A un anno da “And That’s Why We Can’t Have Nice Things”, da noi ben recensito (così come accadde per l’apparizione nella compilation “Miniature”), torna il trio laziale, alle prese con i propri personali tappeti dream-pop sui quali le chitarre si adagiano senza mai sentirsi in dovere di affondare pesante a tutti i costi.
Voce femminile e maschile si alternano in composizioni costruite con piglio di chi ha osservato a lungo tutto quanto di buono è accaduto negli anni 90 e, pur non avendoli consapevolmente vissuti, trova le giuste chiavi di volta per trasferire certe modalità ai giorni nostri, senza mai farle apparire stantie.
“Hollow Skin” ci infila subito in quelle atmosfere che sanno di primi Smashing Pumpkins, quelle morbidezze centellinate che - alternate a carri armati di rara potenza - rendevano unici “Gish” e “Siamese Dream”, poi spazio all’alt-rock di “Coherence Riot”, sorretta da un basso pulsante e punteggiata da un ritornello canticchiabile, il tutto pronto a sottolineare la cifra stilistica rappresentata nell’intero lavoro.
“Sonic Tiger”, come ben presagito dal titolo, alza il tasso di aggressività rendendo omaggio alla band di Kim Gordon e Thurston Moore, la più sognante “Woodland Croon” disegna invece oasi oniriche che si insediano sottopelle, in un’alternanza continua di rabbia e dolcezza che colpisce e seduce allo stesso tempo.
A metà disco le sorprese non sono certo terminate: ecco il soave minuto e mezzo di iper-suggestivo acoustic- folk regalato da “Interlude, We Walk”, inatteso spartiacque con la seconda parte, nella quale si posizionano le tre tracce più estese.
E’ qui che si triturano i tripudi elettrici di My Bloody Valentine e Deerhunter, come dire vecchie e nuove emozioni shoegaze pronte a rinnovarsi nel tempo (“Blessed Child”), si spargono citazioni di Yo La Tengo da applausi a scena aperta (“Patched Up”, la vetta dell’album, è lì pronta a farti sanguinare il cuore), si dilatano tempi e modalità nel suggestivo closing di oltre otto minuti che dà il titolo all’intero album.
Trasognati come i Pains At Being Pure At Heart, all’occorrenza efficacemente easy-noisy come solo certi Sonic Youth hanno saputo essere, i Flying Vaginas realizzano uno dei capitoli più importanti della discografia alternativa nazionale di quest’anno.
Accanto a Metz (in campo post-hardcore) e Nothing (in territori shoegaze), dischi come “Beware Of Long Delayed Youth” (sarà per caso un altro omaggio lo “Youth” contenuto nel titolo?) riescono a dimostrare come anche in casa nostra si possano realizzare lavori in grado di sdoganare gli anni 90 nel nuovo millennio, facendo interessare a quei suoni le nuove generazioni. Bravi, bravi, bravi.
12/06/2015