Roly Porter

Tempo, spazio e visioni oltre il possibile

intervista di Matteo Meda e Michele Palozzo

Nell'era del trionfo della spettacolarizzazione formale e della destruktion dell'elemento emotivo, dell'"accelerazionismo" e del disincanto (con riferimento, fra i tanti altri esempi, alla schizofrenia ipnagogica di Oneohtrix Point Never, ai collage hd-pop di Holly Herndon, alle iperboliche geometrie surrealiste di Arca), si è compattato da qualche anno un trend di ricerca musicale e sonora collocabile su un versante esattamente opposto. Quasi per reazione, si è andata sedimentando un'estetica volta a un "reincantamento" atmosferico, a un recupero e a un'elevazione dell'impatto fisico ed emotivo a cuore dell'indagine sonora. Il tutto attraverso la ripresa di concetti "tradizionali" come armonia e coralità e delle istanze teoriche e dinamiche del minimalismo, ripensate come assi portanti su cui produrre forme di saturazione e immersione sonora. Se Tim Hecker (fino a "Virgins" incluso) e il primo Ben Frost (prima della "svolta" iper-massimalista di "A U R O R A") possono essere individuati come i capofila di questa ondata, e "Wilderness Of Mirrors" di Lawrence English come il suo frutto probabilmente più emblematico, la sua definitiva sistematizzazione si deve in buona parte a realtà come l'etichetta Subtext e, soprattutto, a due lavori usciti proprio quest'anno: "Continuum" di Paul Jebanasam e "Third Law", il terzo album di Roly Porter. L'ultimo capitolo di una potenziale trilogia, il compimento di un percorso di esplorazione di un "cosmo sonoro" con i suoi sistemi solari, le sue supernove e il loro ciclo vitale e in ultima istanza le sue leggi fisiche, avviato dall'artista di Bristol già nei precedenti "Aftermath" e "Life Cycle Of A Massive Star". Protagonista di un'evoluzione insolita quanto totalmente coerente, che lo ha visto reinventarsi letteralmente dalle ceneri della bass music ribollente realizzata con l'ex-socio Kuedo a nome Vex'd, Porter si è oggi definitivamente affermato come una delle figure-chiave per l'odierna scena elettronica, e da questa nuova consapevolezza è ripartito per ideare un live show complesso e immersivo, realizzato assieme al visual artist berlinese MFO. Lo abbiamo incontrato in occasione della sua partecipazione a #MASH 2016, il festival organizzato da S/V/N/ a Milano, giunto quest'anno alla seconda edizione e dedicato all'individuazione e presentazione dello "stato dell'arte" in tema di contaminazione sonora e ruolo dell'elemento "etnico" nel contesto dell'odierno "mondo liquido".

MP: Il tuo recente lavoro, “Third Law” (2016, Tri Angle) non è soltanto un album di grande impatto, a tratti letteralmente mozzafiato e capace di avere una presa immediata sull’ascoltatore: per certi versi è anche una visione terrificante sulle forze sovrastanti dell’universo conosciuto. È soltanto l’effetto desiderato delle tue creazioni o vi hai espressamente conferito un senso di paura individuale?
Grazie, mi fa piacere che la pensi così, ma non credo di averlo fatto. Spesso trovo che il senso di tensione o paura di cui parli provenga dalla struttura e dal senso di aspettativa. Senza le strutture ritmiche tradizionali è possibile creare lunghe sequenze di tensione. Ciò che ho attivamente provato a creare è un’esperienza d’ascolto che sia il più possibile immersiva. Adesso che abbiamo accesso a così tanti contenuti trovo che l’esperienza d’ascolto sia svalutata in molti sensi e mi trovo a passare attraverso le cose molto più rapidamente. È raro che metta da parte il tempo opportuno per impegnarmi sulla musica come facevo tempo fa. In ciascun album ho voluto creare qualcosa che non funzionerebbe in forma di singole tracce, ma solo come esperienza d’ascolto completa, nel tentativo di imporre un ascolto più appagante.
Provando a rappresentare le diverse forze dell’universo, tutto ciò che possiamo tentare di fare col suono è di creare un ambiente dove è più facile pensare a certe cose, provare a creare uno spazio dove le persone possano dedicarsi al pensiero riguardo a cose che il resto della loro vita non gli permette di fare. Scrivi un album e quello è un modo di dire a qualcuno: “Ecco trenta minuti della tua vita dove ti è permesso sederti nel tuo spazio personale e pensare”, che è un lusso raro di questi tempi.

