Amelia Fletcher ed Elizabeth Price dei Talulah Gosh si conobbero poiché entrambe indossavano una spilletta dei Pastels (da cui nacque anche il brano "Pastels Badge") ed infiniti sono i gruppi che omaggiarono il gruppo di Glasgow con una canzone (i This Many Boyfriends con "I Don't Like You (Cos You Don't Like The Pastels)", i Black Tambourine con "Throw Aggi Off The Bridge", i Flipper's Guitar con "Goodbye, our Pastel Badges", i Die Fünf Freunde con "Why I Like The Pastels" per proseguire con numerosissime citazioni, dai Veronica Falls ("Stephen") ai Pooh Sticks).
Oggi, a sedici anni dall'ultimo disco effettivo (tralasciando l'estemporanea colonna sonora del 2003 "The Last Great Wilderness" che non giustificò le attese e una collaborazione con i giapponesi Tenniscoats del 2009 che almeno fece luce su un interessante sodalizio) i Pastels tornano con un nuovo lavoro a tutti gli effetti, proseguendo quella strada ormai iniziata nel 1990 quando, facendo tabula rasa del passato, decisero di imparare a suonare i loro strumenti trasformando il gruppo in una sorta di collettivo sonoro, al quale parteciparono di volta in volta musicisti diversi. Per questo "Slow Summits", licenziato dalla Domino e registrato da John McEntire, hanno contribuito vecchie conoscenze e glorie mai tramontate: da Alison Mitchell a Gerard Love, da Tom Crossley a John Hogarty fino a guest del calibro di Norman Blake.
Non è proprio vero che dopo onorati anni di musica o si cambia per davvero incenerendo la propria carriera precedente e provando a iniziarne una nuova oppure si riposa in pace (da vivi o da morti, non fa differenza). Stephen Pastel ha oculatamente ponderato la scelta, per mettersi a lavorare con rinnovata consapevolezza su quello che rimaneva dei Pastels nel 2013 e per costruire un futuro credibile alla band che aveva così attentamente nutrito, dandole finalmente un'età adulta. Quell'età è adesso e che piaccia o no è figlia di un percorso coerente costruito sugli anni in un modo in cui i figli di quella sensibilità così candidamente ostentata negli esordi non si sentano traditi.
Tanti ascolti dopo, "Slow Summits" si è indubbiamente rivelato un album dei Pastels da cima a fondo, una naturale evoluzione di "Truckload Of Trouble"; ma se quel disco accettava di sporcarsi, "Slow Summits" guarda all'ideale convertendo in istanze classiche e solari la purezza dei Pastels. Le canzoni si permettono voli pindarici prima vietati, semplicemente perché hanno smesso di vergognarsi: dalla title track a "Kicking Leaves" da "Summer Rain" al singolo "Check My Heart" che mette a frutto un decennio d'esperienza in armonie. E tanti sono i suoni stipati in ogni pezzo che quasi non ci si accorge della presenza dei fiati ("Secret Music") che sanciscono la "rottura" con il passato recente e la necessità, poi sfatata, di "reinvetarsi". Ma non cambia la dolcezza delle musiche, non cambia il delicatissimo songwriting e non cambiano quelle leggere vibrazioni che questa volta agitano le rughe - vivaci battiti che aspirano al volo, come "Night Time Made Us" e l'agrodolce armonia venata di folk di "Illuminum Song".
Che non si parli di perdita di identità: difficile trovare oggi un gruppo altrettanto sicuro delle proprie scelte, così intimamente coerente con il proprio percorso personale, tanto conscio del proprio passato da volerlo/saperlo rivisitare con la consueta dolcezza pur in un album dichiaratemente "maturo" come questo; alla scoperta di un gruppo che, come successo ai Wake lo scorso anno, sembra aver guadagnato più ammiratori oggi di quanti non ne avesse già avuti in passato.
(28/08/2013)