"The Crane Wife" rappresenta il quarto episodio sulla lunga distanza dell'epopea artistica dei Decemberists e segna, nel contempo, il passaggio ad una major discografica della stravagante banda capitanata dall'attivissimo Colin Meloy. Nell'anno e mezzo che separa questo lavoro dal precedente "Picaresque", Meloy ha infatti posto le basi per una parallela esperienza solista, cimentandosi, tra l'altro, in prima persona nell'interpretazione di alcuni brani di Morrissey e Shirley Collins.
Le prove soliste dell'artista che a ragione si può considerare la mente e il cuore della band, ne hanno concentrato gli sforzi sul miglioramento della caratteristica voce nasale e cantilenante, oltre che nell'evoluzione di quella forma espressiva lieve e sbarazzina che tuttavia già in "Picaresque" aveva palesato alcuni segnali di preoccupante stanchezza. Pervenuti infatti, probabilmente, alla conclusione per cui la scanzonatezza un po' surreale dei loro primi lavori correva ormai il rischio di trasformarsi in un cliché fin troppo prevedibile, i Decemberists sembrano aver messo profondamente in discussione alcune delle proprie coordinate artistiche, tanto da presentarsi adesso in una veste sonora che, seppur in una linea di sostanziale continuità con il resto della loro discografia, accenna ad abbracciare stili e approcci diversi, benché riconducibili in prevalenza a più convenzionali stilemi indie-folk.
Eppure, non per questo "The Crane Wife" segna la transizione della band verso forme espressive scontate e fin troppo immediate. Anzi, accantonate in parte le derive progressive di "Picaresque", le dieci tracce comprese nel nuovo lavoro, cercano di bilanciare l'abituale scrittura brillante, dalle ricercate tinte folk, con costruzioni sonore complesse e cangianti - testimoniate in particolare dai due brani di durata superiore ai dieci minuti - nelle quali Meloy e compagni riversano un condensato di influenze e suggestioni, talvolta per loro inedite. Forse proprio per questo, "The Crane Wife" risulta un album ibrido, a tratti sovrabbondante, al cui interno si percepisce nettamente l'impellenza dello sforzo compiuto dalla band nella traduzione della propria impronta caratteristica verso un qualcosa di diverso, ma non ancora del tutto definito. Non a caso, nella sua ora di durata, l'album propone la non agevole coesistenza tra semplici melodie di ballate acustiche dal sapore romantico, derive psichedeliche e accenni elettrici pronunciati, che giungono talora a sporcare inopinatamente brani affini a quelli invece incorniciati in "Her Majesty" dal placido suono della fisarmonica.
Il senso profondo sottostante al lavoro è emblematicamente rappresentato dai quasi tredici minuti di "The Island, Come And See, The Landlord's Daughter, You'll Not Feel The Drowning", vorticoso caleidoscopio di stili diviso in quattro momenti distinti: dopo un breve e disorientante incipit da sofisticato rock anni 70, il menestrello Meloy comincia la sua narrazione, solcata da pesanti e inattese linee di basso che preludono a un decollo epico orchestrale spolverato da note d'organo, prima che il brano si trasformi in una scatenata sbornia a metà tra psichedelia di stampo canterburiano e danza gitana, ben presto dissolta nel dolce intimismo cantautorale della chitarra latina e degli archi che guidano il brano verso il suo declinare. Da una composizione così complessa, per quanto dispersiva e disomogenea, emergono molteplici elementi creativi e una serie di idee in attesa di sviluppo che da sole basterebbero a riempire album interi: eppure, i Decemberists le affastellano tutte insieme, giustapponendole senza curarsi troppo dell'organicità del risultato, in una sorta di bulimia musicale che può far pensare alla multiforme personalità artistica di Sufjan Stevens, ma che pare contrassegnata da un'urgenza di impressionare un po' forzata e scarsamente spontanea. Così, quasi la pluralità di citazioni contenute in un solo brano non fosse sufficiente, il resto del lavoro passa con disinvoltura da una canzoncina solare e vivace che sa tanto dei R.E.M. di "Out Of Time" ("Yankee Bayonet (I Will Be Home Then)", caratterizzata dalla gradevole alternanza con la voce di Laura Veirs e coretti annessi), all'andamento ballabile alla Whitest Boy Alive di "The Perfect Crime 2", dal disturbante turbine elettrico che sporca l'impetuosa ballata "When The War Came", al banale ritmo incalzante di fondo di "O Valencia", del tutto inconferente in simile contesto e ben più appropriato per qualche indie-kid dell'ultima ora che non per una band raffinata e avvezza a riferimenti letterari come i Decemberists.
Nell'album non mancano però, fortunatamente, momenti nei quali è ancora dato riscontrare un genuino lirismo folk: "The Crane Wife 3", "Summersong" e "Sons And Daughters" sono infatti le classiche ballate cui i Decemberists ci hanno abituato negli anni, forse appena ingentilite e rese più pacate, mentre "Shankill Butchers" è l'autentico gioiellino acustico del lavoro, nel quale Meloy torna a descrivere con grande gusto e dolcezza personaggi paradossali e pittoreschi, davvero all'altezza delle geniali caratterizzazioni degli album precedenti. Ed è proprio l'efficace scrittura di questi brani, unita allo spirito che da sempre anima la musica dei Decemberists, a poter indurre, in definitiva, a valutare come interessanti esperimenti sonori alcuni discutibili innesti strumentali e come eccentrica imprevedibilità quella certa confusione che quasi tutto il lavoro lascia trasparire.
I tempi di "Her Majesty" sono senza dubbio ben lontani e, se già in "Picaresque" la band non sembrava troppo a proprio agio nelle velleità di indossare una veste sonora più compunta e sofisticata, non miglior risultato consegue qui nel tentativo di rivestire di una patinata modernità indie-rock uno stile che ha invece sempre trovato uno dei suoi punti di forza in un disincantato e colto anacronismo. Ma, al di là delle possibili congetture circa la coincidenza di questa contraddittoria trasformazione con la loro prima uscita per una major, "The Crane Wife" ribadisce come vi sia ancora un quid di irrisolto nella prospettiva di fondo dei Decemberists, la cui dimensione artistica è adesso certamente più prossima a quella di un classico pop-rock che non, come in passato, a quella di artisti quali Okkervil River o Bright Eyes.
02/10/2006