Allora, guarda... Ci sono tre tizi: il simpatico criticone, l'abbronzato tutto sarcasmo e l'amico americano. Da una vita condividono questo trasporto gioioso nei confronti della materia duraniana. Sono dei fan, e non raramente l'interesse sconfina dal semplice rispetto, se ne percepisce l'urgenza. Però sono pur sempre degli uomini fatti e finiti e intendono far risaltare un certo alone di saggezza, di maturità, di lucidità. Sono dei tifosi, anche accesi, ma si sentono pronti alla critica, anche feroce, qualora le aspettative non venissero rispettate. Il simpatico trio, lontano fisicamente, ma vicino telepaticamente, non si fa cogliere di sorpresa quando, nel bel mezzo dell'estate che volge al termine, i Duran Duran cominciano a tempestare l'ambito social con una frequenza inaudita: uno, due, tre, quattro, addirittura cinque brani che andranno a convergere nell'imminente nuovo album, "Paper Gods".
Il primo assaggio era in realtà giunto alle loro orecchie golose poco prima che gli ombrelloni facessero la loro comparsa in massa: "Pressure Off" e i mugugni avevano cominciato a palesarsi. Un giochino funky-pop ben congegnato, con Nile Rodgers che ritira fuori il suo classico giro sulla sei corde e Mark Ronson che lucida il tutto con il solito tocco modern vintage. I controcanti sono affidati all'ugola agile di Janelle Monáe. Una strofa insinuante, sensualmente cadenzata dal Le Bon. Poi arriva il ritornello e con esso anche il latte alle ginocchia: Ohoh ohoh oh... Il criticone non si fa attendere e lo fa presente ai due compagni d'avventura: "Questa è roba da Zecchino d'Oro!".
L'abbronzato invece si sente rinvigorito all'altezza della fascia addominale e si lascia andare all'applauso: "Ragazzi, mi è entrata subito in testa, conficcata e non si schioda più". L'americano bofonchia, ma già immagina il riecheggiare dello scioglilingua nel preserale che anticiperà il prossimo Super Bowl. Il criticone prende la palla al balzo e sentenzia: "Una canzone costruita appositamente per diventare un tormentone, ma di duraniano c'è ben poco. Manca il mistero, il fascino, l'aggancio alla madre patria. Va bene, Roger e John ci danno dentro come non accadeva da parecchio tempo, gli incastri tra batteria e basso non si udivano così compatti e voluminosi da trent'anni, neanche 'All You Need Is Now' era riuscito nell'intento così bene. Ma è una canzone da supermercati, da spot televisivo, un tentativo plateale di replicare gli ultimi Daft Punk. La speranza è che il brano non sia rappresentativo dell'intero lavoro".
E infatti non lo è. La prima conferma arriva in un dopocena agostano, quando cominciano a diffondersi le note della title track che vede la prima firma poderosa del vero produttore dell'intero lavoro, quel Mr. Hudson, britannico salito agli onori della cronaca musicale per aver rifatto il guardaroba a Kanye West. E così, mentre montano i falò che insistono senza pietà con Battisti e Guccini, i tre si mettono in cuffia e cominciano sentenziare: "Molto bella, inizia con un coro gospel, poi subentra Simon e una miriade di tastiere", debutta l'abbronzato. Il criticone non si fida e si spara una ventina di ascolti ripetuti per poi replicare: "L'intro è veramente sorprendente, fascinoso, riecheggiante antichi trascorsi eniani. Una morbidezza repentinamente scalfita da un bel crescendo ritmico, con John Taylor che sincopa in slap, accompagnato da un tappeto batteristico sintetico eppure tosto. Le Bon in palla, voce in primissimo piano, galvanizzante nel suo incedere, trionfale senza mai essere banale nel ritornello. Un break soffuso a base di chitarre sussurrate e poi lo sprint finale. E, caspita, dura sette minuti e non li senti neanche, pur non essendo pervasa da chissà quali cambi di tempo". Al criticone viene in mente quando, sedicenne, si prese una cotta per la maestosa "Sowing The Seeds Of Love" dei Tears For Fears, un mega-singolo che per un attimo sembrò anticipare la nascita di una nuova prog-era imparentata con il pop, convincendosi che anche i Duran avrebbero seguito quei tragitti avventurosi. Il risultato fu "Violence Of Summer", bubblegum music avariata... La replica non tarda ad arrivare: "Dai, è carina, ma sembra uscita da 'Red Carpet Massacre'". Effettivamente tutta la costruzione elettronica sembra mancare di profondità, come se i suoni provenissero da un giocattolo.
