Nell'attuale line-up dei Vår, allargata a quattro elementi, troviamo un vero e proprio "compendio" dell'attuale scena punk/underground di Copenhagen: a Elias Bender Rønnenfelt (Iceage) e Loke Rahbek (Sexdrome, Lust For Youth) si sono infatti aggiunti Kristian Emdal dei Lower (interessanti newcomer dediti a un vibrante e oscuro post-punk) e Lukas Højland (Red Flesh, Pagan Youth).
Il nome di richiamo è senza dubbio quello degli Iceage, il giovane combo dark-punk che vanta un esordio al fulmicotone ("New Brigade", del 2011) e un seguito non da meno ("You're Nothing", pubblicato da Matador a inizio 2013). Ma anche i Vår (inizialmente noti come War) stanno iniziando a beneficiare di una discreta esposizione mediatica, e l'uscita su Sacred Bones - label ormai affermata nel sottobosco musicale - è sicuramente una conferma in tal senso.
L'incipit è affidato all'elettronica dai toni apocalittici di "Begin To Remember", intro che spiana il terreno al synth-pop lo-fi di "The World Fell", brano dal mood magnetico ed elettrizzante, dove il sound dei Cold Cave flirta con la old school Ebm.
I Vår scelgono quindi di percorrere diverse strade nel corso dei trentasei minuti di "No One Dances...", e alternano brani più sperimentali/ambientali (la title track, "Boy") ad altri nei quali si prodigano in una cold-wave glaciale, disco-music per vampiri scandinavi ("Motionless Duties", "Katla", "Hair Like Feathers", quasi dei Cure in slow motion).
Nei passaggi più "pop" gli Eighties vengono riletti in veste rigorosamente distorta: come i "cugini" Lust For Youth (con cui condivisero uno split pubblicato dalla bolognese Avant), i Vår applicano al suono sintetico di quella decade un trattamento abrasivo, in maniera non dissimile da quanto fatto dalla shitgaze con il post-punk.
L'album sviluppa quindi gli interessanti spunti introdotti dal gruppo quando era ancora un duo: si tratta di un debutto davvero accattivante, a riprova del fiuto della label newyorkese, e questo Lp sancisce di fatto il passaggio dalla fase embrionale a quello di promettente realtà.
Un po' joydivisioniani, un po' neworderiani: un manifesto di disagio nordeuropeo espresso per il tramite di un “rumore” perennemente in bilico tra asprezza e malinconia.
02/07/2013