Ai più attenti e longevi appassionati di musica rock non sarà sfuggita la curiosa ciclicità con la quale la black music ritorna nelle grazie della stampa musicale: è successo quando, dopo il declino del dinosaur-rock e l’avvento del punk, pubblico e critica elessero miglior disco di tutti i tempi “What’s Goin’ On“ di Marvin Gaye. Negli anni seguenti la forza corrosiva del rap, l’energia dell’hip-hop e le infinite diramazioni moderne hanno costantemente tenuto vitale la scena black nonostante le prevedibili contaminazioni mainstream.
La retromania ha colpito anche il passato recente della musica nera, con una rilettura della storia del rock dagli anni 80 che le ha donato un ruolo primario. Non suoni strano che Prince, Michael Jackson, NWA e Public Enemy furoreggino nella selezione delle 200 canzoni degli anni 80 scelte di recente da Pitchfork, è solo una storia che si ripete e che trova ancora una volta terreno fertile nella costante crisi del modello pop-rock di lingua anglofona.
Detto questo si comprenderà come mai il terzo album di Dâm-Funk “Invite The Light” sia stato accompagnato da pareri critici così discordi, che si abbracci più o meno la centralità della musica nera incide sulla valutazione del progetto.
A questo punto l’unica chiave di lettura possibile è quella di immedesimarsi nelle logiche dalle quali Damon Garrett Riddick è partito per coordinare i quasi 80 minuti di questa piccola sinfonia funk, l’idea di base è che un mondo senza funk non è proprio né concepibile né immaginabile, a ribadirlo con forza e convinzione è l’ex-Ohio Player Junie Morrison nel brano d’apertura dell’album.
Da “Junie’s Trasmission” a “Junie’s Re-Trasmission” il viaggio sonoro di Dam Funk resta piacevolmente fedele alle premesse con momenti di tensione sonora elevata e altri meramente funzionali all’affascinante racconto di “Invite The Light”.
Quando Dâm-Funk approdò alla Stones Throw era decisamente fuori tempo per le voluttuose e innovative tendenze hipster dell’etichetta, ma nel corso degli anni qualcosa è cambiato, l’evoluzione del rap verso la sperimentazione e una sempre più evidente contiguità col passato hanno invertito la rotta, ponendolo al centro della nuova filosofia stilistica dell’etichetta.
E’ di buon auspicio che qui vi siano alcune delle canzoni più godibili e dirette mai prodotte dal musicista, in un equilibrio che mette sullo stesso piano Prince e George Clinton, e non flirta né col funky alla James Brown né con quello da dance-club.
“We Continue”, “Missing U”, “O.B.E.” sono solo alcuni esempi della brillante modernizzazione del funk da parte di Damon Garrett Riddick (in particolare, l’eccellente mix di house e funk di “O.B.E.”).
Altrove l’artista si diverte a mescolare le carte invitando Ariel Pink (“Acting”), gettandosi nel pop con ottimi risultati (“Somewhere, Someday”) e duettando con Q-Tip nella più moderna “I'm Just Tryna' Survive (In The Big City)”.
Non mancano piccole perle come “Floating On Air”, dove il musicista sembra essere rapito da un'estasi immateriale, o “The Hunt & Murder Of Lucifer”, una digressione strumentale ed elettronica degna dei fasti di Herbie Hancock, e soprattutto " Glyde 2nyte”, sintesi perfetta della passione e dell’abilità di Dâm-Funk nel riportare il funk fuori dai confini e di renderlo così gioioso, intelligente e piacevole.
15/10/2015