Chris Clark è uno dei capiscuola di quella generazione di produttori che ha di fatto raccolto l'eredità dell'intelligent dance music degli anni Novanta per condurla verso gli orizzonti del nuovo millennio. Uno dei primissimi nomi della seconda ondata di casa Warp, uno che ha negli anni portato la contaminazione urbana a credo, cresciuto in quello che è stato a tutti gli effetti il decennio d'oro dell'elettronica contemporanea.
Una sorta di scienziato dall'irrefrenabile curiosità che – differenziandosi in questo dalla gran parte dei contemporanei - anziché evolvere la sua passione rinchiuso fra i propri marchingegni (Mira Calix) o dando libero sfogo all'istrionismo (Squarepusher), ha esplorato su più campi possibile prelevando per ciascuno un campione sonoro da evolvere a modo suo.
In parallelo all'attività di musicista e produttore, che lo ha portato a partorire almeno tre gioielli di raro splendore (l'uno-due di debutto “Clarence Park”-“Empty The Bones Of You” e “Iradelphic” risalente all'anno scorso), Clark – da maestro quale è della commistione tra tradizione e modernità – è da anni attivo come remixer, richiestissimo da una moltitudine di artisti provenienti dalle esperienze più disparate. Una sorta di secondo volto rimasto a dire il vero piuttosto in ombra fino ad oggi, ma pronto a un tardivo lancio grazie a questo “Feast/Beast”, doppio album compilato da Warp che raccoglie la gran parte dei rework del producer britannico compresi lungo l'intero arco temporale della sua ormai ultradecennale carriera. Una strada alternativa per approcciarsi alla sua arte, percorrendo la quale è però possibile ritrovare gran parte dei numerosissimi tratti somatici di quest'ultima, sfruttati questa volta come strumenti per rimodellare le creazioni altrui.
Ce n'è davvero per tutti i gusti nel caleidoscopio spalmato sui due dischi: il primo, “Feast”, contiene i prodotti più recenti, in cui Clark si diletta nell'espatriare tanto verso le ultime tendenze dell'underground elettronico (dal wonky al footwork, passando per beats e dubstep) quanto verso mondi il più possibile estranei al suo usuale raggio d'azione. Manifesto del primo incrocio è il criptico e malinconico mantra in cui viene convertito l'hip-step di “Let's Go” del francese Rone, seguito a ruota dalle pennellate sbiadite che annebbiano il carillon a martello di “Kitchen Sink” di Amon Tobin e dalle nebulose cosmiche che sfiancano i già ipnotici giochi di sample del genietto Kuedo su “Glow”.
La rarefazione è protagonista indiscussa pure nei sogni lucidi che ammorbidiscono le squadrature tipicamente berlinesi di “Spur” a firma Barker And Baumecker, nella psichedelia che contagia le trame deviate di DM Stith e della sua “Braid Of Voices” e nel passaggio di consegne con Nathan Fake fra eredi idm nelle armonie che placano “Fentizer”, tanto quanto nella trentemølleriana “Alice (Redux)”, unico inedito firmato Clark. Prendono invece la forma di importazioni in universi paralleli l'estasi ritmica in tempi dispari che contagia “Peter” di Nils Frahm, le non troppo originali intersezioni acide à-la-Squarepusher che prendono il posto della batteria in “Bendir” di Glen Velez e la parentesi di “Sea”, brutale ma già infinitamente meno orrorifica dell'originale impro a firma dei temibili Vampillia. A completare il quadro, due “favori restituiti” dal discepolo Biblio, che reinterpreta in chiave elettro-acustica la meravigliosa “Absence” e la languida “Ted” - rispettivamente da “Totems Flare” e dall'Ep omonimo.
La seconda metà della raccolta, “Beast”, propone invece una selezione dal lato più muscolare e “tradizionalista” dei rework dell'inglese. È il caso della tirata a lucido di “Fearless” dei Depeche Mode - ad oggi la chiamata più importante ricevuta da Clark - ma anche dell'odissea trash-psych di “Let's Go Clinical” dei Maximo Park, della marcetta “My Machines” dei Battles rivisitata a suon di Autechrerie in slow-motion, delle frenesie d'n'b ad assorbire il rumor bianco degli Health nella loro “Die Slow” e dell'odissea acida al fulmicotone su “Hammersmashed” di Drvg Cvltvre, salto nel più estremo territorio rave.
Più pacate ma non meno malsane sono le escursioni dispari sul beat-hop della mai pubblicata “Red Light” dei Massive Attack, i giochi di luce analogici ad illuminare “Evil Beast (People In The Way)” dei Terraformers, le taglienti lamine dal gusto industriale a saturare “D&T” dei Letherette e le braci hardcore fuse ai bassi di Milanese in “Mr Bad News”, questi ultimi ripresi da Clark nell'auto-remix di “Suns Of Temper”.
Unica vera nota stonata nella maxi-tracklist dei due dischi è la pessima e sconnessa prova con cui Nathan Fake ricambia il favore su “Growls Garden”, che suona però a conti fatti come una goccia ininfluente nel monumentale oceano della raccolta. Un focus imperdibile che finisce quasi per compiere la missione impossibile di racchiudere in un'unica, gigantesca Polaroid di ultima generazione i mille volti di uno dei producer più poliglotti dell'elettronica contemporanea. In attesa di scoprire verso quale mondo si aprirà e quali campioni elaborerà nel suo prossimo parto, che – come ormai avviene fra molti alti e qualche basso dal 2001 – non mancherà certo di stupire.
08/10/2013