Blue Willa

Una proiezione art-rock

intervista di Fabio Guastalla

I dischi di esordio “Baby Blue” e “Come!” prodotti da Paolo Benvegnù, l'esplosione con l'eclettico “We Don't Know” del 2010 e infine la consacrazione con il nuovo “Blue Willa”, che diventa pure il nome del progetto. Serena Altavilla, Mirko Maddaleno, Lorenzo Maffucci e Graziano Ridolfo, da Prato, tracciano in una manciata di anni una parabola musicale che va dal blues minimale al folk scordato, da un cantautorato sghembo e teatrale all'art-rock. Una traiettoria che schiva i generi per prediligere la sperimentazione, cercando sempre e ostinatamente l'elemento più raro e prezioso del panorama contemporaneo: l'originalità. Ne parliamo con Serena, Mirko e Lorenzo a pochi giorni dall'uscita dell'album.

Partiamo dal nome: vi conoscevamo come Baby Blue, perché questo cambio di ragione sociale? E qual è il significato di Blue Willa?
Serena: Abbiamo cambiato nome proprio per poter perpetuare la storia dei Baby Blue e dargli una continuità; era arrivato il momento dello sviluppo per la nostra creatura e come ogni passaggio di fuoco va accettato e assaporato. Insomma non è una ragione sociale ma piuttosto una ragione di vita, e nella vita ci vogliono tagli e nette ripartenze.
Lorenzo: Willa è un nome femminile (forse è una storpiatura di “Willow”?) che sa un po’ di America arcaica, rurale, fluviale. Chiaramente è tutta America che non possiamo che conoscere dai margini, ed è ciò che è restato impigliato tra le mani dopo aver visto, rivisto, rimuginato il film “La morte corre sul fiume”, a giochi fatti una raccolta di visioni che, a sorpresa, abbiamo scoperto risuonare in maniera sorprendente con le ambientazioni che si stavano man mano dettagliando. La decisione di questo parziale smascheramento, di adottare questa nuova mezza identità, è arrivata quando le registrazioni del disco erano quasi arrivate al termine, quando cioè era chiaro quanto di “progettualmente inedito” per noi costituissero i nuovi pezzi nelle nuove forme.

We Don't Know”era un album esuberante, capace di giostrare con evidente abilità chiaroscuri in un moto schizofrenico che poteva portare dalla filastrocca sghemba a furiose accelerazioni rock. In “Blue Willa”tutto ciò viene ulteriormente esplicitato, quasi fosse un percorso naturale, scritto, forse anche giunto a compimento. E' stato così? Come nascono i vostri pezzi?
Mirko: “We Don't Know” conteneva sicuramente molti dei germi che hanno dato vita a “Blue Willa”. A posteriori mi sembra che in quell'album abbiamo affrontato una serie di barriere che stavano iniziando a imprigionarci, le abbiamo prese a testate fregandocene di ogni questione di tempistica, di economia e talvolta di buon senso. Alla fine sono cadute, e credo che questo disco sia l'inizio della ricostruzione di una musica libera da quelle barriere. Al di là di esse abbiamo anche ritrovato Serena nei panni di autrice e di chitarrista e Lorenzo al basso.
S: “We Don't Know”è stato concepito e registrato in una situazione molto diversa rispetto a questo disco e le circostanze e i suoi fumi si instillano nei pezzi e non li lasciano più. E'stato strutturato con molto più rigore e meticolosità nei dettagli, mentre per questo ultimo disco abbiamo lasciato che le cose trovassero un loro respiro; il nostro pensiero principale era quello di tornare sempre vicinissimi all'idea originale, alla scintilla che accende una melodia o una storia. 

Ripercorrendo la vostra discografia, si nota un processo di allontanamento dal rock-blues delle origini verso una sperimentazione sempre più radicale e istintiva, quasi aveste deciso a un certo punto di seguire unicamente l'urgenza espressiva mettendo da parte gli schemi prestabiliti. Quanto c'è di calcolato e di spontaneo nella vostra arte?
M: Quello che dici è sicuramente evidente nel risultato finale e lo abbiamo tenuto ben presente in fase di scrittura e arrangiamento, ma dire che è qualcosa di calcolato sarebbe falso: la verità è che non ne abbiamo mai parlato, considerando come evidente il fatto che era quella la direzione nella quale volevamo andare tutti. Per questo, quando è venuta l'idea di Carla Bozulich come produttrice, a tutti è sembrata una cosa naturale.
L: In cerca di modelli o maestri ci piace individuare artisti che abbiano chiaro che lo scarto fondamentale consiste nel portare avanti un discorso (anche zoppicante, anche abbozzato, non importa) che sia dilaniato da un eros reale, totale. La “grazia”, o la “forza”, o la “coerenza” o quello che vuoi in quei casi seguono naturalmente.
S: Abbiamo trattato queste canzoni come tanti pezzi teatrali, monologhi, ditirambi, dialoghi senza forzare la loro natura nella maniera più assoluta, anzi lasciando che fosse la natura stessa del pezzo a sovrastare il resto.

