Nella perpetua oscillazione sull'Atlantico del pendolo della supremazia musicale, il 1994 vedeva l'asticella trovarsi sopra l'America. Nonostante il tripudio del concerto a Spike Island del 1990, infatti, gli Stone Roses e i colleghi madcuniani non erano riusciti a mantenere il primato in terra britannica, sopraffatti dalle proprie dipendenze e dalla forza distruttrice del grunge statunitense.
Quattro anni dopo la "Woodstock della Baggy generation", però, bastò una settimana per ribaltare nuovamente le cose: solo pochi giorni, infatti, separarono il ricovero per overdose a Roma di Kurt Cobain e la pubblicazione di "Girls & Boys", primo singolo dal terzo disco dei Blur, "Parklife".
Un disco decisamente più complesso rispetto ai precedenti, quello della band inglese, "un concept-album con collegamenti molto liberi. Sono le fatiche del mistico lager-eater, che vede cosa sta succedendo e lo commenta", per usare le parole dello stesso Albarn, che sposta a sua volta l'attenzione dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti. L'ispirazione arriva, infatti, dallo stretto contatto con la cultura americana a cui è costretto il gruppo durante un estenuante tour oltreoceano; un confronto antropologico che darà vita ai personaggi che popolano le storie di "Parklife", incarnazioni della forte influenza che lo stile di vita statunitense stava avendo sugli europei.
Una posizione molto critica, quella di Albarn, che rende la tracklist dell'album l'indice di un immaginario settimanale di attualità, tra brani che sembrano vignette satiriche e pezzi più introspettivi, con uno humor nero accompagnato da slanci intimistici che ricorda molto da vicino i "Territori Londinesi" di Martin Amis.
Proprio questo intento ironico sarà l'aspetto più sottovalutato dell'album. A partire da "Girls & Boys", che apre la parata dei sedici brani, trasformatasi in brevissimo tempo da caricatura delle abitudini sessuali nei luoghi di villeggiatura di massa a inno della nuova libertà post-thatcheriana per quella parte di popolazione britannica (tra cui gli stessi Blur) cresciuta conoscendo solo il comando della Lady di Ferro.
La pornografia, la televisione, il divertimento forzato come distrazione dal presente, il salutismo spinto e la perdita di se stessi sono i temi su cui si basa la narrazione di tutto il disco: il fun pub di "Bank Holiday", la paranoia di fine millennio di "End Of A Century", il jogging di "Parklife", il sogno americano di Bill Barret in "Magic America", canzone composta a Milano e ispirata dall'omonimo canale a luci rosse.
È la title track a fare da ponte tra le Fred Perry e gli abiti sartoriali della "British Image #1" di cui si erano fregiati Albarn e soci con il precedente "Modern Life Is Rubbish" e la nuova Inghilterra: su una base che riporta alla tradizione pop dei Madness, l'icona Mod Phil Daniels racconta di corridori sovrappeso e di slogan pubblicitari tedeschi che invocano il progresso tramite la tecnologia.
"[Parklife] è la convergenza di diverse influenze", dichiara Graham Coxon al Guardian, "Alex voleva essere nei Duran Duran, io nei Wire, e Damon... non lo so". In realtà, non è difficile intuire quali siano stati i punti di riferimento di Damon Albarn: sicuramente l'"Opera da Tre Soldi" di Kurt Weill, uno dei capisaldi compositivi del musicista di Colchester, che si fa sentire nei due minuti strumentali di "The Debt Collector", nato come pezzo à-la Tom Waits; la Francia della Nouvelle Vague di "To The End", interpretata in una versione anche da Françoise Hardy e accompagnata da un videoclip che si ispira direttamente alla cinematografia di Alan Resnais; o ancora le atmosfere postmoderne di Derek Jarman, nel ribaltamento del suo "Jubilee".
Come l'anima del pop degli anni 60 cui guarda direttamente Albarn e il rock alternativo della chitarra di Graham Coxon possano dare vita al ramo più sofisticato di quello che sarà il britpop lo si capisce bene dal pezzo finale di "Parklife", quel "Lot 105" nato come divertissement per provare un vecchio Hammond acquistato a un'asta e diventato poi un trascurato manifesto della profonda rabbia che pervade, sotto lo spesso strato di ironia, tutto il disco.
Considerato "un errore" da David Balfe, fondatore della Food Records, che ai tempi aveva sotto contratto i Blur, "Parklife" sarà il primo album a far conquistare quattro Brit Awards allo stesso artista, durante la cerimonia del 1995. "Era diventato terrificante - ricorda Albarn - ci siamo alzati per ritirare il quarto premio e credo solo allora abbiamo realizzato come tutti avessero preso la cosa molto sul serio, perdendo completamente il senso di tutto il disco". E il finale del discorso di ringraziamento non poté che essere un nemmeno troppo sarcastico "Wake up, America!".
21/07/2013