Ancora qualche giorno ed è la volta di "You Kill Me With Silence". L'abbronzato interviene sornione ma a gamba tesa: "Sarò clemente, una mezza porcheria". Passano un paio d'ore e arriva la rettifica: "Una vergogna! Back in 2007. Sui social sta montando la rivolta". Il criticone simpatico non ci sta e decide di accompagnare coraggiosamente la seduta di jogging quotidiano con il suddetto brano in cuffia, fino alla nausea e poi ribatte sicuro: "Un brano tutt'altro che scemo, anzi, piuttosto stravagante. Un recitato sinuoso, insinuante, un chorus che spunta inaspettato, cambiando le carte in tavola, con Le Bon che si inerpica avventuroso come non mai. Farebbe un figurone come pezzo portante di un film dalle trame spionistiche". Bond? Sì, ma diretto da Polański in qualche notte losangelina. "Non sento Roger, non odo John, ci sono solo tastiere e i suoni mi sembrano dozzinali". In realtà la base ritmicamente fisica è l'asse portante della canzone, con Roger che lavora di pedale in maniera egregia e John che gli dà man forte, distorto e triggerato dai synth.
Tre tramonti dopo ed ecco apparire il quarto brano, si intitola "What Are The Chances", è una ballata, con John Frusciante alla chitarra. Stavolta il criticone anticipa tutti: "Un vero e proprio atto criminale. Una strofa occasionale, delicata come i palmi delle mani di un benzinaio, che si evolve, senza l'ausilio di un bridge, in uno dei ritornelli più brutti di sempre, il frontman ulula disperato, trascinando le vocali dove neanche i tardissimi Scorpions avevano mai osato". L'abbronzato fa notare che "i fan hanno cambiato idea, si sono commossi, stanno urlando ai quattro venti che questi sì che sono i veri Duran". Il criticone non può crederci e sbotta: "Come è possibile che dopo trentacinque anni di frequentazione reiterata della materia la gente non abbia capito un tubo della vicenda DD!? Ma cosa c'entra questa ciofeca con le radici di Nick e John? I Duran nascono come ensemble post-punk, un territorio dove le ballad si intitolano 'To The Shore', 'The Chauffeur', 'Lonely In Your Nightmare', 'Seventh Stranger'. Questi sono i danni causati da 'Ordinary World', canzone ben costruita ma anche temibile equivoco che da vent'anni mina la vera essenza duraniana, che poco ha a che spartire con la classic ballad". Ed è qui che l'amico americano comincia a farsi sentire con meno parsimonia: "Cari amici miei, stavolta ho sentito delle buone vibrazioni, qualcosa che mi ha rimandato indietro nel tempo. Questo è il gruppo che mi ha toccato il cuore, elegante ma anche viscerale. Non mi stupirei se dalle mie parti divenisse un inno". E per un attimo pare di vederlo, mentre abbraccia la moglie, il figlio, il cane e tutto il vicinato statunitense che si cimenta nel nuovo ballo della mattonella pronto a sostituire l'ormai trita e ritrita "Always" di Giovanni Bon Giovanni.
