Sono passati quarantadue anni dalla pubblicazione del monumento del
progressive mediterraneo "Palepoli" (1973) e gli Osanna tornano rendendo omaggio al loro album più rappresentativo.
Gli Osanna sono stati tra i maggiori esponenti della stagione del progressive italiano, riuscendo però a differenziarsi più di altri dalla “dittatura” culturale del mondo anglofono. Con il loro
sound etnico-mediterraneo hanno rappresentato - con estrema autorevolezza - il meglio del nuova musica pop che nella prima metà degli anni Settanta si era sviluppata in Campania.
Oltre a costituire il vertice della variegata scena partenopea - composta dal
Balletto di Bronzo, da
Alan Sorrenti e dai Cervello - hanno avuto l'indiscusso merito di avere creato un modo "altro" di intendere il rock sinfonico o progressivo italiano, molto spesso derivativo da gruppi come
Genesis,
Elp,
King Crimson o
Gentle Giant. Pur essendo stati giustamente accostati a formazioni come
Pfm o
Banco del Mutuo Soccorso, se ne sono sempre differenziati per il loro connubio di sonorità mediterranee, per la loro napoletanità e la loro teatralità; riassumendo, sono divenuti unici e riconoscibili e Palepoli è stato, rispetto ai loro principali album – "L'uomo" (1971) e "Milano Calibro 9" (1972) – il più originale. Questa unicità era anche percepibile nei loro concerti, splendida unione di musica e rappresentazione teatrale che, con mimi e attori, ha rappresentato una pagina unica della scena
underground italiana.
Uno degli aspetti fondamentali degli Osanna è stato anche quello di riuscire a coniugare innovazione e tradizione; la musica era moderna e risentiva in particolare della lezione di
Robert Fripp, ma i testi parlavano di un ritorno ai vecchi valori esistenti in un'antica città immaginaria, Palepoli appunto, dove l’amicizia, l’uguaglianza e il rispetto per gli altri non si erano perduti come invece era successo nelle città moderne.
Palepoli era la descrizione della Napoli ancora gelosamente legata ai suoi valori tradizionali, quella Napoli che resisteva orgogliosa alla modernità, fiera di essere la città meno europea d'Europa e la meno occidentale dell'Occidente. Dopo ben quarantadue anni, Palepoli diventa "Palepolitana", atto di puro amore verso una città troppo spesso umiliata e offesa da pregiudizi e luoghi comuni.
Per realizzare questo ambizioso progetto, Lino Varietti ha a disposizione, oltre alla sua classica formazione (Gennaro Barba, Nello D’Anna, Pako Capobianco, Sasà Priore, Irvin Vairetti), collaborazioni di primo livello che vanno dalla voce cristallina di Sophya Baccini al leggendario David Jackson dei
Van Der Graaf Generator, a Gianni Leone, Jenny Sorrenti e
Corrado Rustici.
Era difficile, forse addirittura impossibile, reggere il confronto col colosso "Palepoli"; la scelta è stata quindi quella di cambiare totalmente pagina. Le due lunghe suite sperimentali - "Oro Caldo" e "Animale Senza Respiro" - lasciano spazio a ben dodici brani, nessuno dei quali supera i quattro minuti. I pezzi sono brevi esplorazioni di vari generi popolari che vanno dalla tarantella rivista in versione prog di "Michelemmà" al commovente inno d'amore per Napoli di "Santa Lucia", al folk partenopeo di "Fenesta Vascia", al rock di "Ciao Napoli", alle composizioni più melodiche come "Canzone Amara" – magistralmente interpretata da Sophya Baccini - "Anni di Piombo" e "Made In Japan", mentre "Palepolitana" è il brano che, con i suoi riff taglienti, riprende maggiormente il precedente "Palepoli".
Non mancano due brevi strumentali, "Letizia", suonata da Pako Capobianco alla chitarra, e "Anto Train", interpretata da Sasà Priore al piano. "Palepolitana" si chiude con la commovente "Profugo", libera interpretazione di una poesia di grande attualità del poeta palestinese Mahmoud Darwish, cantata da Irvin Varietti, figlio di Lino.
Gli anni sono passati per Vairetti, la sua musica e la sua Napoli non sono più le stesse del 1973; quello che non cambia e non cambierà mai è l'amore sincero per la sua città e la sua nobile storia.
16/10/2015