Toto

Toto IV

1982 (Columbia)
arena rock, yacht rock

Vista oggi appare un filo grottesca, e dovuta perlopiù a barricate ideologiche, la diffidenza che la critica rock più blasonata ha riservato ai Toto. Soprattutto considerando quanto, dall'altra parte, le istituzioni dell'industria musicale, e più importanti fra tutti i colleghi, amassero e bramassero il loro sound, ritenendoli un punto di riferimento. Cerchiamo allora di vedere la cosa anche dal loro punto di vista.
Se c'è un artista che magari con gli ascoltatori di musica rock più duri e puri qualche scricchiolio l'ha avuto, ma dalla critica è stato sempre visto come un "gigante", quello è Michael Jackson. Curioso pertanto che il "gigante" e il suo entourage, Quincy Jones in testa, abbiano voluto proprio i Toto a suonare in quello che è stato il loro poema epico. Il disco su cui più di tutti si è investito per promozione e capillare insediamento mediatico. E che ha finito per diventare l'album più venduto della storia.
Cinque delle nove canzoni che compongono "Thriller" vedono la presenza dei Toto come strumentisti e/o arrangiatori. Uno dei brani più graziosi del disco, "Human Nature", è firmato da Steve Porcaro.

La band che la critica ha finito con l'additare in maniera spregiativa, quale epitome di ciò che il rock non dovrebbe essere, implicando più o meno esplicitamente accuse maligne come il fatto di riferirsi a un pubblico esclusivamente bianco e di essere quindi un involontario spot per il razzismo (in un'epoca senz'altro delicata: ricordiamoci che prima dell'avvento di "Thriller" Mtv aveva remore a trasmettere video di musicisti neri). La band che la critica ha additato come simbolo di un rock ormai spento creativamente e indirizzato a un pubblico sempre meno giovanile e quindi sempre meno ribelle. La band che la critica ha accusato di stare imbrigliando, benché non da sola, lo spirito rock più stradaiolo in un professionalismo poco istintivo e sempre più alambiccato.
E che nonostante tutto venne scelta per suonare nel disco di colui che stava, a detta di quella stessa critica, salvando il pop (non si sa bene da cosa). Di colui che tanto ha contribuito a livello di immaginario collettivo a fondere il bianco e il nero. Di colui che stava, questo senza dubbio, lanciando insieme a Prince la riscossa razziale - almeno a livello simbolico, benché non fattuale - di milioni di giovani americani.

In qualche modo, Jackson e Jones non si sono accorti del pericolo e non solo hanno chiamato alla propria corte i musicisti che per i critici rappresentavano la loro antitesi, ma hanno anche dimostrato di apprezzarne il lavoro.
Ancora oggi per tanti giornalisti musicali "Thriller" è un disco epocale, ma i Toto, che ne furono una parte importante, non vengono quasi mai menzionati nelle recensioni. Viene menzionato il produttore. Viene menzionato Eddie Van Halen. Viene menzionato Paul McCartney. Viene menzionato persino Rod Temperton, che a parte l'aver scritto alcuni dei brani più famosi di Jackson, non è certo noto al grande pubblico. Dei Toto si trova raramente traccia. Come se citarli comportasse l'ammissione della loro validità, facendo quindi crollare tutto l'apparato ideologico certosinamente costruito con decenni di moralizzazione su cosa il pop e il rock possano e non possano essere.
Tutte cose a cui Jackson e Jones non erano interessati. A suonare nel loro disco volevano i migliori sulla piazza, e nel 1982 - lo sapeva qualunque addetto ai lavori - negli Stati Uniti i migliori erano i Toto. In cui vedevano semplicemente un gruppo di straordinari strumentisti con un suono peculiare, ma al contempo capaci di adattarsi alle situazioni più disparate, come recitava il loro già ricco curriculum di turnisti. Non ci vedevano invece tutto il resto, semplicemente perché non c'era.

