Questo è il disco che non ti aspetti, che ti lascia spiazzato, che fa a pezzi quelli che si potrebbero chiamare molto banalmente "pregiudizi".
Gli Archive non sono certo dei novellini: giungono a questa sesta prova in studio a molti anni dagli esordi, nel lontano 1996. "Londinium", l'album del debutto, lasciò sbalordito più di un ascoltatore per la sua intensa e struggente bellezza; ma da allora, dopo uno scioglimento e la successiva riunione, gli Archive sembravano aver perso la strada, sperimentando suoni diversi, così lontani da quel piccolo gioiello trip-hop, ma spesso fuori fuoco e poco incisivi.
Quindi sì, lo ammettiamo: eravamo molto prevenuti su questo nuovo album, convinti di trovarci di nuovo davanti un lavoro trascurabile. Come nelle grandi storie, invece, arriva il colpo di scena che non ti aspetti: il disco funziona e non poco. Il nuovo lavoro degli Archive colpisce subito, dalla prima traccia che dà il nome al disco, quando poco dopo l'intro compare una cassa trascinata che sembra incespicare su se stessa, tipica del trip-hop e cosi lontana dai loro ultimi lavori.
Le successive tracce mostrano chiaramente un lavoro incentrato su atmosfere cupe e riflessive, in molti casi eteree come se fossero sospese nel tempo, interrotte da improvvise scorribande ritmiche potenti e incisive che, fortunatamente, non cadono nella sovraproduzione a cui abbiamo assistito negli album precedenti; un'alternanza di luce e ombra che ci porta nei luoghi più intimi della nostra anima.
Gli Archive, insomma, sembra abbiano imparato a "moderarsi", senza saturare eccessivamente i brani con una strumentazione totalizzante. Il disco ne guadagna molto in fruibilità, permettendoci di godere delle gradevoli melodie, disegnate principalmente dalla voce e dai synth di sottofondo, davvero struggenti in alcuni brani. L'album è stato concepito come un unicum musicale, senza soluzione di continuità dalla prima all'ultima traccia (tranne poche eccezioni), una sorta di flusso di coscienza sui dilemmi umani, una riflessione sull'alienazione quotidiana; l'idea funziona perché sono stati molto bravi nel variare le soluzioni sia melodiche che stilistiche, senza mai sedersi su intrecci già collaudati, anzi, condendo l'album con diversi generi - dal rock al big beat al più familiare trip-hop. Menzione speciale, però, merita la straordinaria suite di "Collapse/Collide", che vede la band all'apice della potenza e della creatività.
Il risultato finale è un album davvero gradevole, capace di rapire con le sue atmosfere sognanti e intime ma anche per le soluzioni ritmiche adottate; indubbiamente prosegue il percorso tracciato dagli ultimi lavori, rievocando ad esempio le strutture melodiche della celebre "Again", ma mostra una maggior capacità di sintesi delle sperimentazioni effettuate, riuscendo nel non facile intento di prendere ciò che c'è stato di buono negli ultimi lavori, amalgamandolo con le sperimentazioni trip-hop di "Londinium". Un album, insomma, che dovrebbe piacere sia ai nostalgici dei primi Archive sia a chi ha apprezzato le loro produzioni successive, pur essendo in fondo qualcosa di nuovo e unico. Concludiamo quindi con un avvertimento: non fidatevi dei pregiudizi.
24/05/2009