A volte non basta mettere insieme tanti attori bravi e famosi per fare un film eccellente, questa è la prima cosa che salta alla mente dopo gli ascolti del nuovo album dei Soulsavers.
A due anni di distanza dal "It's Not How Far You Fall, It's The Way You Land" in cui si avvalse della voce di Mark Lanegan, il duo inglese rilancia e recluta per questo "Broken", oltre al solito Lanegan, una schiera ancor più folta di ospiti: Mike Patton, Gibby Haynes (Butthole Surfers), Jason Pierce (Spiritualized, Spacemen 3), Bonnie "Prince" Billy e Richard Hawley.
Iniziamo però col puntualizzare che gli ospiti sono relegati a ruoli di secondo grado (coristi o seconde voci), in favore dell'onnipresente Lanegan, voce principale di tutte le canzoni, tranne quelle affidate alla scoperta australiana Red Ghost aka Rosa Agostino, voce suadente e cupa un po' à-la PJ Harvey, che si produce in una murder ballad ("Praying Ground") e in una ballata finale un po' noiosa ("By My Side").
Così facendo l'album assume in tutto e per tutto l'aspetto di un disco solista dell'ex-Screaming Trees, con all'interno tutti i generi e il sound caratteristico del suo lavoro; a partire da "Death Bells" rock elettro-lo-fi che potrebbe essere una outtake di "Bubblegum", per passare ai toni gospel di "Unbalanced Pieces" e "All The Way Down", fino alla triste ballad western di "Shadow Fall".
Messo da parte il pensiero che questo effettivamente non è un album dei Soulsavers e nonostante non ci sia niente di particolarmente originale, "Broken" si fa ugualmente apprezzare per la buona vena del cantautore di Ellensburg, molto a suo agio in terreni a lui favorevoli, sia per alcuni episodi musicalmente molto interessanti, primo su tutti "Rolling Sky", amplesso free-jazz-blues-elettro-lounge a due voci tra Lanegan e la Agostino, ma non sono male neppure le già citate "Unbalanced Pieces" (con Patton), marcia diabolic-industriale con sfumature gospel, o "Shadow Fall".
Il resto dell'album, pur rimanendo di pregevole fattura, non riesce a dare sensazioni sopra la media, si prenda ad esempio la "You Will Miss Me When I Burn" a firma di Oldham: la canzone è buona, l'interpretazione di Lanegan pure, ma il pezzo non lascia il segno, non emoziona come dovrehbbe, e lo stesso si potrebbe dire di altri pezzi, come la bella ma troppo melensa "Can't Cathc The Train" o la funerea e tremolante "Pharaoh's Chariot".
Album piacevole e sufficiente, ma non molto di più, bello ma sterile, verrebbe da dire di questo "Broken", disco in cui forse i tanti ospiti avrebbero potuto fornire ben altro contributo in termini d'idee e impegno.
26/09/2009