Era quasi impossibile fare peggio di “9” e, infatti, “10”, nuovo capitolo della saga Supersilent, rimette le cose a posto, regalandoci un lavoro evocativo e introspettivo (il più introspettivo della loro ormai ultradecennale carriera).
Prevalentemente costruito sugli intrecci di tromba (Arve Henriksen) e grand piano (Ståle Storløkken), “10” mostra un’anima notturna e desolata, con quel timbro “desertico” della tromba capace di evocare un Jon Hassell abbandonato a se stesso in mezzo a una landa inaccessibile. Certo, senza l’elemento ritmico questi Supersilent fanno ancora un po’ fatica a reggersi in piedi (innegabile, per dire, un certo manierismo di fondo) ma, almeno questa volta, si riesce a rintracciare della poesia, che qua e là riesce a suscitare una certa commozione. In ogni caso, il disco ha tutte le potenzialità per piacerea molti, magari anche a quelli che non hanno mai apprezzato la compagine norvegese.
Fatta eccezione per i quattro piccoli pannelli (tutti imbevuti di algida costernazione) di “10.1”, “10.4”, “10.7” e “10.10” (eh, lo so... con i titoli e con le copertine non hanno mai avuto molta fantasia!), il grosso dell’opera è affidato alle vespertine confabulazioni tra le rade figure pianistiche e le nebulose tessiture della tromba. Così, “10.3” sembra una tetra serenata, “10.6” si culla nel solco di un impressionismo puntillista, simulando un’inclinazione rinascimentale, e “10.12” si disperde dentro le trame inquietanti del tragico. Ma è, comunque, la bellissima “10.8” a raggiungere vette di assoluto lirismo, tratteggiando fragilissime soglie in cui si smarriscono i limiti tra diafano esotismo e misticismo spaurito.
L’altro versante appartiene, invece, a soundscapes tenebrosi, nei quali dominano viscide ragnatele di synth, tra ambient “artica” (“10.2”), cupi rimbombi cosmici misti a dissonanze fantasmatiche (“10.5”) e torbide ipnosi Tangerine Dream (“10.9”).
Produzione affidata in larga parte a Jan Erik Kongshaug.
08/09/2010