Dal 2006, anno del suo debutto sulle scene, Jérôme Reuter non ha mai fatto mancare al fedelissimo pubblico del dark-folk un contributo della sua multiforme creatura. Un progetto che ha vestito dapprima i panni della one-man band sulle orme dei Death In June, per poi aprirsi nella line-up e nelle sonorità ad un dark-rock più canonico e rinchiudersi, infine, in quell'isolazionismo malinconico divenuto da un paio d'anni trademark della seconda incarnazione solista di Reuter.
Così, ogni anno, l'appuntamento invernale con un album di (fino a qualche anno fa, dei) ROME è divenuto quasi una tradizione, una consuetudine irrinunciabile. E se “Confessions D'Un Voleur D'Ames” e “Flowers From Exile” potevano essere visti come le vette rispettivamente della prima e della seconda fase, questo nuovo “Hell Money” rappresenta sicuramente il miglior risultato del terzo corso, il cui manifesto era arrivato di questi tempi un anno fa sotto forma del mastodontico (e prolisso) triplo “Die Aesthetik Der Herrschaftsfreiheit”.
Le coordinate sonore sono in gran parte confermate, nonostante non manchi anche stavolta un'evoluzione nell'alchimia del progetto. Le canzoni vengono infatti spogliate definitivamente di gran parte della pece nera che le ricopriva in precedenza, da un Reuter sempre più lontano dalla figura del musicista e sempre più vicino a quella del cantautore. L'album, come intuibile dal titolo, è sostanzialmente un concept sui mali provocati dal denaro: il compito di analizzare e sviscerare la tematica viene affidato ai passaggi più energici, come la scoppiettante “Amsterdam, The Clearing” e l'impietosa “Golden Boy”, contaminata da suoni esotici, canti africani e qualche rimando allo stile della prima era.
Il nuovo ROME-sound trova invece le sue vette nella cascata di lacrime di “Tightrope Walker (Wild Milk)” - fra i brani più belli mai scritti dal lussemburghese –, nell'attacco ai massimi sistemi di “Fester” e nella ninna-nanna à-la-Cohen di “Rough Magic”, dove la dolcezza sostituisce in toto l'oscurità. Ma il sentimento prevalente nell'intero lavoro è una rassegnata malinconia, protagonista indiscussa dell'omaggio (già dal titolo) alla 4AD di “This Silver Coil”, della languida “Silverstream”, della sonata pianistica “Red-Bait” e del finale agrodolce e toccante di “The Demon Me (Come Clean)”.
La forza di “Hell Money”, anche rispetto ai precedenti episodi della saga ROME, sta nella sua capacità di dialogare con l'ascoltatore senza intermediari. Anziché soffermarsi sulla cura certosina di arrangiamenti e suggestioni, Jérôme Reuter si concentra sul lato poetico ed intimo della sua musica senza ricorrere ad alcun artificio, sfruttando solo una sensibilità compositiva degna dei migliori songwriter.
La metamorfosi è completa, il terzo ROME ha raggiunto la maturità.
17/12/2012