Il progetto Psycho Kinder, attivo dal 2009, è nato da un’idea del vocalist e paroliere Alessandro Camilletti, ed è in sostanza il moniker con il quale l’artista maceratese esprime la propria arte sonora, in bilico tra post-punk, filosofia, spoken word e avanguardia. Testi pregni di assunti metafisici, catarsi interiori, pragmatismo e disincanto postmoderno, accompagnati da un amplesso elettro-wave che non fa prigionieri, incarnano uno spirito artistico nobile e fuori dal comune. Dopo l’esordio del 2014 e un secondo disco ancor più cupo e claustrofobico, Camilletti ha deciso di plasmare le proprie allucinazioni in una versione estesa (e remixata) dei suoi brani, con i ritocchi di ospiti illustri del calibro di Andrea Chimenti, Lisfrank e Carnera. Lo abbiamo raggiunto in un’intervista nella quale definisce al meglio la propria missione, tra concetti filosofici, immediati progetti futuri e una serie di sguardi lucidi sulla contemporaneità.
Sono circa nove anni che porti avanti il progetto Psycho Kinder. Che cos’è successo in questo decennio?
Penso che il progetto abbia seguito una naturale evoluzione maturando gradualmente sia nei testi, che rimangono l’elemento centrale, che nelle musiche e nella produzione. L’approccio resta quello di sempre: scrivo e concepisco un nuovo lavoro solo se ispirato. Non avendo contratti da rispettare e mode da inseguire, posso lavorare con la massima libertà. Nel tempo le collaborazioni si sono moltiplicate e mi hanno permesso di svariare maggiormente, soprattutto in ambito elettronico. In questo percorso ormai decennale non posso non citare compagni di viaggio fondamentali come Giorgio Mozzicafreddo, con cui il progetto è nato, Michele Caserta, che si è occupato degli arrangiamenti, delle registrazioni e dei mixaggi di molti brani, Luca Barchiesi, Ali Salvioni e Giovanni Leonardi, musicisti con i quali il feeling è stato sempre incredibile, Marco “El Topo” Luchetti, autore di sei copertine, e Francesco Pirro (Celery Price) che per “ExTension” ha remixato “2009”, curato la grafica e realizzato due videoclip. E’ stato stimolante anche partecipare ad alcuni lavori (“Mastice” e “Morire”) di Fabrizio Testa; esperienza che è culminata con l’Ep “Free Camilletti!”, uscito un paio d’anni fa. Suggello ironico e giocoso del nostro sodalizio.
Nella tua musica si evince una tensione nevrotica costante, un mix esplosivo di darkwave e synth-rock impressionistico. Musicalmente, da dove nasce il tuo progetto e cosa ti ha spinto verso queste sonorità distopiche e così dannatamente ansiolitiche?
Joy Division, Death In June, Franco Battiato e i Cccp sono stati probabilmente gli autori che più hanno ispirato le atmosfere e i suoni della prima parte della nostra produzione. Psycho Kinder nasce essenzialmente come personale via di fuga dalle convenzioni sociali, dai ritmi asfissianti della quotidianità. L’amore per la vita e per le relazioni autentiche mi fa sentire fuori posto in una società sempre più omologata e superficiale. Una società che, come dice Calasso, pensa di risolvere tutto al suo interno, rinunciando definitivamente all’invisibile. Tutto si crea e muore un attimo dopo. Questa, a mio avviso, è la vera radice del nichilismo, anche se spesso si presenta con il volto sorridente.
Dopo due dischi, sganciati tra il 2014 e il 2016, hai messo definitivamente a punto le singole canzoni del passato attraverso un remix a più mani, con ospiti eccellenti del calibro di Kill Your Boyfriend, Deca, Degada Saf, Andrea Chimenti: tutti assieme appassionatamente per degli stravolgimenti localizzati, inebrianti e per certi versi definitivi circa un modello già di per sé estremamente mirato all'esaltazione di un caos stilistico a suo modo organizzato, talvolta seguendo richiami elettronici e analogici ben precisi. Com’è nata la scelta di queste collaborazioni/rivisitazioni? Dove sei intervenuto e dove invece hai lasciato modellare liberamente i singoli collaboratori?
“ExTension” è tensione che si rinnova per mano di artisti che apprezzo molto e che sento vicini, non solo musicalmente. Ho cercato con questa operazione di valorizzare diversi brani-simbolo della nostra produzione dando come unica indicazione la libertà totale di trasfigurare i pezzi. Alle declamazioni di Valerio Zecchini e Andrea Chimenti, due voci uniche e diversissime, ho affidato l’apertura e la chiusura del cerchio, lasciandole esaltare le parole di “Nel caos dell’ecumene” e “Essere”, che considero due testi chiave del nostro progetto. Sono molto soddisfatto per il risultato finale di ogni singola rivisitazione e per lo spirito di partecipazione che hanno avuto tutti, senza riserve.
Solchi Sperimentali Discografici: com’è nata la collaborazione con Cresti?
