Whilst "Definitely Maybe" is about dreaming of being a popstar in a band, "What's The Story" is about actually being a popstar in a band.
(Noel Gallagher)
Quando mi venne in mente di imparare a suonare la chitarra, fu per imparare a suonare le canzoni degli
Oasis. Al negozio in cui la comprai, un modello da scuola media da meno di centomila lire, dissero: "Ci metterai poco, sono sempre gli stessi accordi" (non che nella musica popolare il segreto sia il Si7, avrei dovuto dire). Quante volte si saranno ripetute le stesse scene, nel mondo? Forse più che per qualsiasi band nella storia della musica. È vero, le canzoni degli Oasis sono facili da suonare: dopo qualche mese di lezione sapevo accennare "Wonderwall"; dopo neanche un anno provavo l'assolo di "Live Forever".
Gli accordi sono sempre gli stessi e, usando un capotasto, praticamente sempre aperti, ma è soprattutto il ritmo a rendere le canzoni degli Oasis facilmente replicabili, essendo quasi tutte in un quattro quarti che generalmente non va oltre la velocità di crociera (come si dice nella prima lezione di chitarra, la mano destra è "quella difficile"). Anche le tracce più "punk-rock" degli Oasis ("Headshrinker", "Bring It On Down") si possono suonare senza lasciare una goccia di sudore.
È soprattutto per questo motivo che gli Oasis vengono guardati con un po' di condiscendenza, per questa ritmica invariabilmente melliflua, come se fosse rallentata per permettere a tutti di seguirla, e che ha generato l'equivoco che si è fatto strada in tanti adolescenti (e non solo), confondendo una tecnica (anche meno che) ordinaria con un talento altrettanto ordinario. Ancora oggi molti sono convinti che tutti possano scrivere album come "Definitely Maybe" e "(What's The Story) Morning Glory?": basta imparare gli accordi di base (al massimo con qualche ritocco un po' ruffiano, come il Mi minore con le corde piccole - comunque copiato dai
Beatles), e abbozzare qualche melodia già sentita. Strano che in più di vent'anni non sia venuto in mente a nessuno.
Va detto, gli Oasis sono effettivamente tra le band per le quali più volte il plagio è stato accertato, con cause vinte, tracce rimosse all'ultimo dalla
tracklist definitiva ecc. Perché questo non dovrebbe farci gridare allo scandalo e pensare agli Oasis come al più grande bluff della musica contemporanea? Perché copiare - e anche stravolgere - è del tutto coerente con quanto ci si aspetta dagli Oasis, distruttori e insieme restauratori - e, senza tanti fronzoli, fare cover riesce loro anche benissimo (l'ipertrofizzata "Cum On Feel The Noize", o la sporchissima "I Am The Walrus"). Ma nel rapporto degli Oasis con la tradizione si capisce ancora meglio il senso della loro musica.
Provate, per credere, a sentire come cambia nelle loro mani il motivetto folk "
I Want To Teach The World To Sing" delle New Seekers (che vinsero 500000 dollari di risarcimento) in "
Shakermaker": un mondo sporco e brutto si sovrappone al paradiso hippie, ed è come vedere un balordo appena uscito da un pub vomitare su una timida ragazza benpensante che fa volantinaggio per la parrocchia all'angolo della strada. È un'immagine che può essere comica o disturbante a seconda del contesto, ma che esprime l'unicità della musica degli Oasis, puramente ormonale, dissacrante senza essere distruttiva, poeticamente maldestra e grossolana. Istintiva come può esserlo chi dà il nome a un album o, addirittura, alla propria band, ispirandosi a come risponde un ragazzino al telefono, o al riquadro pubblicitario di un discount sul giornale locale. La musica degli Oasis è la musica dell'adolescenza.
Quando il rock era mainstream Nell'immaginario collettivo, gli Oasis sono rimasti la band del riscatto sociale, evidente nell'esordio "Definitely Maybe", meno in questo secondo (anche per la presenza delle rullate e dei
fill più "borghesi" del nuovo batterista Alan White, rispetto al primitivo Tony McCarroll, che forse più di qualche fan degli Oasis ancora preferisce), loro vera consacrazione: il
working class hero che trova solo nel rock'n'roll la salvezza da una vita incolore. L'immagine viene usata nella contrapposizione dei tempi con i più "educati" (e poi più longevi)
Blur, ma non le si può negare un fondo di verità, sia per come si presenta la band al di fuori dell'ambito puramente musicale, sia soprattutto per l'estetica sonora della band.
Più che di un disco, per "(What's The Story) Morning Glory?" bisogna parlare di un'era, per la mole di materiale più o meno memorabile prodotta e solo in parte racchiusa nel disco. Questa era ha inizio il 18 dicembre 1994, allorché la band pubblica un singolo, a cavallo tra un album e l'altro: "Whatever". "Whatever" è arrangiato e composto in modo piuttosto nuovo per gli Oasis: in retrospettiva, è difficile considerarlo in relazione a nessuno dei brani di "Definitely Maybe". In breve, è la prima loro ballatona di derivazione
beatlesiana, ma con quel misto di tecniche produttive (siamo al momento più acceso della
loudness war, e sembra di essere davvero su un campo di battaglia), di stile d'esecuzione e di composizione che rendono il brano un'epitome dell'idea di canzone pop eseguita da una
rock band, che forse è la forma con cui si identificano più spesso gli Oasis. Accordi in maggiore (l'amato Sol, in fondo l'accordo più bello), grandi sventolate di archi, il cantato sgraziato e sfrontato di Liam, tutto utilizzato senza vergogna e in quantità strabordante, in uno stordente amplesso di sei minuti e mezzo.
