L’estate. Arriva sempre puntuale, ad abbracciare ogni festivalgoer ormai pronto a spegnere i terminali da ufficio per nuotare a perdifiato tra le onde soniche, sulle coste emotive dei principali eventi europei. Il mare e le barche a vela del Parc del Fòrum; la campagna piovosa protetta dal drago rosso del Somerset; Clisson l'Italienne. C’è da acquistare un costoso biglietto aereo con mesi di anticipo, prenotare un appartamento su Airbnb senza fastidiosi inquilini, pregare di non finire dietro un gruppo di inglesi in fila per la birra. Oppure, si può guidare dritti al cuore delle Madonìe, Li Marunìi, tra le curve assolate che attraversano Geraci Siculo o Isnello, dipende dalla strada percorsa. Ultima fermata, Castelbuono, circa 400 metri sul livello del mare che bagna la pulsante Cefalù e la suggestiva spiaggia di Torre Conca. Un festival in Italia (!), con nomi mai ripetuti, che permette ai suoi ypsini di fare il bagno di mattina e scatenarsi fin dal primo pomeriggio? Come ha detto il compianto Stefano Cuzzocrea: “Un appuntamento che ha saputo diventare meta turistica, momento di aggregazione e di cultura, e soprattutto uno stato mentale”. “Il miglior festival sul pianeta”, secondo i Mogwai.
Giunto alla sua ventisettesima edizione, Ypsigrock è il boutique festival che riversa migliaia di fan incalliti per le strade di un comune che trasuda Sicilia, dove un francese con la t-shirt dei Flaming Lips prova l’antico amaro elisir del carabiniere. Dove si viene svegliati troppo presto da chi vende per strada “uva bella”, e dunque costretti a prendere la prima granita con brioche della giornata. E allora si avvia la danza, si indossa il costume e via verso il mare, alzando il volume in macchina per prepararsi all’ondata sonica in arrivo.
Ma prima di iniziare, chi non è mai stato all’Ypsigrock deve conoscere alcune cose, per entrare in quello “stato mentale” assolutamente necessario per godersi uno spettacolo unico nel suo genere. La prima: chi suona una volta all’Ypsigrock poi non potrà più farlo in seguito, a meno di presentarsi con un nuovo progetto artistico con un legame stretto con il territorio. La seconda: l’ypsino non arreca fastidio al prossimo, rispetta gli spazi vitali e la “presa bene” sia sotto palco che tra le vie del paese. Non spinge, non grida e non parla del mercato della Juventus mentre ascolta un live. La terza: costituisce reato non nutrirsi di arancine, calzoni al forno, salumi dei Nebrodi e gelati su fette di panettone ai limiti del collasso glicemico. Il tutto annaffiato da abbondante birra chiara in bottiglie accuratamente smezzate in bicchieri di plastica nel piccolo bar che spara heavy-metal su Via Sant’Anna.
Ma è nel suggestivo chiostro di San Francesco che inizia lo show dell’Ypsigrock, giovedì 8 agosto alle 17.30 in punto. Da Edimburgo, i giovanissimi No Windows propongono un denso dream-pop forgiato da trame shoegaze in un cantautorato malinconico. Dopo la residenza artistica The Sound of This Place - pregevole iniziativa per celebrare il rapporto tra arte e territorio - si scende verso Via Sant’Anna, per varcare la porta della magnifica Piazza Castello, teatro dell palco principale, Ypsi Once Stage. Quel palco accarezzato dalle imponenti scalinate che portano alla costruzione in stile arabo-normanno, dove i residenti si godono i concerti dal balcone di casa e nessuno può suonare più di una volta, come da regola numero uno. Nella line-up della prima giornata si parte dal sofisticato french indie degli Oracle Sisters, acquerello di psichedelia, folk-rock in stile Fleetwood Mac e jazz melodico.
L’avvio soft viene schiaffeggiato alle 21.30 dall’ingresso degli Egyptian Blue, new sensation d’Albione, sul ritmo marziale di “Belgrade Shade” dal più che audace disco di debutto su etichetta Yala!. Dal furente post-punk “Salt” della strokesiana “Nylon Wire”, il gruppo di Brighton è di quelli caciaroni con alto tasso di qualità.
Poco più di un’ora dopo è il turno di Jadu Heart, che dagli studi di Bristol offrono una versione più convincente del repertorio dall’album “Derealised”, con una impalcatura dream-pop affrescata da spunti britpop ed elettronica.
Headliner della serata, i nostri Colapesce e Dimartino, spesso avvistati come ypsini veri e ora sul palco principale con il tour del loro ultimo album “Lux Eterna Beach”. Il set è un pregevole equilibrio tra il fresco cantautorato dei due e una sensazione profonda di cementificazione territoriale.
Mentre nuovi fiumi di birra scorrono al vicino Ypsicamping - per chi desidera atmosfere Glasto-style, ma con molto più caldo - i più anziani si preparano al rito glicemico di Fiasconaro per dare avvio al nuovo giro mangia-dormi-nuota-live!. Venerdì 9 si torna a sudare al chiostro francescano, al cospetto dell’art-rock sublime di Marta Del Grandi, che riesce a far calare un silenzio quasi irreale con il suo mix di post-rock, raga, jazz e musica etnica. Meno appagante il folk-rock dell’americana Julie Byrne, con il suo stile troppo simile a quello di Joni Mitchell che una ragazza dai capelli corvini paragona a una granita alla ricotta: ne assaggi un po', poi stucca.