Nella vostra musica il ritmo sembra avere la stessa importanza della frammentazione, così come il rapporto tra ciò che c'è e ciò che manca. Quale ruolo riveste il vuoto nel processo creativo e nel risultato finale?
S: Ci ha sempre emozionato il cambio rapido e repentino dentro un brano, il fatto di poter toccare il pieno e il vuoto con una canzone è stimolante e motivante e si sposa bene con li nostro istinto musicale e animale.
M: Per me il vuoto è ciò che c'è di più prezioso, perché è in esso che si racchiudono tutte le infinite possibilità della musica. Il vuoto distrugge tutto ciò che è falso o parziale, stimola l'immaginazione e perciò crea mondi. Per far risaltare ciò che manca (che in realtà c'è ma è in potenza) non c'è altro modo che lavorare sul suo rapporto con ciò che c'è. E' quello che facciamo, sia pure in maniera quasi totalmente istintiva.

Esiste un filo conduttore a legare i vari pezzi di Blue Willa- ad esempio il campionario di animali che vengono citati - oppure certe similitudini sono semplicemente inconscie o casuali?
M: Direi che sono inconsce, ma certamente non possiamo affermare che siano casuali o non casuali.
S: Tutti gli animali e i personaggi quasi umani (ma quasi) del disco sono stati prima di tutto dei suoni che ci hanno guidato e ora eccoli lì!
L: In una fase iniziale abbiamo tentato di stabilire quantitativamente se e cosa fosse dentro o fuori dal perimetro di gioco del disco (cosa, cioè, potesse definire un concept, anche blando), ma presto ci siamo arresi e abbiamo lasciato che le assonanze si cercassero da sole, senza mediazioni diverse da quelle dell’analogia o dell’assonanza timbrica.

Se doveste scegliere un solo aggettivo per definire la vostra musica, quale sarebbe e perché?
S: “Onomatopeica”, perché è così che ci capiamo meglio.
M: "Essenziale", perché cerchiamo sempre di scavare per raggiungere ed esaltare l'essenza dei pezzi, abbandonando tutto ciò che è superfluo. 

Si è parlato molto del fatto che a produrre l'album sia stata Carla Bozulich in persona. Cosa hanno dato in più la sua presenza ed esperienza?
S: E' stata un'esperienza che ancora non abbiamo finito di elaborare; Carla è una donna selvaggia e conturbante, con una delicatezza e una devozione per la musica totale. Ci ha consegnato la sua esperienza e la sua essenza con naturalezza, senza risparmiarsi mai e soprattutto non ha forzato mai i pezzi, anzi li ha saputi vivere e far volare.
M: La sua vita ruota completamente attorno alla musica, e di conseguenza riversa in essa tutto il suo essere. Con una persona del genere devi essere pronto a dare tutto, non c'è possibilità di nascondersi. E' così che ha lavorato con noi, era come una centrale elettrica alla quale eri invitato a connetterti, e questo ti dava la forza di registrare un brano alle tre di notte dopo un'intera giornata di lavoro su un altro brano. Lavorare con una persona del genere è un'esperienza con un valore che va al di là del disco e che continueremo a portarci dietro.

E' nota la vostra passione per il cinema, e d'altronde nei vostri live non manca la componente teatrale, soprattutto nella figura di Serena. Per quale regista vorreste comporre una colonna sonora, e a quale film del passato vi piacerebbe ispirarvi per comporla?
M: "Fata Morgana" di Werner Herzog.
Serena: Io scelgo una colonna sonora per David Lynch ispirata a "Cuore Selvaggio", sempre di Lynch. 

La Toscana, negli ultimi anni, si è contraddistinta per la quantità e la qualità delle nuove proposte musicali. Quanto è stato importante, per voi e per la vostra crescita, essere parte di tale fermento?
S: Sì è vero, siamo in ottima compagnia e ci sentiamo forti e fortunati perché avere tante persone musicali intorno è stimolante!
L: La città in cui viviamo e/o vivacchiamo è, sul versante umano e urbanistico, una colossale cittadina di provincia che si estende tra Firenze, Prato e Pistoia, una pianura (che da noi chiamiamo “piana”) di qua dall’Appennino che, a partire dalla fine degli anni Novanta, è stata terreno fertile ma scomposto per la germinazione di una quantità di piccoli sperimentatori e grandi speranzosi. Alla carenza dei cosiddetti “spazi” (non sempre un problema reale) o all’insipienza dei cosiddetti “operatori” (un problema un po’ più concreto) hanno fatto fronte entusiasmo, genuinità, sfrontatezza.
Non diremmo che si tratta di una vera verissima “scena”, come si dice, quanto di un coagulo di piccoli testardi ammirevoli resistenti che, di tanto in tanto, ha lasciato scappare qualche portavoce. Quello che sta succedendo in questa pianura oggi, negli ultimi mesi, è ancora più avvincente perché prevede la diretta movimentazione di una generazione giovanissima, nativa digitale e infinitamente più sgamata di noialtri della vecchia scuola, che di palo in frasca azzecca sempre e sempre più spesso il fatto che l’unica via percorribile oggi sia quella della discrepanza.

Discografia

Baby Blue (come Baby Blue, 2006, autoprodotto)
Come! (come Baby Blue, 2009, autoprodotto)
We Don't Know (come Baby Blue, Trovarobato, 2010)
Blue Willa (Trovarobato, 2013)
SOLKI
Peacock Eyes (Ibexhouse / Astio Collettivo / Fegato Dischi / Sacred Hood / Santa Valvola)
SERENA ALTAVILLA
Morsa (Blackcandy, 2021)
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming


Fishes
(videoclip da Blue Willa, 2013)

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