Difficile orientarsi fra le tante uscite che hanno costellato e costellano la carriera di Will Oldham. Un filo conduttore era rinvenibile riguardo l'ultima incarnazione del barbuto cantautore del Kentucky (quella di Bonnie "Prince" Billy) nella cadenza biennale degli album principali (1999 per l'esordio "I See a Darkness", 2001 per "Ease Down the Road", 2003 per l'ultimo "Master And Everyone"). L'attesa, spasmodica data la statura del personaggio e dei dischi in questione, lascia un po' d'amaro in bocca, dato che quest'anno l'assunto è venuto meno, e alle stampe, anziché il quarto capitolo della saga, son stati dati tutt'altri lavori. Lasciando da parte le collaborazioni con Matthew Sweeney e Tortoise, parliamo di "Summer in the Southeast", live registrato proprio dopo l'uscita di "Superwolf" (ndr, l'album con Sweeney) in tournée nel sud-est americano (Florida, Georgia, Mississippi e North Carolina).
Veniamo subito al sodo: "Summer in the Southeast" non è né il classico disco su commissione o nato per raccimolare qualche soldo in più, né una semplice foto ricordo della collaborazione (di cui è riproposto un solo brano su diciassette). Trattasi invece dell'altra faccia di "...Sings Greatest Palace Music": mentre nella raccolta dello scorso anno Oldham riproponeva i suoi classici imbellettati e tirati a lucido, rendendoli classici della tradizione americana tutta, oggi troviamo il canzoniere in veste elettrica e imperfetta, eppure sincera e appassionata allo stesso modo: semplicemente la seconda anima dell'uomo. Abbiamo detto "in veste" quando, a onor del vero, bisognerebbe dire "in vesti", dato che ogni brano trova una dimensione diversa dall'altro, una sua forma, una sua storia da raccontare.
Si parte con "Master and Everyone", tremebonda e scorticata, a dipanarsi, sbilenca, su scossoni di chitarra, tiratissima e tesa nel finale pestato. La voce acidognola e intensa di Oldham è al meglio, ed è punto fondamentale e valido per tutti i brani. Il classicone "Pushkin" (uno degli unici due brani in comune con il disco dell'anno scorso) si pone invece in una dimensione sospesa nell'aria, a metà tra sogno e crudezza, il piano accelerato, le chitarre sovrapposte, la voce femminile a contrappuntare eterea e perfetta. "Blokbuster", vivida e fremente, emozione allo stato puro, è la dimostrazione del talento cristallino e dello stato di forma spettacolare di Oldham. Lo spettro dei registri usati è amplissimo: dalla tenera grazia di "Wolf Among Wolves", sospirata e ululata, al rock sparato a mille dell'inno "May It Always Be", alle tinte country e folk che colorano l'accorata "Break of Day", all'esecuzione tesa e assassina della lugubre "A Sucker's Evening", impreziosita da colpi d'organo. La qualità media, fra picchi e discese, si mantiene alta.
A cullarci a metà disco arrivo il meraviglioso crescendo epico di "I See a Darkness" (curiosamente le tre title track dei tre dischi a nome Bonnie "Prince" Billy sono messe esattamente a inizio, metà e fine album), interpretazione splendida ed emozionata come se fosse stata la prima volta. Il risveglio è firmato dalla graffiante "O Let It Be", tutta arabeschi e morsi di chitarra, mentre la tenera "Beast For Thee" trasporta in uno dei tanti vertici del disco, l'epica "Death to Everyone", tra quiete e inquietudine, chitarra elettrica scarnificata ad arroventarsi, cori desolati senza musica.
Gli ultimi colpi da annotare sono la scarna e desolata "Even If Love", la fanfara di "I Send My Love to You" (in rapida successione, merita applausi l'ordine della scaletta) e la galoppata corale e sostenuta di "Madeleine Mary", prima che tutto si plachi nel country placido di "Ease Down The Road".
Insomma, aspettando aspettando, ci si ritrova tra le mani un altro bel disco, da spazi aperti, da vivere più che da ascoltare. E difatti la prima cosa che scatta nella testa è la voglia di andarselo a godere dal vivo, Will Oldham, con tutta probabilità, ad oggi, il miglior cantautore di stampo "classico" (e già definirlo così è riduttivo): "Summer In The Southeast" è la prova di quanto ci attende.