E allora via a mangiare arancine, perché serviranno parecchie calorie per affrontare la combo al napalm Chalk e Model/Actriz. I primi, irlandesi, investono Piazza Castello con un sound violentissimo, con brani come “Them” che sembrano usciti dall’accoppiamento tra Liars e Idles. Un approccio tra post-punk, elettronica e derive industrial, tra bombe a mano tipo “Static” e “Velodrome”. I residenti sul balconcino che si affaccia dritto sul palco chiudono le finestre, forse terrorizzati dagli statunitensi Model/Actriz, che spingono ulteriormente su ritmi industrial in “Donkey Show” e “Matador”, mentre il frontman Cole Haden si avventura in piroette spericolate con tacchi enormi.
Mentre il pubblico si divide tra pogatori estremi e ascoltatori accorti, è il turno degli attesi australiani Royel Otis, il duo indie-pop che ha generato grande hype con l’inno “Sofa King”. Il set è gradevole, impreziosito dalla cover di “Murder On The Dancefloor” - uno di quei momenti in cui il corpo deve per forza ballare, con una sensazione quasi lisergica di presa bene perché diamine l’estate è ufficialmente partita - e soprattutto di “Linger”, accolta con un boato dal popolo degli ypsini. Alla fine del set viene avvistata ancora la ragazza coi capelli corvini che si lamenta della scelta di aver smorzato troppo i toni dopo due concerti così bombaroli. Un secondo parere sensato. Scocca la mezzanotte e sul palco arrivano gli Explosions In The Sky, veri headliner di tutto il festival siciliano. Il collettivo texano è avvolto da luci oscure, quasi nascosto dietro il muro del suono eretto a partire dall’iniziale “First Breath After Coma”. Nessuna parola verso il pubblico, solo una serie di mini-suite monumentali, dal tremolio di “The Birth And Death Of The Day” al climax struggente di “The Only Moment We Were Alone” a chiudere il set di nove brani in scarsa un’ora e trenta minuti.
Gli ypsini liberano composti l’area storica, mentre qualcuno si accascia esausto dai gin tonic. Non tutti hanno ottenuto la possibilità di dormire dentro il paese, che continua a pulsare di vita tra baretti e gelaterie prese d’assalto. Lo show è ancora lungo, bisogna ripartire il giorno dopo con la malinconia della britannica Laura Groves e l’indie-folk dei Tapir!, freschi del loro album d’esordio “The Pilgrim, Their God And The King Of My Decrepit Mountain”. Di grande impatto la versione live di “Gymnopédie”, una sorta di mini sinfonia lo-fi con eccelse parti chitarristiche.
Il menù del sabato sera prevede un gustoso appetizer preparato con grande maestria da Kimyan Law, viennese di origini congolesi, che martella su tastiere e percussioni in un mix di drum'n'bass, garage londinese e atmosfere cinematografiche. Seguono gli Heartworms, che partono a tutta manetta con le tinte dark di “Jacked” prima della sensualità tutta eighties di “Consistent Dedication” e il post-punk “24 Hours”.
A servire la portata principale, i Bdrmm da Kingston Upon Hull, che partono con le atmosfere à-la Radiohead di “It's Just A Bit Of Blood”. La band è visibilmente a mille, virando verso lo shoegaze in “Be Careful” e i riverberi gotici di “Push/Pull” dall’eccelso disco d’esordio “Bedroom”. Superata una nuova mezzanotte, Castelbuono viene ammantata dal profilo sfuggente di Kae Tempest, che parte con l’invettiva anti-social “Priority Boredom”. Kae Esther Calvert conquista ai primi versi rap anche gli ascoltatori ignari, parlando di insabbiamenti e soldati nella ballata “No Prizes” per alzare i ritmi con “More Pressure” e far esplodere paradossi lirici in “Ketamine For Breakfast”.
Domenica. Il sole splende, il caldo è quasi insopportabile. Ma Ypsigrock ha ancora tanto da offrire, bisogna prendere un’altra granita ai gelsi, anche se servirebbero litri di caffè nero bollente. La ragazza dai capelli corvini non si vede più in giro, sarebbe interessante qualche altro suo parere da inserire in questo lungo live report. Al chiostro di San Francesco, per l’ultima volta in questo 2024, c’è l’art-pop magnetico di Lauren Auder, seguito dall’energia tutta etnica degli olandesi Yin Yin, da Amsterdam come gli Altın Gün e grandi appassionati di ritmi orientali. Le ultime birre smezzate al bar dei metallari e si torna a Piazza Castello per l’hip-hop di Tkay Maidza, che anticipa il set stellare dei Fat Dog da Londra, aperto dall’electro-punk di “Vigilante”. In pantaloncini corti e maglietta, il gruppo si rivela quanto di più vicino all’estetica della strafottenza rock'n'roll, facendo ballare tutti sui ritmi di “All The Same” e divertendosi oltremodo sulla cover di “Satisfaction” (Benny Benassi).
Con un sorriso vistoso in faccia si passa al synth-pop più delicato della “A New Goodbye” dei Nation of Language, già previsti nel Festival dell’edizione annullata causa COVID-19. Dai martellamenti di tastiere stile Depeche Mode (“Rush And Fever”), il terzetto di Brooklyn è esteticamente perfetto, forse leggermente troppo algido in un approccio estremamente cerebrale, soprattutto dopo i Fat Dog. Ottima scelta poi chiudere tutto il festival con i Beach Fossils, che scelgono una scaletta che sembra esattamente fatta per un aftermovie estivo in formato polaroid. Dall’orecchiabile “Don’t Fade Away” ai toni corali di “Sugar”, il gruppo a stelle e strisce mischia dream-pop e jangle con estrema accuratezza, finendo per accarezzare tutti con una placida onda sonica. Come le onde e le strade da Finale di Pollina al cuore delle Madonìe, che ci mancheranno terribilmente per un anno intero.