Mouse On Mars

Mouse On Mars

La post-techno futurista

Con le loro sperimentazioni elettroniche, in bilico tra techno e kraut-rock, i Mouse on Mars si sono rivelati una delle formazioni più originali della nuova scena elettronica tedesca

di Claudio Fabretti

I Mouse on Mars sono tra i protagonisti del rinnovamento della scena elettronica tedesca a cavallo tra i due secoli. Le loro alchimie musicali aggiornano lo spirito audace di pionieri dell'elettronica anni 70 come Kraftwerk, Faust e Neu!, dimostrando una peculiare versatilità negli arrangiamenti e nel remixing.

La band nasce nel 1992, su iniziativa di Andi Toma e Jan St. Werner, che si incontrano a Colonia ma si trasferiscono presto a Dusseldorf (la città dei Kraftwerk). Il primo Ep Frosch, su Too Pure, entra nella Top 3 della indie chart inglese nel 1994, mettendo in mostra subito l'approccio "trasversale" della band, abile nel mescolare generi disparati, dalla techno al kraut-rock. Segue il primo album Vulvaland, che alterna momenti di trance psichedelica ("Frosch") ad atmosfere più cupe e inquietanti ("Katang", "Future Dub" e "Chagrin"). Considerati, ai loro esordi, esponenti della scena drum & bass, i Mouse on Mars vengono presto etichettati con altri appellativi: Grind futurista, Kraut dub, Doom house.

Quando nel '95 esce il loro secondo album Iaora Thaiti, Melody Maker conia una nuova etichetta: post-techno, posizionando il disco nella Top 20. L'album combina dub, jungle e hip hop con divagazioni nella world-music e nelle sonorità cosmiche di Tangerine Dream. "Saturday Night Worldcup Fieber" è uno dei momenti più melodici; il drum'b'bass di "Kanu" aggiorna gli esperimenti più bizzarri dei Gong; la dissonante "Schunkel" rievoca i Pere Ubu di "Modern Dance"; mentre "Schlecktron" sembra una sinfonia spaziale dei Tangerine Dream o di Schulze "remixata" in uno studio di post-rock.

Un anno dopo il singolo "Cache Coeur Naif" diventa in breve tempo un club-hit in tutta Europa. Il brano, originale cocktail elettronico di grande brio e freschezza, si avvale delle interpretazioni di Laetitia Saider e Mary Hanson degli Stereolab, con i quali i due tedeschi avevano già lavorato come produttori in precedenza.

Il 12" "Saturday Night World Cup Fieber" è il successivo hit che apre la strada ad una prolifica serie di esperimenti in studio. Nel 1997 i risultati della loro ricerca diventano più visibili, concretizzandosi nel loro terzo album Autoditacker. Il disco passa con disinvoltura dalla techno più frizzante ed eccentrica ("Twift Shoeblade", "Sui Shop") al balletto meccanico di "Schnick Schnack Meltmade", dal reggae di "Scat" al tip tap di "Tux & Damask", fino alla partitura "spaziale" di "Sehnsud". Nel frattempo, esce anche la loro compilation Instrumentals che inaugura la fondazione della loro personale etichetta: Sonig. Da quel momento alle produzioni dei Mouse on Mars si accompagnano quelle di Vert, Microstoria, Scratch Pet Land, F:X: Randomiz e Workshop.

Il successivo Ep Cache Coer Naif, che vanta ancora l'apporto di Laetitia Sadier e Mary Hansen degli Stereolab, consolida la fama della band nei club europei. Una musica ancor più eccentrica connota Instrumentals (1998), con digressioni ambientali come "Pegel Gesetzt" e "Chromatic" e brani più melodici come "Rampatroullie" e "2001".

Nel 1998 il regista americano Josh Evans recluta i Mouse on Mars per sottoporgli la creazione di una colonna sonora. Toma e Warner accettano l'incarico e realizzano la musica con il nome di Glam. Da allora il duo comincia a lavorare alla realizzazione di sigle per la WDR (West Germany Broadcasting), alla composizione di colonne sonore per Arte ed alla creazione di remix per diversi gruppi.

I Mouse on Mars non sono certo delle "talpe da studio": armati di campionatori, computer, sintetizzatori, effetti fatti in casa, nuovi e vecchi strumenti analogici, calcano i palchi di mezzo mondo. Talvolta aggiungendo pochi elementi acustici, quali chitarra, basso o batteria. Il loro primo tour in Inghilterra (1994) è seguito da concerti nel resto d'Europa. Dal 1994 in poi il trio tocca spesso Giappone e Stati Uniti, ottenendo numerosi sold-out. Per poter organizzare più date, il duo appronta anche un potente two-men show.

