Nick Cave ha cantato "Skeleton Tree" dopo sette anni

17-04-2025

A quasi un anno dalla pubblicazione di "Wild God", l’ultima fatica discografica che segna un nuovo capitolo nella mutazione emotiva e sonora di Nick Cave, ha preso il via da Boston il tour statunitense del cantautore australiano, accompagnato dai fedelissimi Bad Seeds.

Nella cornice austera della Agganis Arena, la performance ha assunto fin da subito i contorni del rito. Un concerto teso, in cui i brani del nuovo album — "Frogs, Wild God, Song of the Lake" — si sono intrecciati ai fantasmi del passato, tra epica e penombra, tra esplosione liturgica e deserto interiore.

Ma il momento più toccante, e forse più significativo dell’intera serata, è arrivato sul finale, quando Cave ha riportato sul palco "Skeleton Tree" dopo sette anni di silenzio. Il brano, mai più eseguito dal vivo dal 2018, è riemerso come una ferita ancora viva, aperta. Un sussurro doloroso, che porta con sé il peso dell’assenza.

Pubblicato nel 2016, pochi mesi dopo la tragica morte del figlio quindicenne Arthur, "Skeleton Tree" rappresenta uno dei vertici più spogli e devastanti dell’intera discografia caveniana. In un’intervista dello scorso anno, lo stesso Cave aveva confessato il rimpianto di aver affrontato troppo presto le registrazioni dell’album:

“Quello è l’unico disco che ha peggiorato le cose. La mia salute mentale è peggiorata, perché l’ho fatto subito dopo la morte di mio figlio. Non avrei dovuto farlo”.

Eppure, quella canzone è tornata a vivere. Fragile, sincera, disarmata. Niente nella resa live ha cercato di renderla meno dolorosa o più accomodante. La voce di Cave, incrinata e umanissima, l’ha restituita esattamente per quello che è: un grido muto, un requiem senza risposte.

Il concerto ha offerto una scaletta ricca e stratificata, con classici come "Red Right Hand", "The Mercy Seat", "Papa Won’t Leave You", "Henry", "The Weeping Song", alternati a nuove tensioni e momenti di raccoglimento assoluto ("Bright Horses","I Need You", "Carnage").

A chiudere la serata, come un abbraccio finale, "Into My Arms". Una carezza di pianoforte e voce, in cui amore e perdita si confondono in un'unica, struggente preghiera laica.

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