MP: Sembra che i tuoi lavori più recenti operino a livello macroscopico, come in direzione di un costante allargamento di prospettiva. Senti la necessità di spingerti verso una descrizione della realtà che ne superi i caratteri immediatamente percepibili?
Sono diventato ossessionato dallo spendere quanto tempo mi è possibile pensando allo spazio, e ho scoperto che questo aveva un forte impatto sulla mia vita quotidiana. È tutto dentro la nostra realtà, è tanto reale quanto la tua strada o il tuo lavoro, solo che io scelgo di concentrarmi su di esso finché posso. Ovviamente gli accadimenti della vita deviano la nostra percezione e il tempo speso a esplorare i pensieri sul tempo e lo spazio è un privilegio. L’opportunità di scrivere questa musica è il privilegio definitivo, in quanto mi dà la possibilità di pensare su questa scala per lunghi periodi di tempo. Ho scoperto che più tempo spendevo in questo spazio, tanto più positiva diventava la mia relazione col presente. Ignorando gli attuali cambiamenti politici o gli eventi presenti ho cominciato ad amare la vita, l’umanità. Il modo in cui guardavo alla mia vita, alla vita dei miei figli, tutto ha iniziato a cambiare vedendolo da questa prospettiva. È questo il motivo per il quale voglio scrivere musica basata su queste tematiche: la musica può essere un’opportunità per guardare al di fuori del presente e darti il tempo e lo spazio di sperimentare il mondo da una prospettiva diversa.
Ovviamente ci sono aspetti negativi in questa linea di pensiero. Questo paese (l’Inghilterra, ndr) e altri stanno attraversando tumulti politici, ci sono molte persone nel mondo che hanno realmente bisogno di aiuto e ogni forma di evasione dalla realtà potrebbe essere considerata egoistica. Inoltre non sto trascurando l’importanza delle posizioni politiche o sociali nella musica, ma questo progetto ha riguardato la fissazione su un senso di scala e di tempo e il tentativo di creare una colonna sonora che mi aiutasse a rimanere lì.

MM: Se “Life Cycle Of A Massive Star” rappresentava un'indagine sonora in divenire, una ricerca in evoluzione su se stessa, la mia lettura di “Third Law” lo identifica come una sorta di punto d'arrivo. Quasi un tentativo di sintesi di quegli elementi che da “Aftertime” in poi si sono lentamente amalgamati fino a raggiungere un equilibrio. Credi si tratti del tuo lavoro più completo?
Lo considero il completamento di quella serie di lavori iniziata con “Aftertime” ed è lecito affermare che abbia una struttura più solida dei due precedenti, ma è anche molto differente. Volevo allontanarmi dall’approccio concettuale alla composizione ed esplorare le idee di movimento e ritmo senza concentrarmi così fortemente sulla narrazione. Alla fine ho trovato necessario progettare una struttura narrativa per l’album, ma è assai meno letterale che nei due precedenti e si è trattato soltanto di uno strumento compositivo anziché di un tema specifico da condividere con l’ascoltatore.

MP: Sappiamo che conosci bene Paul Jebanasam e la sua straordinaria tavolozza sonora improntata a una sensibilità dal respiro sinfonico; stesso discorso per il suo talentuoso collega Oliver Peryman, sotto il moniker FIS; anche Lustmord ha recentemente pubblicato su Touch il suo ultimo album, “Dark Matter”, composto con materiali audio provenienti da archivi di osservatorii spaziali. Si potrebbe decisamente dire che si tratti di una tendenza ricorrente nella nuova musica elettronica, non soltanto dal punto di vista tematico ma anche della profondità dei suoni esplorati e sperimentati dagli artisti. Te ne sei accorto anche tu? Non potrebbe essere una reazione inconscia all’iper-frammentazione operata da altri protagonisti come Oneohtrix Point Never, Holly Herndon e /f?
È una domanda interessante, perché mentre scrivo musica mi sforzo di non ascoltare la musica di altri per evitare di esserne influenzato, ma quando poi fuoriesci da quel processo trovi che si verificano comunque delle somiglianze attorno a te. Ogni artista da te menzionato ha uno stile molto individuale, ma è vero che ci sono temi e influenze simili che guidano certi gruppi di persone e ciò si riflette nelle loro analogie. Anche altri fattori producono una loro influenza, come gli sviluppi tecnici nella produzione musicale. In un certo senso, mi piacerebbe sentirmi più connesso con l’idea che si stiano manifestando dei movimenti musicali. Non sento la necessità di una definizione di genere, ma vorrei avere la sensazione di muovermi in avanti come parte di qualcosa. Mi piace il tuo suggerimento di una “risposta inconscia a un’iper-frammentazione”, sono affascinato dalla velocità odierna delle idee, ma bramo anche il silenzio e lo spazio.

MP: Domanda di rito: chi o cosa ha avuto un’influenza determinante nella tua produzione musicale - sia esso finzionale o di vita vissuta –?

