disinteresse verso il successo non è un modo di dire, ma è un’attitudine mentale autentica e in grado di far felice sia Di Lenardo come persona che noi che ne ascoltiamo la musica (Stefano Bartolotta 7,5/10)


kozminskiKOZMISNKI - Il Primo Giorno Sulla Terra (2013, New Model Label)
alt-pop

Dopo quattro anni di pausa dal precedente album i Kozmisnki di Milano trovano la vera ispirazione in “Il Primo Giorno sulla Terra”. Rispetto alle grasse e pompose produzioni italiote, brani come “La metà” e “Ritornello” riescono a rockare in velocità mantenendo un umore ombroso. Il complesso va anche oltre, con i sovratoni elettronici in una ballad alla “Harvest” di Neil Young di “Granularia”, e i sovratoni alt-country fedelmente Wilco di “Grand Hotel Il Castello”. Prima che diventi revival sixties alla Dandy Warhols, “La notte” è una sorta di tuonante narrazione che si svolge come in un incubo, e la title track è una ninnananna psichedelica che sottilmente ambisce allo status d’inno cantabile. Il cuore del sta proprio in un trittico di canzoni a loro modo ambiziose: “Elliott”, signorile cantata folk-pop che dilaga in un concerto di droni spaziali, “Niente”, incupita danza sudamericana dilaniata dal suo alter-ego indemoniato, e soprattutto - forse il momento più glorioso - la vertiginosa progressione di “Roma”, in mezzo a dialoghi di filiformi tremoli di chitarra e clarino, e una ballata con pianoforte solenne, di certo il pezzo baricentrico con i suoi 7 minuti di durata. Non una sagra del già sentito come il debutto omonimo (2010) ma un ciclo di canzoni che parla più per arrangiamenti mutanti che con le parole. Ne risulta un diario esistenziale - nelle intenzioni Joyce-ianamente ampio un giorno - molle e sconsolato, sorretto da un’oleografia variegata e dall’intelligente scansione dei tempi. Amena ghost track (“Dopo il tramonto”) (Michele Saran 6,5/10)


winterdustWINTER DUST – Autumn Years (2014, Voice Of The Unheard)
post-hardcore

Arriva finalmente il momento del debutto su Lp (sette tracce lunghe) per questa band padovana, se vogliamo molto canonica nelle soluzioni, in cui lo scream di Marco Vezzaro accompagna le progressioni sinusoidali del gruppo, sulle orme degli Explosions In The Sky. Il tono del disco similmente ondeggia tra il pianoforte squillante dell’arrembante brano iniziale, “Fake Beaches”, e del panismo luminoso di “Soil”, e la maggior drammaticità di “Undertow” e di “Early Grey Mornings”. Senza arrivare al senso dell’acrobazia liberatoria dei Crash Of Rhinos, ne condividono però, almeno a tratti, il tiro (“Birthday”); si permettono però un’escursione più ambientale in “Cities Where I’d Stay”. Un nome convincente e credibile nel pur affollato panorama “emo” italiano (Lorenzo Righetto 6,5/10)


losburlaLOSBURLA - I Masochisti (2013, Libellula)
songwriter

Bassista storico della band di Marco Notari, Roberto Sburlati debutta nel tardo 2013 a nome Losburla con “I Masochisti”. Anzitutto espone il suo commentario sottilmente velenoso nelle ballate folk-rock d’avanguardia (“L’imbucato”, modulata con flusso di coscienza sdoppiato fino a farsi disturbo elettronico; “Dilettanti”, tra elettronica videogame e suoni concreti, “Regionale At-To” dall’atmosfera trascendente di tastiere ovattate e chitarre raga) e più canoniche (“Moderno”, una spenta trance umorale, e la soffice e acustica Cat Stevens-iana “Letteratura”). Sburlati impressiona anche nel suo adottare licenze di scrittura pur nel formato breve, come “Il mio processo di beatificazione” ritornello-allitterazione ossessivo e cancellato da una radiazione elettronica, “Amaro”, che oscilla tra combattivo, quasi militaresco, e raffinato pianistico, che alla fine prende il sopravvento con fare accorato, e “Rossetto” anti-ritornello nichilista scandito dai barriti dissonanti di chitarra. Gli elementi di questi brani si coagulano negli 8 minuti della title track, sorta di nuova “Emilia Paranaoica”: aperta, chiusa e accompagnata costantemente da stridori elettronici e una radiocronaca, la cupa jam accompagna il monologo j’accuse di Sburlati, in mezzo a disturbi cacofonici che tentano di remixarla, passa attraverso un momento di arpeggi acustici, e riparte anche più plumbea, citando il basso di “Transmission” dei Joy Division, enigmatica e nudamente strumentale. Concept (auto)erotico, uno dei primi a permettersi il lusso di osservare il marcio che sta dietro social network e mezzi digitali, e di cavarne persino un presagio sinistro, con canzoni a loro modo libere e libertine e una produzione tridimensionale, puntellata di effetti sonori e campionamenti concreti. Mesi di lavorazione, ampio stuolo di collaboratori (Michele Saran 6,5/10)