La storia di "Thriller" e quella di "Toto IV", il quarto album della band, sono strettamente collegate. "Toto IV" venne pubblicato infatti nell'aprile del 1982, data dell'inizio delle sessioni del disco di Jackson. Concomitanza a causa della quale i Toto ritardarono addirittura la promozione del proprio lavoro.
Che esplose comunque, con tutto il suo appeal commerciale, nell'estate di quell'anno, e rimase a galla fino alla successiva grazie a una sequenza di singoli epocali. "Toto IV" arrivò al numero 4 negli Stati Uniti, rimanendo in classifica per un anno e mezzo. Stesso risultato nel Regno Unito. Conquistò poi la vetta in Canada, Australia, tutto il nord d'Europa, la sfiorò in Italia, ma anche in mercati niente affatto semplici per le band occidentali, come quello giapponese. A oggi non è difficile stimarne almeno una decina di milioni di copie sparse per il mondo. Che non sono neanche troppi se si considera quanto hanno resistito nel tempo due canzoni come "Rosanna" e "Africa", la seconda in particolare di una fama che attraversa generazioni e culture come pochi altri brani usciti nel ventesimo secolo.

"Toto IV" viene del resto pensato come l'album del rilancio. L'anno prima "Turn Back" si è rivelato una mezza delusione, e il rischio per i Toto è di andare incontro a un precoce declino, dopo i fasti del primo album. Certo, potrebbero continuare tranquillamente a fare i turnisti, data la richiesta, ma a certi livelli entra probabilmente anche in gioco l'importanza del vedere valorizzato anche ciò che si propone in prima persona.
La formazione comprende David Paich, tastierista e autore principale, Steve Lukather alla chitarra, il cantante Bobby Kimball, David Hungate al basso, e i famigerati fratelli Porcaro, Jeff alla batteria e Steve come secondo tastierista. Oltre a Kimball, anche tre degli altri membri si ritagliano parti vocali da solista, e sarà anzi l'alternanza fra i diversi timbri vocali una delle loro cifre più caratteristiche.
Sono ancora le stesse persone che suonarono nel debutto, ma per un soffio: Hungate infatti non regge più quello stile di vita e vuole riunirsi alla famiglia. Registra le sue parti e se ne vola a Nashville, dove diventerà un richiesto turnista in area country.
Lo sostituisce al volo un terzo Porcaro, Mike, che rimarrà con i Toto fino al 2007, quando la malattia lo costringerà a mollare. È così lui che appare nel primo video promozionale del disco, quello abbinato a "Rosanna", nonostante di fatto non abbia messo dito nella registrazione.

"Rosanna" è anche il brano che apre la scaletta, estremamente complesso nella sua orecchiabilità: introdotto da un passo di batteria jazzato, ha una strofa pacata dal sapore funky cantata da Lukather, un'evoluzione della strofa - o pre-ritornello che dir si voglia - cantata da Kimball su una tonalità più squillante, e un ritornello a sua volta diviso in due, una parte quasi sottovoce, con tanto di schiocco di dita in primo piano, e una parte gridata in coro. Al centro ci sono circa trenta secondi di virtuosismi, divisi fra sintetizzatori e chitarra, in cui si ammassano una gran quantità di sovraincisioni, per mano perlopiù di Steve Porcaro, dando l'idea di un intermezzo molto più lungo di quello che effettivamente è. Dopo una ripresa della canzone, gli strumentisti sfociano, a partire da 4' 35" circa, in una memorabile mini-jam finale, introdotta dal pianoforte honky-tonk di Paich e dal ritmo shuffle di Jeff, con il rullante a colpire sul levare del terzo dei quattro battiti.
Fa impressione pensare quanto riesca a essere contagioso un pezzo così ricco. Ben presto, eccolo campeggiare per diverse settimane al numero 2 di Billboard, complice un video in odor di "West Side Story", diretto dall'irlandese Steve Barron, uno dei più grandi registi del campo (basti la sua pagina Wikipedia, che ad elencare tutti i lavori su cui ha messo mano si dovrebbe scrivere una scheda a parte).

