Strani gli incroci della vita. Due fra i musicisti folk più interessanti, ciascuno della propria decade, Sam Beam e Calexico, a passarsi il testimone un paio d'anni orsono ("In The Reins"). Il combo tex-mex andato ad intagliare canzoni pop-folk ("Garden Ruin"), il barbuto cantastorie della Carolina del Sud a peregrinare verso una nuova veste, più rock e tribale (l'ep "Woman King").
Percussivo è l'aggettivo che più si adatta a cogliere l'anima di "The Shepherd's Dog", terzo lavoro di lunga durata di Iron & Wine. Già il precedente "Our Endless Numbered Days" aveva marcato passi di maturazione e svolta, cercando di dare un suono più colorato alle spartane delicatezze dell'esordio. Oggi si arriva alla concretizzazione, l'attenzione si sposta sulla musica, sugli arrangiamenti stratificati e articolati, sulle tantissime varietà di tamburi, pelli, bicchieri, bacchette e ammenicoli vari usati.
I brani scorrono tesi, la linea melodica reiterata, la focalizzazione sugli strumenti. E' il caso della spasmodica "White Tooth Man", dura e affilata, con tanto di suggestioni orientali; di "House by the Sea", paesaggio acquoso aperto da corni e armonica; di "Wolves (Song of the Shepherd's Dog)", con la sua chitarrina funky e jam finale. Nonostante l'impegno profuso sui suddetti aspetti, Beam non dimentica le sue qualità emozionali. L'introversa "Carousel", l'anticheria country "Resurrection Fern", la purezza di "Flightless Bird, American Mouth" scaldano i cuori.
Passato dall'essere un melodista all'essere un musicista (le due anime si rendono complementari nelle ottime "Boy With a Coin" e "Lovesong of the Buzzard"), Sam Beam cuce un disco coeso, maturo, senza passaggi a vuoto, e di qualità. Se quelle del masterpiece "The Creek Drank the Cradle" sono le canzoni che lo hanno portato agli onori della cronaca, "The Shepherd's Dog" è l'album che può consolidarne e allargarne la fama.
21/09/2007