femmefataleFEMME FATALE – Domestic Peace Ep (2013, autoproduzione)
pop-rock

Questa band di Alessandria è giunta, con il presente lavoro, al secondo Ep. “Domestic Peace” è uscito ormai un anno fa, ma il disco, comunque, merita di essere scoperto anche in ritardo, vista la sua buona qualità complessiva (tra l'altro è ancora in free download dal sito della band). I cinque brani hanno come comune denominatore un suono pulito, un ritmo sempre incalzante, la voglia di porre la melodia in primo piano e l’idea di non basarsi solo sulle linee melodiche vocali ma di dare un ruolo importante anche a incisivi riff di chitarra. Tra un brano e l’altro cambia il mood: “Be Fine” e il singolo dell’anno scorso “Teenage Calling” sono votate alla spensieratezza, cupa e nervosa è invece “No One Will Help You Now”, mentre “Elysian Fields” ha una strofa rilassata e contemplativa e un ritornello rabbioso e infine “Way Out” è la più tirata del lotto. In generale i Femme Fatale mostrano di saperci fare con la materia pop-rock, grazie a una buona ispirazione melodica e a strutture dei brani lineari ma non scontate (Stefano Bartolotta 6,5/10)


theprovincialsTHE PROVINCIALS - Provolone Records (2013, Disco Futurissimo)
garage

Il salernitano Rosario Memoli (già con i Wild Week-End) debutta finalmente a nome Provincials con “Provolone Records”, una collezione di lo-fi amatoriale e spettacolare, introdotta dalle girandole “orchestrali” di chitarre di “Easy Rider” e detonata in una serie di creazioni degne dei Pussy Galore come “The Day” e “I’d Go Through Fire And Water”, il boogie istupidito di “The Devil”, per voce zombie e vocina strillante in lontananza, “Homesick”, nella prima parte una danza primitiva Captain Beefheart-iana scissa in moltitudini di voci, o ancora meglio “The Story”, emanante persino un sentore cosmico, le cui sorgenti tradizionali (voce, chitarra, batteria, basso) risuonano staccate una dall’altra, poi entrano in collisione disintegrandosi in una nuvola elettronica. Quella di Memoli è una sfilata di deformità esilaranti: su tutte la distorsione polverizzante di “Overcome the Enemy” propelle un hard-rock supersonico che capitola in idiozie electro-marziane. Alcune potevano essere più sintetiche e decise. Il ritmo contundente e le distorsioni a martello di “Runaway” con un po’ di coraggio in più potevano diventare un tifone post-industriale alla Big Black. La più lunga, “You Penetrate Me”, è anche la più tradizionale, una costruzione psych-pop formalmente impeccabile e meno allettante delle altre schegge irrazionali; la chiusa di “Iced Instinct” è però quanto di più calibrato, una serenata per sola voce e chitarra, al solito oppressa dalla qualità larvale della definizione. “Best Of” di registrazioni che risalgono a dieci anni prima, fatto di procedimenti di ri-creazione digitale in stile primi Black Lips. Lo si può criticare per mancanza di serietà, ordine, controllo; lo si può elogiare per gli stessi motivi, e anche per le splendide esecuzioni approssimative e possenti: salace alla chitarra, alla voce schizofrenica, all’ebete apparato ritmico. Prima uscita per la neonata Disco Futurissimo di Alberto Maria Spezzaferro (Michele Saran 6,5/10)


letherdiveLETHERDIVE – Steps (2014, autoproduzione)
trip-hop

I bolognesi Trif_o, Francesca Bono (voce degli OfeliaDorme, qui autrice di tutti i brani) e Gianluca Modica si erano già presentati sulle scene nazionali quattro anni fa, in occasione dell'uscita del disco di esordio “The Closet”. Tornano a farsi sentire, dopo un lungo silenzio, con questo nuovo Ep di cinque canzoni che in realtà sono due nuovi brani - “Steps” e “Pieces” - più due remix della già citata “Steps” che portano le firme di Ketvector, Mario Bajardi e una rivisitazione del brano “Almost” contenuto nell'album di debutto. La formula sonora dei LetHerDive guarda ancora al trip-hop bristoliano, si colora di toni oscuri e passi aggraziati esaltando una volta di più la voce della Bono, vero valore aggiunto di questa mini-opera e, più in generale, dell'intero progetto (Fabio Guastalla 6,5/10)


pocketchestnutPOCKET CHESTNUT – Big Sky, Empty Road (2014, Soviet Studios/Audioglobe)
country-blues

