David Vandervelde

The Moonstation House Band

2007 (Secretly Canadian)
pop-rock, glam, songwriter

Ma ci stiamo veramente appassionando di un figlio del glam? Noi che al glam-rock abbiamo sempre preferito altro, qualsiasi cosa, tutto il resto. E' difficile giustificarsi qui e ora: sarà che in questa wolf-generation di indie-rocker - autoreferenziale pure nella scelta del nome e dove tutto ormai suona simile a se stesso - ecco che il ripescaggio di qualcosa di così lontano da noi e da tutto, dall’aria che quotidianamente respiriamo, ci rinfresca la bocca, come il sorbetto dopo un delizioso piatto di pesce.
Ecco perché ci piace David Vanderlende, perché suona diverso.

Venendo al disco: "Nothin' No" si apre con un timido riff hard-rock, struttura semplice su cui il giovane tuttofare si diverte ad aggiungere suoni e stravaganze, addirittura un accenno di americana appena percettibile - in onore di Jay Bennet (Wilco) certo, co-autore del resto di questo e solo questo brano, ma titolare degli studi dove il nostro si è isolato in cerca di concentrazione.
In realtà poi "Nothin' No"  è l'esempio più sincero della devozione del cantautore chicagoano per Marc Bolan e i suoi T. Rex: glam-rock a profusione imbastardito da lo-fi strisciante, qualità apprezzata dai giovani palati indie. Rimaniamo stupiti dal risultato, dalla capacità con cui riesce a penetrarci, dalla non banalità di quanto ex-ante sarebbe apparso un malizioso ripescaggio degli anni 70. Il tempo è passato, ma riportiamo indietro l'orologio, per riascoltare, per convincerci di aver capito giusto e di non aver preso l'abbaglio. All'ennesimo giro il nome di David Vandervelde ce lo segniamo.
A seguire "Jacket", ballata acustica vestita in stile Scissor Sisters: si fatica a distinguere Jake Shears da Vandervelde, ma il proseguo è più psichedelico, meno plasticoso, più suonato, meno "I Don't Feel Like Dancing". C’è ricerca, devozione musicale, anni da autodidatta, passione.

Si prosegue e si approda a "Feet Of A Liar", altra ballad acustica, altro inchino ai T. Rex periodo Tanx: siamo in un acquario, con quel suono che arriva da chissà dove, scelta produttiva azzeccata, campanellini psichedelici e una leggerezza strumentale a cui si unisce un’aleatorità vocale. "Corduroy Blues" è il passo pretenzioso del one-man-band, che mette sul piatto arrangiamenti d'archi classicheggianti (a occuparsene il padre di Beck, David Campbell, già arrangiatore per qualsiasi cosa da Leonard Cohen a Elton John) e si reinventa crooner alla Scott Walker: il gioco non riesce, spiazza, e forse non ci si aspettava nemmeno questo da lui adesso. Purtroppo ci accorgiamo che superato il giro di boa, il disco si siede, e noi con lui, non ci stupiamo più di quasi nulla, non giochiamo col tasto rewind. E' finito l'incantesimo.

Si torna a respirare quando David Vandervelde rimescola un po' di glam, un po' di Beatles e un po' di Stones per dar vita a "Can't See Your Face No More", in cui gigioneggia con coretti un po' surf e un po' no. Il resto lo lasciamo  a voi, noi concludiamo qui, con un voto alto, perché è un nome nuovo e perché lo ringraziamo per la prima parte del disco.

13/04/2007

Tracklist

  1. Nothin' No
  2. Jacket
  3. Feet of a Liar
  4. Corduroy Blues
  5. Wisdom From a Tree
  6. Can't See Your Face No More
  7. Murder in Michigan
  8. Moonlight Instrumental

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