Forse non al tempo, ma a posteriori si capisce già molto bene il cambio di prospettiva della band: "Siamo qui per voi, e vi racconteremo com'è essere le ultime rockstar della storia". E, quando inizia la prima schitarrata di "Hello", si sa che inizierà qualcosa che, pur con le sue idiozie e i suoi squallori, sarà irripetibile, come la prima vacanza estiva senza i genitori.
Forse le canzoni di "(What's The Story) Morning Glory?" non hanno l'anima di quelle di "Definitely Maybe", sono certamente più rassicuranti dell'implicito disagio del disadattato che proclama "I'm a rock'n'roll star". "Live Forever" suona primitiva e vera quanto "Wonderwall" potrebbe suonare artificiosa e ruffiana. "Potrebbe", perché in fin dei conti "Wonderwall" spiega il rapporto viscerale e "preternaturale" che si sviluppa con le canzoni degli Oasis. Cosa sarebbe "Wonderwall" senza quella strimpellata, senza la voce di Liam, che sembra cantare, come sempre, senza sapere perché? Probabilmente poco più della hit passeggera di un
Ryan Adams o di tutti quelli (compreso Noel) che hanno provato a reinterpretarla, riuscendo solo nell'esporne la costruzione, la
cheesiness che alligna nel
songwriting di Noel. "(What's The Story) Morning Glory?" in questo senso condensa, con il gradito disimpegno di numerosi
nonsense "situazionisti" ("Walking slowly down the hall/ Faster than a cannonball", "The sink is full of fishes/ She's got dirty dishes on the brain"), il messaggio "Ce la puoi fare" che, pur risicato, è quello che contraddistingue tanta musica pop più blasonata - ammesso e non concesso che di un messaggio letterale vero e proprio ci sia bisogno.
Tutti riconoscono ormai che Noel non è certamente un fine letterato (chi sperava in una carriera alla
Paul Weller, fra l'altro padrino di questo disco, ha dovuto purtroppo ricredersi), e lui stesso racconta che il processo di scrittura era: melodia (spesso prima di addormentarsi) - sillabe - testo. "(What's The Story) Morning Glory?" è geniale, appunto, nel sottolineare la melodia dei brani, con
bridge e intermezzi preparatori ai grandiosi ritornelli, con gli assoli scolastici ma roboanti, "orchestrali" di Noel, con la stessa produzione che appiattisce e irrobustisce il segnale "medio", facendo esplodere l'insuperabile potenziale melodico dei pezzi. L'effetto bidimensionale (ma anche mono, viene da dire), generalmente avversato da chi vorrebbe cercare profondità nella musica e nell'arte, è qui imponente, sull'ascoltatore, come una tela
naif a colori forti: "Some Might Say", primo singolo del disco e più in continuità con il precedente (l'unico in cui suona Tony McCarroll col suo battito troglodita), è l'equivalente musicale di avere il sole negli occhi, nel bene e nel male. È una sensazione potente e catartica, a suo modo.
Nonostante il bizzarro passo falso di "Roll With It", che si scontrò miseramente con "Country House" dei Blur, da "(What's The Story) Morning Glory?" furono infatti estratti sei singoli: al di là dei gusti, uno di quei dischi che non si vedono più da parecchio tempo. Nonostante che il mondo della musica sia molto cambiato, ci sono
rock band che possono pensare di piazzare sei brani da un solo disco nelle hit parade dei passaggi in streaming di un qualsiasi portale? Questo testimonia in termini vagamente oggettivi l'eccezionalità di questo disco, ma più in dettaglio la cosa si amplifica, se si pensa al numero di
B-side dell'epoca che sono diventate beniamine dei fan e della band (celebrate in
setlist più recenti e nei vari
greatest hits della band).
Accanto alle celebri "Don't Look Back In Anger" e "Champagne Supernova", due delle tracce più accusate e invidiate degli Oasis nel parallelo con i Beatles, c'è sufficiente materiale da aggiungere un ideale terzo disco al periodo 1994-1995: sono da citare "Acquiesce", in tutto e per tutto inno di pace tra i fratelli Gallagher (va ricordato che nella copertina del disco non è ritratto nessuno dei due, come era previsto, ma i due ebbero un litigio poco prima della sessione fotografica), e "The Masterplan", la canzone che, grande classico del
britpop "cantautorale", col suo tono da predicazione adulta, esistenzial-spirituale come nel miglior
Lennon/
Harrison solista, ha fatto sperare nella successiva carriera di Noel Gallagher (da notare anche la meditativa
hobo-song "Talk Tonight").
Invece, anche se è dura ammetterlo per chi ha vissuto in prima persona, per motivi anagrafici (e dato il ritardo con cui avvengono le cose qui, immagino che in Italia non siano solo i troppo giovani all'epoca), solamente gli Oasis post-Knebworth (un doppio concerto da 250.000 persone a serata, a fronte di una richiesta di 2,6 milioni di biglietti, la più alta nella storia inglese - parliamo del '96), "(What's The Story) Morning Glory?" ha in sé diversi aspetti del testamento artistico degli Oasis.
Nei suoi brani convivono generosità e appagamento, la sensazione di voler sfruttare, anzi di aver sfruttato un'occasione che non tornerà più, come nella trionfante nostalgia di "Don't Look Back In Anger", oppure nella preghiera di "Cast No Shadow", storicamente dedicata all'amico
Richard Ashcroft, all'epoca ancora lontano dal successo commerciale, ma riadattabile a qualsiasi cantautore/band in procinto di lasciare le scene. È una parabola riconoscibile in tutto il disco, che inizia con l'"It's good to be back" iniziale di "Hello" e finisce, ora si capisce bene, con un addio, spettacolare come doveva essere l'addio del rock'n'roll alla Terra così come lo conoscevamo:
Someday you will find me
Caught beneath the landslide
In a champagne supernova in the sky
19/06/2016