BADBADNOTGOOD & Ghostface Killah

Sour Soul

2015 (Lex)
rap, soul

Storia di un gruppo di talenti precoci che perse l'occasione di lasciare un'impronta – per quanto modesta – nell'albo del nu-jazz contemporaneo. Il lancio in gran stile del fenomeno BADBADNOTGOOD, con album in download gratuito e inviti ai grandi festival indie, è senz'altro servito a dar corpo a una fanbase adorante che ne ha riconosciuto il valore. Ciò a tal punto da non accorgersi dello sconfortante cambio di rotta nella loro terza prova, quella decisiva: episodio che ha interrotto una virtuosa crescita stilistica che si intrecciava con le ultime tendenze elettroniche, accontentandosi di sfornare un più classico prodotto d'ambiente, poco al di sopra di una “muzak nobile” all'orecchio dell'ascoltatore esigente.
Ora, a meno di un anno di distanza, il trio mette sul tavolo un'altra scommessa che tanto nuova non è: accostare la strumentazione tradizionale al rap, genere di basi e campionature per antonomasia; illustri eccezioni risalgono già alla rivoluzione di fine 80 dei Beastie Boys, passando poi per The Roots e Rage Against The Machine.

Il nome qui chiamato a rapporto non è certo secondario: Ghostface Killah, già nel Wu-Tang Clan, gode una discografia solista ventennale e centinaia di featuring con esponenti grandi e piccoli della scena hip-hop. Di certo “Sour Soul” non è dunque un progetto determinante nel suo percorso, laddove vorrebbe forse esserlo per gli ancora giovani BBNG.
Il flow di Ghostface si ritrova a navigare in acque piuttosto placide, andando incontro a sonorità più vicine al soul (come da titolo) che al jazz: aleggia l'elevato romanticismo di “What Color Is Love” al crocevia con le frammentarie orchestrazioni dei Portishead, svuotate però del distintivo melodramma urbano (“Gunshowers”). Tuttavia, sempre meno spazio è riservato agli elementi acustici come contrabbasso e pianoforte, così perdendo per strada un'ulteriore parte del calore che lo stesso trio aveva saputo restituire ai beat presi a prestito in “BBNG2”. Così la street knowledge del rapper, il cui stile rimane saldamente ancorato alla vecchia scuola – con qualche cliché di troppo nei testi – ne esce inevitabilmente sbiadita e quasi tramutata in una dimessa confessione.
Due binari che nonostante tutto vanno di pari passo, senza però giungere a una sintesi definitiva: a tratti trapelano barlumi dell'estro perduto dei BBNG, come il tiptoe di “Six Degrees”, con la chitarra in stoppato e la fitta ritmica a bordo tamburo – un bel momento guastato dalla petulante voce di uno tra i quattro ospiti dell'album, Danny Brown.

Pur intervallato da qualche breve strumentale, l'ottimamente prodotto “Sour Soul” supera appena la mezz'ora di durata, e dunque si auto-condanna a progetto marginale per entrambe le parti che ne escono senza alcun guadagno – quantomeno artisticamente parlando.
Cosa c'è di grave in tutto ciò? Nulla, all'apparenza, ma guardando al presunto astro nascente dell'indie strumentale diventa sempre più verosimile uno scenario in cui il trio di Toronto non ritrovi più il gusto di osare, il quid che in prima istanza aveva attirato la nostra attenzione su di esso. Nel caso specifico di “Sour Soul”, l'unico rischio in gioco è quello di far passare il rap dalla parte dell'easy listening, e c'è da scommettere che i padri fondatori non approverebbero.

25/02/2015

Tracklist

  1. Mono
  2. Sour Soul
  3. Six Degrees (feat. Danny Brown)
  4. Gunshowers (feat. Elzhi)
  5. Stark's Reality
  6. Tone's Rap
  7. Mind Playin Tricks
  8. Street Knowledge (feat. Tree)
  9. Ray Gun (feat. MF Doom)
  10. Nuggets Of Wisdom
  11. Food
  12. Experience