Il giorno prima dell’uscita del ritorno “elettronico” dei Bdrmm, nonché loro terzo capitolo, “Microtonic”, abbiamo chiacchierato un po’ con Joe Vickers per saperne di più in merito alle tematiche affrontate nell’opera, tra distopia e introspezione, e soprattutto di questa nuova direzione intrapresa a livello stilistico, in attesa di rivederli a Milano e a Bologna e poter finalmente sentire i nuovi brani dal vivo a fine marzo.
Ciao Joe! Domani esce “Microtonic” e a breve partirà il nuovo tour a supporto dell’album, come ti senti?
Sono davvero emozionato. Ovviamente c'è sempre una lunga attesa tra la fine della registrazione di un album e poi la sua pubblicazione effettiva, la gente che ascolta la musica e tutto il resto. È fantastico averlo finalmente pubblicato e penso che la cosa che ci piace di più sia suonare le canzoni dal vivo. È davvero emozionante andare in tour con il nuovo disco e poter condividere con il pubblico le nuove canzoni.
A livello di sound vi siete avvicinati a territori molto più dance, quali sono state le influenze che vi hanno ispirato durante la composizione del disco? Ascoltavate artisti in particolare?
Penso che abbiamo tutti ascoltato molta più musica elettronica in generale, che si tratti di Four Tet, che si tratti dei Radiohead. Voglio dire, ci sono influenze che abbiamo sempre avuto per molti anni: Aphex Twin, Squarepusher, quel tipo di cose ci sono sempre state. Ryan e Jordan, che fanno anche la maggior parte delle composizioni, hanno entrambi sviluppato le loro capacità in termini di creare musica elettronica. Io e Conor lavoriamo in modo molto diverso. In un certo senso lavoriamo sui loro demo e costruiamo le canzoni. In termini di influenze esterne, solo un sacco di cose che stanno succedendo nel mondo: riflette molto su cose terribili che stanno accadendo nella società, politicamente e anche sull'ansia quotidiana. Quindi è un po' come cercare di racchiudere un sacco di temi in tutto questo, e spero che arrivi agli ascoltatori. Oltre a ciò, ho appena finito di leggere un libro di Philip K. Dick, quello che ha ispirato "Blade Runner", “Do Androids Dream Of Electric Sheep?”, giusto qualche settimana fa, e questo è quel tipo di idea distopica di futuro che suona come un tema in tutto l'album.
La traccia più rappresentativa di questa piccola evoluzione può essere considerata “John On The Ceiling”, scritta a inizio carriera e completata molto dopo, giusto?
Assolutamente sì.
La canzone mi ha incuriosita anche per i temi trattati, ovvero quelli della confusione e del dubbio, me ne puoi parlare?
Ciò che riguarda le liriche è ovviamente più materia di Ryan; ma penso che avere a che fare con molte di quelle emozioni continue e dubbi, per i quali tutti dobbiamo lavorare giorno per giorno e capire quale sia la strada migliore da seguire, molto di ciò sia in qualche modo racchiuso nei testi di quella canzone.
Nel disco sono presenti anche due tracce collaborative, “goit” con Syd Minsky-Sargeant dei Working Men's Club e “In The Electric Field” con Olivesque dei Nightbus. Com’è stato lavorare con loro?
Sono entrambi artisti che rispettiamo enormemente. Per quanto riguarda Syd dei Working Men's Club, il loro primo album è stato una grande influenza per me in particolare. Ho amato quel disco e lui ha continuato a produrre grandi lavori da allora. Quindi averlo con noi è stato un vero onore, è un ragazzo fantastico. Molto di ciò è stato fatto via e-mail, come molte cose al giorno d'oggi. Per la registrazione vera e propria della sua voce, gli abbiamo mandato la traccia e lui ha capito al volo quale idea avessimo. La prima cosa che ha detto è stata: “È esattamente quello che stiamo cercando”. Penso che lui colga l'atmosfera dell'album nella sua interpretazione e i testi si adattano davvero molto bene a quella traccia di apertura. Olivesque dei Nightbus la conoscevamo dal tour dell'anno scorso. È una persona eccezionale ed è stato fantastico passare del tempo con lei, sembrava che si adattasse proprio a quello che stavamo cercando per quel disco. E ancora, la sua interpretazione, la voce parlata e poi l'entrata nel ritornello epico sono state così spontanee, come se avesse centrato il bersaglio al primo tentativo. La sua voce è assolutamente incredibile e, anche dal punto di vista dei testi, coglie in un certo senso i temi che stiamo cercando di trattare. Quindi è stato un grande incontro.
Ascoltando “Clarkycat” ho trovato dei rimandi trip-hop in zona Massive Attack e nella coda finale qualcosa di big beat in stile Chemical Brothers. Com’è nata questa traccia?
Questa era una demo di Ryan che, in un certo senso, non suonava per niente come la versione finale, davvero. È un’altra di quelle occasioni in cui una traccia è stata presa come demo in studio e poi spinta, tirata e portata in tutte le direzioni diverse. Credo che gli ultimi due minuti di quella canzone, quel lungo outro che inizia con quel delizioso synth, sia probabilmente uno dei migliori pezzi che abbiamo mai creato. E poi il modo in cui entrano le chitarre e il basso; abbiamo appena imparato a suonarla live perché ovviamente l'avevamo scritta principalmente in studio. Quindi imparare a farla dal vivo è stata un'esperienza davvero divertente per tutti. L'outro di quel brano è il genere di musica di cui siamo molto orgogliosi ed è quella la direzione in cui vogliamo andare. I progetti che hai menzionato in termini di trip-hop e big beat sono tutte cose che ascoltiamo da molti anni. Quindi è bello poter usare quelle influenze in studio e spingere in quella direzione.