La strada sarà pure vuota, ma di certo non è la prima volta che ci passa qualcuno: viene da pensare questo nel sentire il country-rock FM di “Leave & Love”, solo uno della collezione di brani un po’ sempliciotti che compone l’esordio su Lp dei lombardi Pocket Chestnut. Il resto lo fanno stornelli acustici abbozzati, in cui il carisma Behar-iano del frontman si infrange su acerbe costruzioni biaccordo (“Cast Away”, “Almost The End”), che non riescono a superare i limiti espressivi neanche in brani più arrangiati (la vagamente Midlake-iana “Morning”). Rimane il tono libero e tutto sommato fresco delle canzoni. (Lorenzo Righetto 6/10)


albertogesuALBERTO GESÙ - Svegliarsi Gente (2013, autoproduzione)
songwriter

Già con Travolta e Marcho’s, Alberto Cozzi vara il suo personale progetto Alberto Gesù facendosi accompagnare dai Franzoni (Massimiliano Vio, Pietro Pontini, Matteo Minotto) per il debutto “Svegliarsi Gente”. La direttrice è sempre quella della forma-canzone pop tracciata dai suoi due gruppi di provenienza: i vaudeville bonari di “Troppo Avanti”, “Noi Siamo il Mondo”, “Un’Altra Vita”, il lento da crociera di “Hastasiemprebuenasuerte”; solo il canto psichedelico di “Noi Vs. Tutti” apre piccoli squarci d’inquietudine in mezzo al concertino di flicorno, piano e percussioni. La fantasia dei Franzoni in ogni caso aiuta a dipingere i quadretti migliori, dal grottesco liscio guidato dal flicorno di “Un Lavoro Faticoso”, i reggae “swinganti” con filastrocca in rima carichi di svarioni caotici e cambi di tempo di “Idrogenossigeno” e “Dio=Diavolo”, e soprattutto il pastiche di “Dire Basta” (battimani, andamento surf-a-billy, canto al citofono, calderone di rumori elettronici). I loro elementi più tipici - chitarra “trattata”, clima circense, silofono vaneggiante, strumenti giocattolo - si odono forzosamente e fugacemente per una quarantina di secondi in “Mi Vesto Male” a introdurre l’usuale nenia del cantante. Arrangiamenti genuini, spesso pimpanti, talvolta inusuali (perlomeno per un disco di pop italico), ma il timbro canoro e i resoconti di vita di Cozzi, pur surreali nella loro quotidianità, spadroneggiano senza stupire. Con le canzoni migliori si farebbe un gioiellino di mini-Cd. Pubblicato ufficialmente il 25 Dicembre (Michele Saran 5,5/10)


thechanfrughenTHE CHANFRUGHEN - Musiche da inseguimento (2014, Hive Records)
rock'n'roll, funk

Ci sono il rock'n'roll, il funk, il blues e pure certe atmosfere da colonna sonora di poliziesco americano nell'esordio dei savonesi The Chanfrughen, terzetto nato sul finire del 2011 e già autore di un Ep pubblicato un anno e mezzo fa. Testi rigorosamente in italiano, qualche spunto interessante – le tinte pulp de “La Gladio spia e il Commissario Rizzo scopre l'inghippo”, la fusion di “Lucio” (dedicata a Dalla), il funk di “Primo premio un prosciutto” – e numerosi passaggi dalla scrittura decisamente claudicante (su tutte “Dromedario”, che prova a inserirsi nella scia dei Calibro 35, lo stereotipo blues di “Ero un dito”, la prevedibile elegia trash di “Osvaldo Paniccia”). In altre parole, un debutto decisamente acerbo (Fabio Guastalla 5/10)

Discografia

J. LENARD – J. Lenard Ep (2013, autoproduzione)
KOZMISNKI - Il Primo Giorno Sulla Terra (2013, New Model Label)
WINTER DUST – Autumn Years (2014, autoproduzione)
LOSBURLA - I Masochisti (2013, Libellula)
FEMME FATALE - Domestic Peace Ep (2013, autoproduzione)
THE PROVINCIALS - Provolone Records (2013, Disco Futurissimo)
LETHERDIVE – Steps (2014, autoproduzione)
POCKET CHESTNUT – Big Sky, Empty Road (2014, Soviet Studios/Audioglobe)
ALBERTO GESÙ - Svegliarsi Gente (2013, autoproduzione)
THE CHANFRUGHEN - Musiche da inseguimento (2014, Hive Records)
Pietra miliare
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