Starframes

Street Politics

2009 (Mile High Music)
rock

Attivi dal 2004, gli Starframes sono un sestetto proveniente da Napoli che proprio in questi giorni dà alle stampe il suo album di debutto, “Street Politics”, dopo una serie di esibizioni in giro per la penisola e una manciata di demo realizzati con organici più o meno variabili. Registrato lungo le pendici del Vesuvio, l'album è stato successivamente mixato nello studio Close To The Edge di Londra da un nome importante come Jon Ashley, in passato già al lavoro con Who, Eric Clapton e George Harrison (tutti nomi che, per altro, si ritrovano a livelli diversi nella grana sonora della band).

L'universo poetico ed emozionale degli Starframes pare collocarsi all'interno di quell'irripetibile mito della storia del rock che è stata l'Inghilterra a cavallo tra il 1966 e i primi anni del decennio successivo, poco prima dell'esplosione del glam e, subito dopo, del punk. Nelle loro canzoni non si fatica infatti a ritrovare una serie di colori e profumi che paiono provenire direttamente dall'incanto abbacinante di quegli anni, attraverso un fitto groviglio di riferimenti che vanno dal beat più fremente a un blues psichedelico che non tarda a mescolarsi con i colori più tenui del folk e quelli più acidi del garage. I nomi che vengono in mente sono soprattutto quelli di Small Faces, Kinks, Pretty Things, Yardbirds, ma anche, a tratti, Cream, Pink Fairies e Slade. Quello che rende più preziosa questa operazione, smarcandola dal rischio di esaurirsi in una forma di superficiale antiquariato nostalgico, è senz'altro la qualità della scrittura e la fantasia compositiva che sta alla base delle canzoni, e da questa prospettiva il gruppo dimostra di possedere senza dubbio qualità più che apprezzabili.

Tra le composizioni più riuscite citiamo soprattutto “Stand Up On The River Sand”, sorretta da un riff affilato e da una progressione ritmica poderosa, con una voce appuntita e squillante che si mette subito bene in evidenza. Sulla stessa lunghezza d'onda “Fear And Pride” e “The Pusher”, ben calibrate e avvolte in un tessuto vivace di chitarre scroscianti. Molto belle e godibili anche la corposa “The Truth Lies In God” (con una coda strumentale piuttosto visionaria e free form che pare indicare una direzione di ricerca espressiva sulla quale il gruppo potrebbe insistere con profitto nei lavori futuri) e la rovente “Fire” (forse la migliore canzone dell'album) che lascia invece trasparire la vena più soulful della band, al pari di “Camdem Town”, un esercizio di fine bozzettismo vittoriano in punta di pianoforte che non dispiacerebbe affatto a personaggi come Coral o Badly Drawn Boy.

Nel complesso la band confeziona un esordio solido e perfettamente scorrevole, ben scritto e suonato con intensità costante, che gioca sin dall'inizio a carte scoperte, senza paura di rivelare l'immaginario estetico e sonoro da cui prende le mosse, ma senza neanche scadere in una celebrazione vuota e totalmente autoreferenziale. Al contrario, la band riesce a trasformare la propria passione per un certo universo di suoni e suggestioni tipicamente sixties in materia viva e cantabile, capace di avvolgere l'ascoltatore in un'emozione perfettamente contemporanea e attuale, propria di una musica “vera” che sta accadendo “adesso”.

02/06/2009

Tracklist

  1. I Do Play My Rock And Roll
  2. Stand Up On The River Sand
  3. The Truth Lies in God
  4. Fire
  5. Saints And Blessed Men
  6. Fear And Pride
  7. The Killer
  8. A Desert Storm
  9. The Pusher
  10. Camdem Town
  11. The Afterlife

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