"Questi sono i veri Verdena, oggi. I vecchi Verdena sono finiti a 'Il Suicidio del Samurai'". Alberto ha le idee chiare. Sentire idee e opinioni direttamente dal protagonista di una delle band italiane più libere, espressive e slegate da qualsiasi logica di mercato è senza dubbio entusiasmante.
Ciò che ha sempre dato una forma e certezza a un progetto di questo tipo sembra essere, fin dalle prime battute del racconto di Alberto, determinazione e attenzione scrupolosa per il dettaglio: idee chiare, appunto. Le stesse idee che hanno portato i tre ragazzi di Albino, in provincia di Bergamo, a registrare tutti i lavori - tranne i primi due rispettivamente con Giorgio Canali e Manuel Agnelli - nel loro studio casalingo, lo Henhouse. "In un certo senso, è la presunzione di sapere precisamente che suono voglio. Prima eravamo spesso insoddisfatti del suono in studio, per un motivo o per l'altro. Il disco invece deve piacermi totalmente, perciò preferisco dedicargli tempo, mani e orecchie io personalmente. Stare dietro alle macchine è una passione che ho fin da piccolo, quando giocavo con un 4 piste: è un lavoro paragonabile a quello del pittore che ha davanti la tela. E il risultato perfetto sono 'Requiem' e 'Wow': esattamente i suoni che avevo in testa. Ecco perché per questi due dischi parlo di 'veri Verdena'".
Il monumentale "Wow" è l'ennesima dimostrazione della libertà creativa del gruppo che con "Valvonauta", dodici anni fa, aveva sconvolto un'intera generazione. "È stata una gestazione complessa, lunga. Il disco era già pronto due anni fa, ma ci sembrava troppo corto. Abbiamo aspettato, io ho scritto ancora molto, e ho capito insieme agli altri che questo disco in qualche modo doveva essere di molti pezzi. Non potevamo fare altrimenti, capito?"
Non c'è nemmeno stata una selezione vera e propria, a quanto sembra, visto che "tutto il registrato è confluito nel disco. Abbiamo messo da parte qualcosa, sì, ma niente di registrato. Ci siamo talmente affezionati al materiale che abbiamo tenuto praticamente tutto. La scaletta infatti è stata un vero casino, una tragedia! Alla fine, abbiamo optato per un approccio saltellante, mai ripetitivo all'ascolto, con momenti equilibrati nell'arco dei due dischi". Appunto, due dischi. Passo quasi obbligato e dal sentire un po' retro: la prova del "doppio" ha coinvolto tutti i grandi nomi della musica. Ma non ci si azzardi a dire che è un concept: "Assolutamente no. Abbiamo deciso di dividerlo in due perché volevamo una pausa dopo 40 minuti di ascolto. Per ragioni discografiche e di spese avevamo provato a farne uno unico di 25 pezzi, ma era praticamente un'impresa ascoltarlo dall'inizio alla fine!".
Il disco è stato raccontato nelle pagine dei giornali e nelle webzine come una svolta nel suono e nell'intenzione dei Verdena. Alberto non sembra essere totalmente d'accordo, anzi: "Le nostre caratteristiche principali di fondo ci sono, soprattutto per quanto riguarda i testi, per noi fondamentali. È in assoluto il lavoro più approfondito e certosino, mi soffermo su ogni singola lettera. Per questo, per la prima volta, non soddisfatto delle parole di un pezzo, ho chiesto aiuto a un ragazzo di Bergamo (il cantante degli Spread) per 'Razzi Arpia Inferno e Fiamme'. Diciamo che nel complesso le liriche risentono di un certo mogolismo, sono più bianche, più amorose. In questo schifo, volevo dare qualche segnale positivo in più. Ovviamente senza l'ironia di Mogol e con un po' di oscurità in più. Ci tengo molto ai testi, davvero, tanto quanto a non doverli spiegare per forza".
Se per i testi le cose allora non sembrano essere cambiate di molto rispetto al passato, così accade invece per i suoni. L'ingresso del piano è ancora più ingombrante del disco precedente, a tratti totalizzante: "Non solo il piano, direi anche il synth di Luca e i cori sono elementi piuttosto nuovi per chi si aspetta il suono dei primi dischi. Per quanto riguarda il piano, mi sono seduto e ho cominciato a strimpellare qualche accordo. Pur non avendolo mai suonato prima, ho capito che non era poi così difficile. Molti pezzi sono nati da lì, con un approccio diametralmente opposto alla chitarra. Il piano mi piace tantissimo, mi attira. I cori invece sono certamente frutto di ascolti wilsoniani, ho divorato Beach Boys a pioggia in questi anni. Brian Wilson ha scritto dei pezzi incredibili. Infine il synth: dovreste chiedere a Luca, per questo. Certo è che si sentono moltissimo i suoi ascolti kraut, ha un'intenzione elettronica molto sperimentale e 70 che mi piace molto, è davvero bravo!".
Il live sarà così, per forza di cose, una produzione più complessa degli anni precedenti. Per riprodurre le atmosfere di "Wow" (il cui titolo, proposto da Luca quasi per scherzo, viene definito da Alberto come una sorta di anti-"Requiem" per colori ed energia) ci sarà un altro elemento sul palco, "farà il cantante, il pianista e il tastierista. Si chiama Omid Jazi. La setlist sarà comunque molto variegata, certamente non faremo tutto "Wow", ci sarà molto dagli album precedenti. Alcuni pezzi avranno comunque un impatto strano, molto vicino al disco, ad esempio 'Mi coltivo' sarà eseguita da Luca esclusivamente sulle macchine!".
Per gli ascolti, poi, che stanno dietro a "Wow" si è scritto di Battisti, di Interpol, MGMT, kraut-rock. Alberto ne aggiunge uno di sorprendente: "Mango! Sì, il primo Mango: mia madre era invasata, quando eravamo piccoli ce lo faceva ascoltare mattina pomeriggio sera. Con lui, sono tornato ad ascoltare molta musica italiana. E credo che si possa sentire dal disco".
Ascolti nuovi, suoni diversi, una direzione che già con "Requiem" si è complicata, si è resa sperimentale, innovativa. E mamma Universal che dice? "Alla fine sono sempre contenti! Il rapporto con loro mi piace, è molto veloce e rispettoso del nostro lavoro. Anche sul fatto del doppio disco: sono stati loro stessi a rendersi conto che era giusto così, non abbiamo dovuto insistere più di tanto. Questo non toglie che soldi comunque ce ne siano gran pochi anche qui, sotto major. Per vivere di musica la ricetta è suonare tanto dal vivo. Comunque noi stiamo benissimo così, non ci sentiamo né indie né major, né chissà che. Siamo una cosa a sé, con un'identità ben definita ormai da anni".
Battute finali dedicate ai social network, mondo alieno ai tre bergamaschi e però appena sfiorato in 'Attonito' ("Sarai così serio / suoni su Facebook"): "Siamo stati davvero fortunati a essere usciti in un periodo in cui internet, myspace, facebook non esistevano. Se dovessimo pubblicare un disco oggi, dovremmo passare per questa trafila anche noi! La nascita del testo di 'Attonito' dimostra quanto siamo distanti da questi mezzi: cercavo qualcosa che c'entrasse con internet, ma è stato soltanto dopo la stampa del disco che un amico mi ha fatto notare come su Facebook non si suoni affatto. Che figura di m***a!".