Di fianco a costoro, invero numerosi e ancor più rumorosi, vi sono poche persone che non hanno sentito il bisogno di salire su alcun carro (funebre), ma che per tributarne il mito hanno dovuto semplicemente essere se stesse. Una di queste è Andrea Chimenti, così insospettabile da essere partito con i live, di cui questo disco è il frutto, alcuni mesi prima della morte della grande leggenda del rock, e ancor più insospettabile per via di una orgogliosa coerenza artistica, niente affatto calligrafica, che raramente ha fatto scopa con le luci della ribalta. Non che gli sia mai mancato l'appeal, la bella presenza, e men che meno la voce, ma più semplicemente l'inclinazione a compiacere altro che non sia l'espressione della sua personalissima arte.
Il Bowie chimentiano è un fiume carsico che nasce da lontano, a cui si può attribuire il merito di aver indirizzato le pulsioni e la prima parte di carriera di Andrea coi Moda (ragazzi, mi raccomando, attenti a non mettere accenti), ma che è poi scorso per decenni sottotraccia, riaffiorando d'improvviso con questo progetto, sorprendendo alle spalle il Chimenti cantautore tormentato e intimista a cui qualcuno forse pensava di aver preso le misure.
E tuttavia, dinnanzi a una sfida così ardita, il pedigree non basta, giacché alla normale complicazione che un musicista affronta cimentandosi con un repertorio non suo, qui si affianca quella di dover scalare un mostro sacro, il più grande esempio di "recitazione" sulle sette note che il rock abbia mai partorito.
Crediamo che il segreto della buona riuscita dell'opera sia da attribuire alla passione e alla sincerità del suo autore, che non è caduto né nella tentazione di strafare, né in quella di stravolgere gli spartiti, mantenendo - ove possibile - un'immediatezza vicina a corde espressive a lui già familiari. Niente appare più semplice di ciò che viene naturale. E così il variegato repertorio bowiano viene riletto con la disinvoltura e la personalità di chi ne ha saputo cogliere anche i dettagli, restituendone una dimensione diretta e confidenziale, ben supportata da un combo di musicisti altrettanto appassionati, di cui citiamo per tutti il figlio Francesco Chimenti, abile polistrumentista già con i suoi Sycamore Age.
Da rimarcare la sofisticata scelta della scaletta, che spazia dalla fine degli anni 60 ("Space Oddity") all'ultima "Lazarus", ripercorrendo sì alcune tappe assai note ("Heroes", "The Man Who Sold The World", "Starman", "Life On Mars?") ma senza tralasciare delle autentiche chicche, come la splendida "Quicksand" tratta dalla (anche nostra) pietra miliare "Hunky Dory", oppure l'accoppiata "Fantastic Voyage"- "Yassassin" dal sottovalutatissimo album "Lodger", con quest'ultima che aggancia scientemente una produzione del 1984 della Contempo Records a nome Litfiba: una cover-simbolo della gloriosa stagione fiorentina che vide anche Chimenti come suo protagonista.
Registrato a Fiesole nel maggio scorso, impreziosito dal quartetto d'archi "I Nostri Tempi", "Andrea Chimenti canta David Bowie" è un live raffinato e ambizioso, in cui cuore e talento trovano una sintesi che non mancherà di appagare anche i palati degli estimatori più esigenti dell'indimenticato Duca Bianco.
(13/10/2017)