Alcuni pezzi sono più diretti, ma sempre nel segno della rifinitura, della lucidatura, della perfezione formale.
"Make Believe" è un rock pianistico adorabile, che si piazza a metà fra i gruppi del cosiddetto yacht rock loro parente (il sound della West Coast dei vari Doobie Brothers e Steely Dan) e le band britanniche che guardavano al nuovo continente, Supertramp su tutti, ma anche i Genesis novelli alfieri del pop (si pensi a "Misunderstanding", da "Duke").
"I Won't Hold You Back", unico brano del disco scritto e cantato da Lukather in solitaria, è una ballata con arrangiamento orchestrale molto ingombrante, che si redime tuttavia grazie a un tono malinconico, capace di smorzarne gli zuccheri. Della componente malinconica si sarà sicuramente accorto Roger Sanchez quando ne ha oculatamente campionato un frammento per costruire "Another Chance", hit dance del 2001, fra le migliori dell'epoca.
Dal canto suo, Steve Porcaro firma e canta "It's a Feeling", la cui atmosfera piomba nella scaletta come un alieno, con le sue chitarre eteree e delicatissime, le tastiere che lasciano rivoli di suono in lontananza, la voce che non si increspa mai. Brano impalpabile, fra i più preziosi nel canzoniere della band, fa rimpiangere la scarsa prolificità dell'autore.

Con "Waiting For Your Love" i Toto tornano a una delle loro prime passioni, la musica funk, in maniera più manifesta che altrove nel disco. D'altronde, la band al completo si era riunita per la prima volta nel lontano 1975, per registrare "Silk Degrees" di Boz Scaggs. Composto per metà proprio da Paich, quell'album era uno splendido spaccato di funk bianco e uno dei punti di partenza della stagione yacht rock. In seguito, anche alcune fra le prime hit dei Toto, quali "Georgy Porgy" e "99", sfociarono in pieno nel funk.
"Waiting For Your Love" è sicuramente il miglior brano di "Toto IV" fra quelli cantati dal solo Kimball, con il pianoforte elettrico sincopato, il giro di basso levigato, ma soprattutto la voce, grintosa e potente, consapevolmente la più dotata da madre natura fra quelle del sestetto, per quanto presto parzialmente compromessa dall'abuso di alcol e droghe.

In chiusura c'è "Africa", numero 1 di Billboard nel febbraio del 1983, e inno dei Toto. Come già in "Rosanna", anche qui Kimball viene usato per far deflagrare il ritornello, in contrasto con una strofa cantata con tono disteso, questa volta da Paich. Sempre Paich studia come riprodurre il suono della kalimba con un pianoforte digitale Yamaha basato sulla sintesi Fm. Le percussioni del famoso turnista Lenny Castro aiutano a infittire la sezione ritmica.
Misto fra pop elettronico dal sapore esotico e hard rock snellito per il passaggio radiofonico, "Africa" diventa uno dei brani simbolo di quello che molti finiranno con l'indicare come AOR. In vero, il significato della sigla è ancora oggi ballerino e muta a seconda dei paesi e delle tradizioni della critica musicale, tanto che a seconda del contesto in cui lo vedete utilizzato può indicare tanto gli Steely Dan quanto i Journey. Sarebbe quindi più indicato parlare di arena rock, termine che delimita un ambiente più circoscritto, posto che per "Africa" il problema non si pone, visto che alla buona può essere considerata parente di ambo i gruppi appena citati (pur avendo decisamente meno pretese intellettuali dei primi, e meno candore adolescenziale dei secondi).

Ai Grammy Awards del 1983 i Toto fanno incetta di premi, vincendo - fra le altre - le categorie di "album dell'anno", "registrazione dell'anno" (per "Rosanna") e "produttori dell'anno". A poco servirà, negli anni a venire, il perpetuo tentativo di damnatio memoriae da parte di certo giornalismo. Per chi apprezza la musica rock che sa sposare arte della decorazione e grande successo, questa rimane una sequenza di canzoni da custodire.

02/12/2018

Tracklist

  1. Rosanna
  2. Make Believe
  3. I Won't Hold You Back
  4. Good For You
  5. It's A Feeling
  6. Afraid Of Love
  7. Lovers In The Night
  8. We Made It
  9. Waiting For Your Love
  10. Africa




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