Ma poi, un bel giorno, ecco palesarsi l'album. E, improvvisamente, le strade a stelle e strisce perdono tutti i colori della speranza e ridiventano violente. L'amico americano irrompe senza chiedere permesso come un novello Callaghan: "Provo infinita vergogna per questi squallidi numeri dance, tirati giù per fare finta di essere ancora giovani. Dove è finita la personalità? Mi immagino un ospizio illuminato da luci stroboscopiche, con Nick che lascia accesa la tastiera e va a farsi una partita a scopone, Simon che canta con le infermiere e viene raggiunto da Bono... Mark Ronson dovrebbe vergognarsi. Questo non è più un gruppo che scrive con stile, è diventato uno scherzo degno del karaoke. Adulti con una storia, una cultura che si riducono a marionette, senza dignità, mancando di rispetto ai fan. E io che mi prendevo gioco della deriva degli U2 e dei Coldplay. Caro signor Rhodes, non è preoccupato di cosa penseranno di lei Bowie e Sylvian? Lei è un impostore, non avrebbero mai dovuto prestarle le parrucche". L'abbronzato prende il coraggio a due mani e risponde: "Disamina lucidissima, non comprerò il disco, non andrò neanche a vederli dal vivo". Ancora il furente amico americano: "E vogliamo parlare dei testi? Patetici. '...non sto pensando al futuro, il futuro è là fuori, troviamo una connessione scappando dalle ombre verso la luce. Viviamo questa notte come l'ultima perché a nessuno importa se non ci sarà un domani. Noi crediamo in te, perché quando sei sotto la luce dei riflettori l'unica cosa che conta è stanotte ('Last Night In The City!')' ...io rimango nonostante il tuo obiettivo mortale di fare impazzire una persona, quando non pronunci il mio nome mi uccidi con il silenzio... se avessi un coltello potresti tagliare l'atmosfera, mi piace questo letto di spine, non potrebbe essere peggio all'inferno' ('Kill Me With Silence'); '...cerco nella folla, sono fissato con il tuo volto, lo conosco bene, ma è un sogno che non riesco a ricordare. Tutti voi, ovunque siate, sentitelo nell'aria, è tempo di divertirsi, fate un passo verso il futuro ('Pressure Off'); '...qualunque cosa sia accaduta ora è tutto ok, siamo ancora vivi e guardiamo questi giorni dal garage fino al tramonto ('Sunset Garage'); '...Ce la puoi fare, libera la farfalla che c'è in te e quando sconfiggerai la tua tristezza sarai una ragazza farfalla' ('Butterfly Girl'). Questo sarebbe un rimettersi in discussione? Abbassarsi al livello dell'attuale mainstream pop, sposando la dance più scontata senza più mischiare i generi, senza più invenzioni, riciclando parole e idee". Il criticone trova la soluzione all'enigma: "Ragazzi, è evidente che questo sia il debutto dei Warner Warner: lo si evince dai testi, dai suoni, dai movimenti della cassa, dai ritornelli. Un album chiaramente piacione, costruito insieme alla casa discografica per recuperare qualche posizione in classifica". L'abbronzato prova a controbattere: "Ma loro stessi hanno dichiarato che è stata la Warner a farsi avanti dopo aver ascoltato il lavoro, indi per cui tutto era già stato costruito dai protagonisti senza alcuna pressione esterna", ma è come se fosse senza forze.
Due mattine dopo, però, l'irrefrenabile amico americano si sveglia più sereno, probabilmente in garage, e aggiusta il tiro: "Certo, se il disco si ascolta senza aspettative e pregiudizi, se non si presta troppa attenzione ai testi... si possono apprezzare i quasi parlati di Simon che si contrappongono alle improvvise aperture melodiche super-catchy, con una vena di malinconia ma anche di speranza, una sorta di invito a ballare finché la notte è ancora giovane. Tutto molto semplice, ma il messaggio alla fine è positivo. E chissà, magari sul palco le canzoni avranno un tiro più fisico, più rock, robusto. Potrebbe essere visto come un concept sull'ottimismo!". Intanto il disco continua a girare. E così le impressioni, le disamine, le analisi. "L'ultima notte in città", brano che sin da subito aveva trovato un fronte piuttosto folto di contrariati, è una dance song da balera, sulla falsa riga della storica "What Is Love?", con la giovane Kiesza che alza la voce e viene travolta da un Le Bon ormai oltre la sfera del suono; cassa che più dritta non si può, cori e synth ovunque; un brano un po' cafone eppure tremendamente galvanizzante. L'abbronzato fa notare che "Face For Today" possiede le stimmate del classico duraniano: intro affidato agli archi, poi subito electro spinta, suoni ancora una volta un po' discutibili, ma ritmo incalzante che a un certo punto rifà il verso alla "The Valley" che inaugurava RCM, per poi aprirsi a un ritornello corale, quasi urlato, alla "New Moon On Monday", sentori neanche tanto vaghi di decadenza e di disperazione post-nucleare. Ci si rituffa in pista con "Danceophobia", congegno perfettamente oliato per le tribù notturne che non hanno tempo da perdere con la filosofia. Dopo i rossori e le ingiurie, arriva la conferma alle parole di Rhodes: "'Paper Gods' riparte da dove avevamo lasciato Timbaland", e infatti il brano sembra quasi una reprise di "Skin Divers", solo più stordente, abbastanza insulso ma trascinante, con la voce recitante di Le Bon che calca con maestria sugli accenti, esaltando la ritmica. Avete paura a lasciarvi andare alle danze? No problem, arriva Lindsay Lohan, proprio lei, nei panni di una dottoressa super sexy, pronta con la giusta medicina. Trovata super-scontata ma non disturbante.