Dopo l'interlocutorio Ep Hot On The Heel Of Pickly Dead Rizzoms, con la pubblicazione di Niun Niggung nel 1999, il duo si inserisce con successo nella Top 100. Il disco vanta un pugno di "collage" di pop ed elettronica ("Download Sofist", "Disphotek", "Diskdusk", mescolando cadenze robotiche, balletti d'androidi e dissonanze in stile post-rock. Il video di "Distroia", il singolo tratto dall'album e girato dal regista Rosa Barba, viene nominato miglior video nazionale al Viva Comet Award.

Il fatto che il duo riceva un premio al Linz Electronica Festival nello stesso anno testimonia della fascinazione generata delle loro produzioni, che potrebbero apparire pop, club, A-Musik oriented, coalizzando senza sforzo nuovi concetti musicali. Per questo motivo, i due ricevono anche il premio della radio tedesca: l'Eins Live Krone Fuer Innovation (corona/medaglia per l'innovazione).

Dal 1999 Andi Toma e Jan St.Warner tengono insieme conferenze per la musica sperimentale al Technical Institute nella facoltà di Disegno e Comunicazione Visiva.

Che la musica dei MOM sia più un "work in progress", che qualcosa di definito e completo diviene chiaro nel 2000, quando la band fa uscire una versione completamente revisionata dell'album Niun Niggung in Giappone e Stati Uniti. La rivista americana Spin inserisce l'album nella Top 20 dell'anno. Seguono l'indicazione anche diverse chart di college radio.

Di ritorno dal suo tour negli Usa e in Giappone, il gruppo si chiude in studio per registrare il nuovo album Idiology, attorniato da violini, violoncelli, clarinetti, trombe e grand piano. L'enigmatico batterista Dodo Nkishi canta in diversi pezzi, accompagnato da Matthew Herbert al piano. Vert e FX Randomiz, che collaborano ad alcuni programming, il violinista Matty Arouse e il talentuoso Harald Sack Ziegler ai fiati chiudono la ricca lista degli ospiti. Il risultato è un disco sorprendente, una vera lezione di elettronica, piena di spunti originali, a cominciare dall'iniziale, serrata "Actionist Respoke". "Presence" mette in mostra esili cartilagini melodiche e un'ambientazione per piano e voce che riecheggia Robert Wyatt. "First: Break" è un'improvvisazione estrema, tra kraut-rock e rave party. "Fantastic Analysis" è uno strumentale etereo, vicino a certa new age. "Catching Butterflies With Hands" è un altro assemblaggio di improvvisazioni free-form.
"Paradical" è un esercizio raffinato di musica dissonante. "Unity Concept", stampato sul porta-cd, è recitato senza base o quasi da Nkishi. L'effetto complessivo è spiazzante, assordante e ipnotico al tempo stesso. Ma è soprattutto con questo disco che i Mouse on Mars si accreditano come una delle realtà più originali della scuola elettronica tedesca degli ultimi anni.

Con il successivo Agit Itter It It (2002) il duo di Dusseldorf si concede una raccolta di rarità e di remix. Nel frattempo, Werner partecipa a due progetti collaterali, Microstoria e Lithops. Sotto quest'ultimo nome pubblica due album, Uni Umit (1997) e Didot (1998).

L'orientamento più easy degli ultimi anni sfocia in Radical Connector (2004). Per l'occasione la band si trasforma in una piccola orchestra, rinunciando al minimalismo che contraddistingueva le prime prove. Ne scaturisce un lavoro più diretto e "pop", che strizza l'occhio alle discoteche citando gli Air con controtempi e aromi psichedelici ("Mine Is In Yours"), ma anche Prince ("Blood Comes"), seppur frullati e destrutturati come da copione.
Ritmi sincopati di matrice quasi hip-hop ("Spaceship", "All The Old Powers") si mescolano a sonorità suadenti e danzerecce, che spaziano dal dub al (post)techno. La forma-canzone non è mai stata così vicina alle traiettorie del duo tedesco, che, in questo progressivo avvicinamento al pop, perde qualcosa del suo fascino anarchico.

