Reduci - è proprio il caso di dirlo - da qualche anno di avventure soliste che, per quanto lodevoli nel caso del batterista Tyson Vogel (col suo progetto di fingerpicking "devozionale"), non hanno portato enorme fortuna ai due, i Two Gallants tornano finalmente con "The Bloom And The Blight".
È così sottile (ma così marcata!) la differenza tra disperato e mestruale, tra urgente e sgangherato, tra i Radiohead e i Muse, che Adam Stephens non se ne rende neanche conto, nell'incipit del disco, "Halcyon Days". È quella differenza che, purtroppo, sussiste tra questo lavoro e lo scorso omonimo, con le stesse dinamiche quiet-loud che si risolvono, immancabilmente, nel nulla di fatto dell'inespressività delle linee melodiche delle canzoni di questo nuovo.
Laddove "Two Gallants" ribolliva di tutta la gioventù insoddisfatta e livorosa della Seattle dei bei tempi, "The Bloom And The Blight" pare un disco solista di Brian May (vedasi "My Love Won't Wait"). Giù di distorsione, e qualcosa succederà.
Tenta di riprendere la barra, Stephens, in "Broken Eyes", col suo emo-country così innocuo, eredità del suo lavoro solista. Ma la decadenza del gruppo rimane una verità davvero dura, soprattutto dopo cinque anni di silenzio.
08/09/2012