Dagli esordi musicali con la mitica Sun Records di Sam Phillips (la stessa etichetta con cui Elvis Presley segnò la propria epoca e le successive) alla recente primavera con la American Recordings di Rick Rubin, il mondo è stato travolto da profonde e dolorose rivoluzioni (spesso più apparenti che reali), ma lui era sempre lì, con il suo country imbastardito da un'inestinguibile postura rock, decadente e eversiva, con le sue storie di rinnegati, desperados, outsider, pure in quei momenti in cui la cultura alternativa sembrava essere al potere, eterno peregrino omerico che ha vissuto ramingo e girovago alla perenne ricerca di una casa che sapeva non avrebbe mai avuto. Perché alle anime inquiete spetta l'onere di vivere per strada come viandanti, sbirciando la sicurezza emanata dai focolai domestici, paghe e nel contempo ferite dalla propria libertà.
Lo scrigno nero con cui la American ha voluto rendere omaggio ai dieci anni di collaborazione con Johnny Cash contiene 64 inediti gioielli "dissotterrati" tra le numerose prove e outtakes delle registrazioni dei quattro album che hanno segnato la sua rinascita negli anni '90 (il primo è datato 1994, l'ultimo 2002) e di cui troviamo un best of sul quinto CD. Opera approvata dallo stesso Cash ancora in vita, si struttura in cinque diversi momenti:
1. WHO'S GONNA CRY — Il pianto luttuoso.
L'apertura di "Long Black Veil" introduce appieno nell'atmosfera di questa prima parte, segnata dal pianto disperato provocato dall'assenza. Chitarra e voce a farla da padrone, come a voler scarnificare l'esistenza stessa, mettendone in luce la solitudine e la miseria. La voce profonda e baritonale di Cash sembra concedere, paradossalmente, l'unico spiraglio di luce.
2. TROUBLE IN MIND — La malinconia del mondo.
Ancora un'apertura paradigmatica: "Pocahontas" (suonata con gli Heartbreakers) di un altro mostro sacro, Neil Young, amara denuncia degli eccidi perpetrati a danno dei nativi americani. La prospettiva si amplia, gli arrangiamenti anche, in sintonia con lo sguardo rivolto ora verso il mondo e le sue ingiustizie, con occhio malinconico e nostalgico. Un atteggiamento profondamente blues, che esplode nella stupefacente T for Texas di Jimmie Rodgers.
3. REDEMPTION SONGS — La sublimazione dell'arte.
Il testamento più bello che potesse lasciarci un artista di tale statura: "I'm just a singer of songs", come recita nella cover di Tim O' Connell, sembra nella sua modestia racchiudere tutta la sua grandezza, come la vita si cela in un minuscolo bocciolo di rosa. La musica si fa ancora più ampia, complice il riscatto che l'artista ottiene attraverso l'atto creativo, suggellata dal duetto con Joe Strummer per "Redemption Song" di Bob Marley. Lo sguardo rivolto al cielo, l'uomo in nero diventa l'ideale e la speranza, la redenzione del singolo attraverso la fede in un'idea.
4. MY MOTHER'S HYMN BOOK — La meraviglia quotidiana del divino.
Il sogno di una vita finalmente realizzatosi: confezionare un album composto dalle musiche assorbite nell'infanzia contadina, i canti religiosi della madre con cui si accompagnava la quotidianità passata. La musica si stringe nuovamente sull'uomo e il suo strumento, una povertà ora metafora della rinuncia a sé in favore di una forza superiore cui si abbandona la propria esistenza. Il ritorno a casa dopo un lungo viaggio nella sofferenza e nella dannazione, vero l'archetipo immobile che dona pace all'animo provato.
5. BEST OF CASH ON AMERICAN — Lo stupore della partenza.
Nulla di nuovo, solo un piccolo compendio con cui partire verso nuove avventure ultraterrene. Il meglio (pur con qualche lacuna, ma in fondo sarebbe stato chiedere davvero troppo) di dieci anni straordinari iniziati per caso, con Rick Rubin che assistette a un concerto di Cash (stella in declino) e gli propose di collaborare. Le perle si sprecano: "Delia's Gone" (dello stesso Cash) e la sua smargiassa ironia, "Mercy Seat" che trasfigura la tensione di Cave in un potente atto redentorio, una intensissima "One" (U2) che bagna il mondo ripulendolo da ogni sporcizia, la triste chiusura di "Hurt" (Trent Reznor).
La pregevole fattura della confezione conferisce giusta dignità a un'opera insostituibile, sfortunatamente l'ultimo saluto di uno tra i maggiori interpreti delle contraddizioni del mondo d'oggi. Paradossalmente l'originalità scaturisce nel suo caso dall'aderenza alla tradizione, che lui stesso ha contribuito a costruire e che a lui sempre attingerà quale modello leggendario, voce profonda in grado di scalfire la roccia.
(26/10/2006)