“Vorremmo vedere un documentario su Cccp e Csi. Sull'evolversi dei Pgr, sul funzionamento dei rapporti umani e interpersonali tra Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni”. I fan del documentario, o meglio, del rockumentario, questa forma d'arte e comunicazione che in Italia sta attraversando da qualche anno un periodo di splendore creativo, puntano in alto.
Fuori dal Nuovo Cinema Aquila di Roma, quartiere Pigneto (“artistoidi che subiscono il fascino della borgata” nella descrizione di Niccolò Contessa), i biglietti per “Fedele alla Linea” sono sold-out già mezz'ora prima dell'apertura delle porte. “Sarebbe un bene se il documentario sciogliesse qualche nodo su certe sparate di Ferretti. Non ché debba chiedere scusa, giusto chiarire”. Tutte le aspettative sono plausibili, considerato il soggetto (Giovanni Lindo Ferretti appunto), il regista (il documentarista e attore Germano Maccioni) e il budget a disposizione non propriamente do it yourself.
Al termine della proiezione si hanno alcune conferme, alcune belle altre meno. Vediamo le prime assieme. Il documentario italiano è vivo, di alto livello espressivo e in grado di incuriosire un vasto numero di persone. Il pubblico, se stimolato, sembra accettare nuovi input e apprezzare. Il tutto avviene nonostante gli spazzi televisivi dedicati al formato documentaristico siano risicati e gli spazi nelle sale assai rari.
Quello che invece sembra mancare è un'idea di fondo. Considerato soprattutto il dispendio di mezzi ed energie a disposizione e la mancanza di un sicuro sbocco televisivo, soprattutto in Italia, si poteva e doveva rischiare di più per evitare di tarpare le ali a un bellissimo volatile. Invece no. “Fedele Alla Linea” di Germano Maccioni eccelle nella fotografia, lieve e affettuosa, ma si perde quasi totalmente nei contenuti.
L'avventura dei Cccp e dei Csi (i Pgr non vengono neanche nominati) è troppo latente a una vicenda umana, quella di Giovanni Ferretti, che viene analizzata solo in parte e non riesce così a incidere nella corteccia cerebrale dello spettatore. La politica, la Mongolia, la malattia - trattata sempre con discrezione e pudore - il rapporto tormentato con la figura materna e il costante accenno alla fede cristiana; nessun argomento viene preso per le redini e condotto in una disamina scrupolosa che sollevi qualche velo o apra qualche vaso.
Certo, si sorride divertiti per una fugace avventura allo Zecchino D'Oro, ma il resto dei filmati sono di repertorio o tutt'altro che memorabili. La dialettica ferrettiana rimane sempre limpida, pura e disarmante ma questo non è affatto un film biografico. Anzi, si fatica proprio a capire cosa sia. E’ un percorso esistenziale in cui tutti (ossia nessuno, in questi casi fa lo stesso) possono riconoscersi? E' un'intervista introspettiva con qualche buona domanda? E' un santino bellissimo e impossibile su un artista “deviante” prestato alla scena indie?
Il regista ha più volte sostenuto che in “Fedele Alla Linea” c’è una grande vicinanza tra Ferretti e Pasolini. Ci consenta di dissentire. Pier Paolo Pasolini era uno che diceva. Ferretti bofonchia. E' molto poetico ma mai chiaro, avulso com'è da quel ciarlare che già odiava nel periodo punk. Quindi accenna, dà al massimo spunti, ma dice poco o nulla. Così come inevitabilmente e umanamente (d'altronde è la sua vita di cui parla) mostra di rado una giusta distanza critica rispetto alle sue affermazioni.
Se ci passate la critica, “Fedele Alla Linea” è un documentario riuscito a metà: estremamente poetico, ma troppo superficiale per un fan accanito e poco incisivo per un curioso che sia appassionato più alla musica che all'equitazione. Già, perché la parte da leone la fanno i cavalli della tenuta a Cerreto D’Alpi, in provincia di Reggio-Emilia. Unici esseri viventi con cui Ferretti dialoga nel suo monologo autarchico. Forse l'unico vero e imperituro amore del cantautore emiliano fin dall'infanzia, i destrieri sono inquadrati in ogni modo possibile e immaginabile. Di più. Sono presi a modello, idealizzati, umanizzati, decantati, mitizzati e alla fine più che un rockumentario, “Fedele Alla Linea” sembra un Dvd-omaggio di Equitazione Oggi.
Più che un docu-film su Giovanni Lindo Ferretti sembra essere un mediometraggio sull'opera equestre “Saga” realizzata a Reggio Emilia dallo stesso Ferretti con i magnifici maremmani della Corte Transumante di Nasseta. Certo, detta così, troverebbero un senso anche i contributi di Emilia-Romagna e Toscana sui titoli di coda, ma ovviamente saranno i soliti discorsi maliziosi da ignorare a pie' pari. Se non altro perché anche questo aspetto, che indubbiamente prevale, non viene certo analizzato a fondo.
Ad esempio, è totalmente assente un accenno al complesso libretto d’opera, in italiano e in latino, e le immagini dello spettacolo danno certamente idea della potenza scenica ma non del contenuto. Quando si riaccendono le luci, dietro di noi una ragazza ironizza: “Se ci hanno rubato la macchina, torniamo a casa a cavallo”. A volte basta una battuta, per esorcizzare una batosta.