"Sunset Garage" rompe un po' gli equilibri iper-sintetici: rimandi sixties, qualcuno parlerebbe anche di omaggio al Motown sound, alle Supremes, a "You Keep Me Hangin' On". E anche lo spettro sonoro ne risente, con il basso di John Taylor in costante movimento ritmico-melodico. C'è un bel cameo di Jonas Bjerre dei Mew nel bridge di "Change The Skyline": synth sparati, ritmica impaziente, ritornello un po' deludente nel suo essere trascinato, ma il pezzo funziona, anche se viene sfregiato da passaggi di tastiere in cui si fa fatica a riconoscere il classico Rhodes; d'un tratto sembra di ritornare ai tempi della cover della madonnara "Holiday" riletta dal duo MC Miker G & DJ Sven. Anche "Butterfly Girl" si fa un bel viaggio indietro nel tempo: un pop-funky bianchissimo, con controcanti tipici della metà degli anni 80, tutt'altro che eleganti. Frusciante svisa a più non posso e si permette pure di citare lo schizzatissimo Fripp che infilzava la "Fashion" bowiana. Un brano che non dovrebbe passare alla storia. E con una certa sorpresa le cose cominciano a decollare sul serio proprio in coda: "Only In Dreams" inizia onirica, per poi assumere connotati r'n'b, comunque mai smaccatamente americani, con un accompagnamento che fa curiosamente il verso alla misconosciuta "To Whom It May Concern", edita sul classico Wedding Album, per poi aprirsi a uno dei migliori ritornelli della storia leboniana. Decisamente epica, ma non tronfia, è "Universe Alone", corredata da un bel lavoro di Frusciante che imita il primissimo Andy Taylor, quello che amava mascherarsi dal solito Fripp. Finale affidato al suggestivo intervento in dissolvenza del London Youth Choir.
Poi arriva un trittico di canzoni veramente duraniano. Al punto che al criticone sorge il sospetto che possano essere dei brani fuoriusciti dalle session del precedente AYNIN. "Planet Roaring" è pura wave cibernetica, con tanti ringraziamenti al Moroder più hi-energy. Simon scandisce le parole come se fossimo nel 1981, con impostazione vocale autoritaria e declamante, per poi liberarsi in un ritornello esaltante, parecchio bowiano, alla "Loving The Alien". In mezzo, l'assolo della pistola sexy Steve Jones, un tempo vecchio sodale del rockettaro Andy Taylor, che però qui fa il verso al Warren Cuccurullo più distorto e compresso.
"Valentine Stones" parte in quarta come se facesse parte di "Violator" e si concretizza in un refrain corredato da controcanti very wave, di quelli che sembrano provenire da lontano, molto suggestivo nonché nostalgico. Rumori di passi, respiro affannoso e poi parte una batteria che ricorda qualcosa: Roger Taylor riprende il tempo di "Sound Of Thunder" e lo innesta nell'atmosfera sensualmente sonnambula di "Northern Lights", sorta di crossover riuscito tra post-punk e La Roux, con Frusciante sempre più crimsoniano. Un finale a effetto. I tre amici si guardano allo specchio dopo tre settimane di ascolto, sorridono, un velo di amarezza è rimasto, ma prevale una discreta soddisfazione. Affetto e serenità esistenziale hanno fatto la loro parte.
"Paper Gods" è frizzante, diverso dal solito, pur non rinnegando lo stile, non stancante, abbastanza coeso, tutt'altro che avvilente, capace di offrire qualche numero di alta scuola, in generale di regalare dell'intrattenimento non banale. Dopo trentacinque anni di carriera può bastare. O no?
06/10/2015