Film
Libro
Musica
Arte
Scienza
Religione
Tecnologia
Amore
Odio

Ciascuno è il risultato di un insieme di influenze così complesso che nominarne solo alcune non avrebbe senso. Ciò che ho cominciato a notare di recente è che le esperienze che ho avuto tra i 10 e i 20 anni di vita sono ancora le più potenti e determinanti, e ho riflettuto sulla nostra capacità di essere davvero influenzati o di cambiare dopo quell’età. Posso ancora accrescere e sviluppare nuovi interessi ma il potere delle influenze che hanno attraversato i miei anni decisivi ha un impatto molto forte sul mio modo di vedere il mondo.

MM: Mi ha sempre affascinato molto il tuo "caso artistico": mi riferisco alla radicale mutazione del suono che hai evoluto nel corso della tua carriera solista rispetto alle coordinate dell'esperienza Vex'd. Un fenomeno che, almeno in parte e in una direzione molto diversa, ha riguardato anche Kuedo. C'è a tuo avviso una qualche forma di continuità tra la bass music di allora e le "sinfonie digitali" di oggi?
C’è la continuità tecnica, in quanto sto cercando di ottenere la stessa scala e potenza che ho sperimentato nella sound system music, e la modalità d’ascolto proviene da quell’ambiente invece che da quello di un concerto. Ma c’è altrettanto a cui sto cercando di sfuggire. Con questo progetto l’obiettivo iniziale era di evadere dalle costrizioni di genere e funzione della musica da club.

MP: Presto sarai a Milano per presentare il tuo recente set audiovisivo (in collaborazione con MFO) nell’ambito del festival Savana MASH. Ci parli un po’ del concept di questo progetto e di cosa dobbiamo aspettarci dalla vostra performance?
Quando discutevo dei piani per questo progetto con Marcel (MFO), in quel periodo era molto interessato a quale sarebbe la reazione umana di fronte all’esplorazione di territori che non potremmo immaginare. Per esempio, potrebbe non essere possibile esplorare di persona il nostro sistema solare, ma in un futuro prossimo potrebbe essere possibile usare droni, e noi ci siamo interessati alla risposta emotiva nell’utilizzo della realtà virtuale o nel far volare droni in ambienti alieni. Lo spettacolo è una combinazione di video e luci stroboscopiche ed è una continuazione dell’esplorazione di movimento e ritmo dell’album.

MM: Ancora a proposito di #MASH: credo tu conosca il background teorico dietro cui nasce il progetto di questa tre-giorni, l'idea di un'indagine sulla "liquidità geografica" del concetto stesso di produzione musicale odierna. Credi che la tua ricerca come artista, anche in progetti passati come Vex'd, abbia qualcosa a che fare con questo modello interpretativo di un "suono globale"? E in questo senso, quale ruolo possono giocare nell'odierno "mondo liquido" e iperconnesso, la provenienza geografica di un artista e il suo background etnico – e specificamente nel tuo caso?
Provengo da una posizione privilegiata, in quanto sono un uomo bianco dal Regno Unito. Raggiunta una certa età, ho notato che la maggioranza di chi incontravo facendo musica elettronica era del mio stesso tipo. C’era una vasta gamma di influenze nella musica che ascoltavo, ma non era in accordo con le persone intorno a me con le quali lavoravo. Ciò è ovviamente problematico a livello personale, ma è anche rappresentativo di un quadro più ampio. Può darsi che Internet abbia contribuito a cambiare le cose, ma non dubito che ci siano ancora persone che sbattono contro un muro, persone che meritano di essere ascoltate e che per qualche motivo non lo sono.
C’è un grande valore nel rifuggire qualsivoglia tradizione musicale in cui ti trovi e nel venire a contatto con altre persone e altre strade. Vorrei poterlo fare di più e so che il mio panorama musicale è abbastanza ristretto. La mia musica non è un commento politico o sociale, è una forma di evasione, ma devo essere conscio del fatto che la possibilità di avere tempo e spazio per scriverla, e un contesto per presentarla, è un privilegio. Trovo interessante che parli di provenienza geografica perché mentre è importante aprire il mondo e le opportunità a quante più persone è possibile, è importante anche coltivare un senso di appartenenza e località in musica. Mi piace ancora l’idea che le singole città possano sviluppare identità e scene musicali così forti, e che possano rimanere relativamente incontaminate per lunghi periodi di tempo.

Discografia

ROLY PORTER
Aftertime(Subtext, 2011)
Life Cycle Of A Massive Star(Subtext, 2013)
Third Law(Tri Angle, 2016)
VEX'D
Degenerate(Planet Mu, 2005)
Cloud Seed (Planet Mu, 2010)
Pietra miliare
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