È la Ipecac Recordings, casa discografica dell'eclettico e (artisticamente) instabile Mike Patton, e non nuova a esperienze digital-electro, a pubblicare nel 2006 Varcharz. Il disco però è una delusione. Andi Toma e Jan Werner confezionano brani supponenti, che apportano variazioni minime alla loro struttura approssimativa. Un esempio su tutti è la mini-suite di "One Day, Not Today", dapprima caos-cortocircuito di suoni e beat, quindi impercettibile sostrato industriale, scomposizioni aleatorie e radiazione timbrica finale.
Così dicasi per lo sketch avant-electro di "Inocular", memore di certi Black Dice più distaccati, o la pesante distorsione farcita di goa-trance poco dinamica, esplosione scintillante su andatura motorik e giochetti digitali al laptop di "D¸¸l".
"Hi Finilin" propone timbri vintage-videogame, quasi un cut-up di sonata per Atari e campionatore, ma esaurisce l'interesse all'ascolto nel giro di qualche minuto. "I Go Ego Why Go We Go I Go Ego Why Go We Go" approda al French touch vecchio (Cerrone) e nuovo (Daft Punk), secondo una cavalcata di house progressiva kitsch-retro rivisitata alla loro maniera (ispessimenti dell'atmosfera e del groove, effetti e decorazioni di sfondo), e "Skik" ha un battito dance-rock scarsamente ballabile, che pure funziona meglio come raccoglitore di esperimenti sconnessi.

Nel 2007 Mark E. Smith, padre-padrone dei Fall, chiama a sé Jan St. Werner e Andi Toma, per un bizzarro progetto sotto la sigla Von Südenfed, Tromatic Reflexxions, all'insegna di una sorta di punk-funk che spinge sull'elettronica, sul quale lo sdentato cantante inglese sputa invettive con il suo miglior piglio.

Devono trascorrere sei anni prima che, nel 2012, il duo si rifaccia vivo sulle scene. Il nuovo lavoro, intitolato Parastrophic, segna una nuova partnership discografica, questa volta con la Monkeytown di proprietà degli amici Modeselektor, e suona come il tentativo di uscire da un'evidente carenza d'ispirazione con il colpo da maestro, il tiro che non t'aspettavi, l'asso nella manica o il gioco di prestigio: ma è in realtà il goffo parto di un duo apparentemente rimasto senza un sound o una formula, che ripudia se stesso e quel che ha proposto fino ad oggi, virando verso una moltitudine di strade totalmente al dì fuori della propria portata. E così ci ritroviamo a navigare tra colate di glitcherie più dolciastre di Hudson Mohawke ("The Beach Stop", "Syncropticians" e "Imatch"), inusuali ritmiche funkyttare del tutto fuori luogo ("Metrotopy"), deliranti derapate hip-hop in pieno territorio Perfuse 73 ("Chordblocker, Cinnamon Toasted", "Baku Hipster") e salti a pie' pari nella techno più scontata ("Wienuss", lontano anni luce da Deepchord) e pure in un'house che pare una via di mezzo tra Stylophonic e i Chemical Brothers di "Push The Button" ("They Know Your Name"). La conclusiva "Seaqz", sorta di scimmiottamento di LFO, è forse l'unico episodio salvabile di un album che ci regala un crollo ancor più accentuato e goffo del precedente, e che ci si augura possa restare isolato ed unico.

Gli ultimi e ben poco ispirati lavori proposti da St. Werner e Toma non sono però certo in grado di intaccare un percorso quasi ventennale - all'insegna del recupero e dell'assemblagio di generi e tendenze divenuti capisaldi della musica elettronica - durante il quale i Mouse On Mars hanno saputo scrivere alcune fra le pagine più interessanti del modernariato elettronico tedesco.

Contributi di Michele Saran ("Varcharz"), Matteo Meda ("Parastrophic").

Mouse On Mars

Discografia

MOUSE ON MARS

Vulvaland (Too Pure, 1994)

7

Iaora Tahiti (Too Pure, 1995)

6

Autoditacker (Too Pure, 1997)

7

Cache Coer Naif (Too Pure, 1997)

Instrumentals (Thrill Jockey, 1998)

Glam (Thrill Jockey, 1998)

Pickly Dead Rizzoms (Sonig, 1999)

Niun Niggung (Thrill Jockey, 1999)

Idiology (Thrill Jockey, 2001)

7

Agit Itter It It (Thrill Jockey, 2002)

Radical Connector (Sonig, 2004)

6

Varcharz (Ipecac, 2006)

4,5

Parastrophic (Monkeytown, 2012)

4

VON SUDENFED (con Mark E. Smith)

Tromatic Reflexxions (Domino, 2007)

6,5

Pietra miliare
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