Con Antonello ci conosciamo dal 2010 e ci si vede spesso. Quando uscì il suo saggio su industrial e folk apocalittico, “Lucifer Over London”, mi recai a Firenze da semplice appassionato per scambiare due chiacchiere con lui e in seguito lo intervistai per la webzine Raw & Wild. L’anno dopo ci ritrovammo al Villa Festival dove si esibirono i Sol Invictus e Sieben. Poi nel corso degli anni le occasioni per vedersi sono state sempre più fitte ed è nato un rapporto di amicizia e stima reciproca. La Rete dei Solchi Sperimentali (che comprende saggi musicali, l’omonimo film e l’etichetta che ha coprodotto “ExTension”), di cui Cresti è il motore principale, merita un plauso per il valore culturale che esprime e per la promozione di individualità artistiche trasversali e non allineate.
I tuoi testi sono mediamente pregni di citazioni filosofiche importanti, passaggi interiori messi sul piatto talvolta anche con nonchalance, come nel caso dei turbamenti di “Un uomo”. C’è speranza in questo maledetto mondo iperaccelerato da un turbo-capitalismo sempre più digitalizzato e vanesio oltre ogni umana misura?
Ero un avido lettore di Nietzsche (il brano culmina con la declamazione di un passo tratto da “Ecce Homo”) quando scrissi “Un uomo” che resta, comunque, un pezzo sostanzialmente autobiografico.Non faccio previsioni, tendo ad avere una visione ciclica della storia. Le aberrazioni ci saranno sempre, così come i punti di rottura da cui potranno nascere nuove esperienze illuminanti. In questo momento purtroppo all’orizzonte non si vedono vie d’uscita dal modello di sviluppo economico in cui stiamo vivendo. Il pensiero occidentale (ormai globale) ha spinto la tecnica al timone della società.
In “Oltre il tempo” provi a spingerti al di là degli orizzonti. Parli di mondi al collasso, inferni vari, spiriti che tiranneggiano la verità. Carlo Rubbia, rispondendo a Massimo Fini, anni fa definì questo mondo come un treno in viaggio che per sua coerenza interna non può più fermarsi ed è costretto ad accelerare sempre più. Dunque pare quasi sia inevitabile andare a sbattere prima o poi…
La natura sta già presentando il conto di questa “accelerazione” con le alterazioni climatiche e gli altri scompensi ambientali a cui stiamo assistendo. Temo che senza una diversa consapevolezza collettiva le cose non possono cambiare che con eventi catastrofici. “Oltre il tempo” parla proprio di questo e invita, nel finale, a recuperare il rapporto perduto con la natura e quindi con il sacro.
Le allucinazioni di “Viaggio allucinato” sono dei tentativi di fuga da una compressione forzata, o un modo come un altro per esorcizzare i propri malesseri diffusi?
“Viaggio allucinato” è una fotografia tragicomica della contemporaneità, in cui le riflessioni sul male di vivere hanno un taglio più ironico che speculativo.
Nel brano “La coerenza della follia” (dall’album “Il tramonto dell’evidente”) subentra imperioso l’omaggio a Emanuele Severino. Cosa ti lega al grandissimo filosofo bresciano?
Considero Emanuele Severino un gigante della filosofia e soprattutto un intellettuale aperto e poliedrico, non un semplice accademico. Qualche anno fa gli ho spedito una copia dell’album “Il tramonto dell’evidente” accompagnata da una breve nota e lui molto gentilmente mi ha risposto, ringraziandomi per l’omaggio. L’eternità di ogni essente contrapposta al senso greco del divenire, che per il filosofo è l’essenza stessa del nichilismo, è un concetto che ho approfondito con molto interesse.
"La vita ci illude, ci irride e ci seduce/ e a volte ci mostra nel chiarore di una penna/ l'eterno conflitto dell'indivisibile/ in cui l'uomo si smarrisce" (da “Essere”). Dove comincia la filosofia e dove invece finisce la musica?
Con Psycho Kinder spesso provo a fondere le due cose utilizzando una forma di scrittura poetica. Di recente il critico Piero Scaruffi, intervistato da Francesco Nunziata, alla domanda "A cosa pensi di preciso quando pensi alla 'musica classica'?" ha risposto "Penso alla poesia e alla filosofia". Trovo interessante questa definizione, pur non condividendo molte delle sentenze che Scaruffi ha espresso in ambito musicale.
Chi è, a tuo avviso, il cantautore più “filosofico” della nostra tradizione musicale?
Franco Battiato.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
E’ nata da qualche mese una collaborazione molto intensa con Deca. Il frutto di questo nuovo sodalizio sarà l’album “Diario ermetico” che vedrà la luce entro la fine del 2018.
Puoi darci qualche anticipazione? Un testo?
Volentieri: ""L'ultimo uomo/ Griderà nel deserto/ E la sua voce/ Fermerà il mondo/ Disperso il fumo/ Tutto apparirà/ Come sempre è stato/ Dimora necessaria".