Come detto, uno dei fili conduttori dell'album a livello di temi è quello della distopia applicato alla realtà che stiamo vivendo. In “Snares”, ad esempio, emergono dei riferimenti a un tempo deformato relativo alla pandemia e ai cambiamenti a cui ha contribuito nelle vite dei singoli. Com'è cambiata la tua vita personale e come musicista dopo la pandemia?
In molti modi. Credo che tutti ne siano stati colpiti, non è vero? Alcuni più di altri. Da quel momento, il mondo sembra un posto stranamente diverso. Immagino che il panorama politico, con le cose che stanno succedendo in questo momento in America, in Palestina, credo che abbiano pesato su molte persone. E anche per noi, abbiamo avuto la questione della Brexit, che credo sia avvenuta qualche anno prima, ma è qualcosa che incombe su questo paese, come i problemi principali che sono in corso da molto tempo. E poi penso, a livello personale, quell'interazione sociale con cui a volte possiamo tutti lottare, esserne sopraffatti, e in un certo senso affrontare quelle cose quotidianamente. La cosa interessante di essere in una band credo sia che abbiamo tutti vite separate, non siamo in una fase in cui guadagniamo un sacco di soldi e possiamo non avere un lavoro. Tutti noi dobbiamo in un certo senso trovare un equilibrio tra queste cose. Penso che ci siano molte pressioni, come musicista al momento, per cercare di fare un po' di soldi, abbastanza per sopravvivere, vivere e riuscire a pagare l'affitto allo stesso tempo. Ma al contempo siamo così fortunati perché possiamo andare in tour, incontrare nuove persone e fare cose emozionanti, visitare nuovi posti e cose del genere. Non penso che qualcuno di noi cambierebbe tutto questo, nemmeno per un secondo. Ci sentiamo molto fortunati, oltre al fatto che è piuttosto difficile farlo davvero. Stiamo solo sistemando il tour al momento e siamo in un buco finanziario con tutto questo. Quindi è un cercare di andare avanti al meglio che possiamo.
Una delle tracce che preferisco del vostro nuovo album è “Sat In The Heat”, ne apprezzo l’andamento in ascesa in relazione al testo. C'è la ricerca di una via di uscita almeno attraverso il sogno in questo brano?
Sì, e penso che sia forse uno dei testi migliori di Ryan all'interno dell'album. So che quando l'ha scritto era in visita alla sua ragazza in Spagna. Ed è una specie di strana atmosfera, che penso sia in tutto l'album: a volte questa musica bella ed edificante contrasta con i testi, come dici tu, cercando l'evasione in essa, con questi temi distopici che ricorrono dappertutto. Credo che ci sia un bel contrasto tra quella musica e le tematiche oscure che la accompagnano.
Qual è la tua traccia preferita di “Microtonic” e perché?
Penso di averne due che spiccano per me. Mi piace molto “Snares”, la quarta canzone, che è una specie di spoken word con una voce davvero edificante. Credo che sia una sintesi reale di ciò che stiamo cercando di ottenere al momento. Rappresenta tutti noi che contribuiamo con i nostri espedienti migliori, dove tutti siamo in grado di sperimentare e spingerci il più possibile. E l'ultimo brano, “The Noose”, che per testo e vocalità si colloca tra i miei preferiti che Ryan abbia mai realizzato. Conclude davvero bene l'album e porta a questo tipo di outro ambient, sul quale Jordan ha lavorato molto duramente, e anche Alex Greaves, che è stato il nostro produttore, ha davvero supportato lo sviluppo di tutto ciò. Questi sono i due brani che per me risaltano davvero.
Ci sono band o artisti con cui vi piacerebbe lavorare prossimamente?
Oh, è una bella domanda. Sì, sono sicuro che ce ne siano. Non me ne viene in mente uno in particolare al primo impatto. Voglio dire, dipende da dove andremo in futuro. Ci sono un sacco di artisti elettronici e persone con cui vorremmo essere coinvolti, per remixare le nostre tracce e cose del genere. Siamo anche molto fortunati ad aver fatto un tour con alcuni gruppi davvero interessanti come Dive e Nightbus, abbiamo suonato con i Working Men's Club e gente del genere. Di conseguenza è stato fantastico poi collaborare a questo album. Ed è qualcosa che sicuramente cercheremo di fare nei futuri album, perché è stato bello avere il contributo e i suggerimenti di altre persone. Quindi sì, è sicuramente qualcosa che siamo desiderosi di esplorare, ma non mi vengono in mente nomi specifici per ora.
A fine marzo tornerete in Italia con due date a Bologna e Milano. Con queste nuove sonorità cosa dobbiamo aspettarci dai vostri live?
È un grande cambiamento. Ovviamente stiamo ancora suonando un sacco di vecchie tracce, e quelle che presumo siano le preferite dei fan in quanto tali dal primo e dal secondo album. Ma le canzoni del nuovo album sono molto più elettroniche. Ci sono momenti in cui suoniamo tutti i synth, seguendo una direzione leggermente Kraftwerk. Conor sta facendo molto di più roba da drum pad, mixando la batteria dal vivo e cose del genere. Quindi ci sono un sacco di novità in corso. Siamo davvero emozionati di suonare quel mix di vecchie tracce che hanno la potenza grezza della batteria dal vivo e delle chitarre shoegaze, ma anche di essere in grado di avere canzoni più introspettive, e avere una sorta di dinamica di passaggio tra entrambe è piuttosto eccitante.
Penso che sia tutto. Grazie mille del tuo tempo, Joe, in bocca al lupo a te e al gruppo per l’uscita di “Microtonic”, ci vediamo a fine marzo!
Grazie mille a te, ciao!
(22 marzo 2025)
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