Il messaggio è spaventoso, le trame sonore vagheggiano di disastri ineludibili, di metropoli cyberpunk giunte a un passo dalla distruzione, di umanità represse e schiavizzate dalle macchine, di virus tecnologici e di strumenti di controllo mentale. Nulla di nuovo, si direbbe, rispetto alle tematiche post-industrial degli anni Ottanta e alle dinamiche dubstep più oscure, se non che il rimando è ancora una volta filtrato attraverso le lenti deformanti della rielaborazione di un immaginario.
Così, in piena sbornia hauntologica, la filigrana di "Arrakis" restituisce l'epicità del Vangelis di "Blade Runner", ritrovandosi impelagata nel drone metallico del Ben Frost di "Theory Of Machines".
E di ondate ambient-drone vive l'intero disco, che si scopre davvero debordante per la quantità di idee e di suoni che Porter riesce a inserirvi. Ci sono gli Yellow Swans catastrofici di "Going Places" ("Corrin"), il Tim Hecker solenne degli ultimi due lavori (nella splendida "Hessra"), gli assalti microtonali dei Ktl ("Giedi Prime") e persino gli accartocciamenti malinconici di Leyland Kirby ("Caladan").
Tanti riferimenti, certo, ma lo sguardo apocalittico e pietoso di Porter fa la differenza. E se il mondo finisse nel 2012, "Aftertime" potrebbe fotografare il collasso nel modo più disastrato e maestoso possibile.
(02/11/2011)