Noi concertomani siamo delle bestie strane: a volte sembriamo più interessati al documento d'identità dei nostri beniamini che alla piacevolezza di una serata in sé. A ogni ritorno in pista di una band storica, l'immancabile toto-membri scatena il parapiglia tra le comitive di appassionati, equamente distribuite tra gli irriducibili del "o tutti o nessuno" e i diplomatici che si accontenterebbero anche di un solo componente originale. Che il feticismo in certe situazioni la faccia da padrone è storia nota, ma quanto peso può lecitamente esercitare questo ricatto, in presenza di un repertorio inappuntabile suonato da musici di razza?
Ok, Hugh non è più della partita (da trent'anni, mi permetto di far notare agli indignati rimasti a casa): nulla da eccepire sul ruolo della sua voce e della sua chitarra, ma è motivo sufficiente per non concedersi una scorpacciata di pop intellettuale scolpito con perfezione quasi irritante? Per quanto mi riguarda, ho deciso da un pezzo: assaporare dal vivo le ineffabili tastierine dello splendido quarantenne "The Raven", eretiche protagoniste di un sound già insofferente al punk che lo partorì, basta e avanza per trascinarmi nella pur inospitale periferia bolognese.
E a introdurre lo stiloso strangolamento degli uomini in nero, dopo l'apertura pimpante dei vegliardi Ruts DC e i titoli di testa con l'Hitchcock alieno di "Waltzinblack", è proprio la title track di quel capolavoro assoluto, gracchio di un corvo dal becco ancora insanguinato. La macchina appare da subito oliata a dovere, con un consumato Burnell a trainare la carrozza e Greenfield scatenato nei suoi intricati intarsi pub-prog. Quanto a Baz Warne, non avrà il congeniale phisique du role da "dandy vampiro", ma col pubblico ci sa fare e le corde le bistratta da par suo.
Da lì in avanti non si segnalano cedimenti, in un serrato slalom tra le colonne di una carriera da fuoriclasse: pezzi da novanta come "Something Better Change", "Hanging Around", "Don't Bring Harry" e una pestona "Nice'n'Sleazy" suonano irriverenti come agli esordi, la cover di "Walk On By" continua a tenere testa tanto all'originale di Bacharach quanto alla riverniciatura-monstre imburrata a caldo da Isaac Hayes e anche il power-pop della nuova era fa la sua discreta figura. A metà esatta della scaletta arrivano le due hit planetarie "Always The Sun" e "Golden Brown", supportate da adeguato singalong, a rimarcare la tenuta di strada anche su terreni meno "notturni". Una "Nuclear Device" sull'orlo del fungo atomico, forse, il momento più godurioso dello show.
Chiude a mo' di bis l'immortale "No More Heroes", smentita in diretta dalla performance autenticamente eroica di questi irriducibili affabulatori, assassini sornioni da cui farsi tramortire senza colpo ferire.
Raro concentrato di intelligenza, ironia e professionalità, troppo sofisticata per i teppisti e troppo insolente per le chart, la musica degli Stranglers si conferma a pieni voti quello che la new wave si è sempre proposta di essere: un intrattenimento colto disposto a sfidare qualsiasi papilla gustativa. Con tanti saluti alla smaniosa pedanteria dei brontoloni con lo scontrino in mano...
Waltzinblack
The Raven
(Get a) Grip (On Yourself)
Midnight Summer Dream
Time to Die
Nice'n'Sleazy
Norfolk Coast
5 Minutes
Unbroken
Golden Brown
Always the Sun
Don't Bring Harry
Nuclear Device
Peaches
Toiler on the Sea
Freedom Is Insane
Walk On By [Dionne Warwick cover]
Something Better Change
Relentless
Hanging Around
Tank
Encore
No More Heroes