Chi lo conosce bene sa che Paul Simon è fatto così: si prende tutto il tempo di cui ha bisogno, interrompe lunghi silenzi con un'antologia (singole o doppie, ne sono uscite cinque in sedici anni, una delle quali combina brani solisti e classici incisi con Art Garfunkel) per ricordare al pubblico chi è stato e soprattutto che è al lavoro ancora una volta, e dà alle stampe dischi in cui osa, rischia, gioca, sperimenta, diverte e si diverte, confonde, spiazza e affascina. Mai pago, mai domo, dopo l'exploit di "Graceland" e del successivo "The Rhythm Of The Saints" (disco eccellente, sebbene meno ricordato dai più rispetto all'ingombrante predecessore) ha ceduto persino al fascino di Broadway e si è tolto lo sfizio di dar vita - a quattro mani con il premio Nobel Sir Derek Walcott - al musical "The Capeman", incentrato sulla vita del gangster portoricano Salvador Agron.
Quando ci aspettavamo un altro colpo di testa, Simon è tornato con il ponderato ed elegante "You're The One", ha proseguito il discorso unendo le forze con Brian Eno in "Surprise" e a settant'anni ha consegnato un valido lavoro cantautorale, "So Beautiful Or So What", in equilibrio tra ironia, saggezza e giusto quel po' di romanticismo. E così, mentre Dylan decide se ritirare o meno il Nobel e confeziona un triplo album di cover e Paul McCartney trasporta il catalogo alla Capitol con grande soddisfazione per tramandarlo ai posteri, e mentre il suo ex-sodale Art Garfunkel ritorna in concerto anni dopo una paralisi alle corde vocali per portare di nuovo sul palco gli evergreen di un tempo (sono previste delle date italiane, tra cui quelle di Trieste e Padova), Simon si è chiuso in studio per riscopre la magia dei poliritmi e della world music, non limitandosi a ripercorrere le strade di trent'anni fa ma alzando per l'ennesima volta l'asticella.
C'è anche un italiano, nella lunga lista di musicisti di cui il nostro fa sfoggio e che sono stati cruciali per la realizzazione di "Stranger To Stranger", ed è Cristiano Crisci alias Clap! Clap! (in passato Digi D'Alessio), che si inserisce nel patchwork sonoro lasciando il segno con synth, percussioni elettroniche e sample di ogni specie nella movimentata "Wristband", nell'eccentrica "Street Angel" (con tanto di campionamenti del Golden Gate Quartet) e nella canzone che dà il via all'intero album, ovvero quella "The Werewolf" in cui si dà vita a personaggi che disquisiscono delle effimere gioie del capitalismo con lo stesso sarcasmo in cui, in "The Afterlife", Paul immaginava di fare la fila allo sportello una volta approdato nell'aldilà. "La vita è una lotteria, molta gente perde/ e i vincitori, sogghignanti con gli occhi del colore dei soldi/ mangiano tutte le crocchette, poi ordinano altre patatine fritte". Tanto ricchi e poveri sono tutti mortali, ci viene ricordato alla fine, ma al posto dell'angelo della morte di Hank Williams qui c'è il licantropo, "che morde quando è mezzanotte".
Crisci (occhio, a febbraio esce un lavoro tutto suo) non è da solo: nei tre brani citati - così come in "Proof Of Love" e nella deliziosa "Cool Papa Bell" - c'è Nico Mulhy (Philip Glass, Björk, Antony and the Johnsons...) che arrangia i fiati e gli archi e suona la celesta, senza tralasciare il tripudio di congas, trombadoo, drum machine impazzite e il trio composto da Oscar e Nino de Los Reyes e Sergio Martinez intento a battere le mani e schioccare diligentemente le dita. Un'altra giovane forza di talento che si è aggiunta al parterre è il trombettista CJ Camerieri, che in curriculum vanta dischi con Rufus Wainwright, A Fine Frenzy, Sufjan Stevens e i National, ma nei lunghi credits c'è posto anche per un veterano come Bobby McFerrin, ai cori in "The Insomniac's Lullaby".
Un disco all'insegna del ritmo, questo, ma che non trascura parole e melodia. Paul Simon lo storyteller è ancora tra noi e passaggi come "La strada è ripida, l'aria è sottile. Sento una voce dentro la mia pelle: 'non aver paura, i tuoi giorni non finiranno con la notte. Senti il sole, bevi la pioggia, lascia che il tuo corpo guarisca il suo dolore, fai un bagno sotto una cascata di luce'" (dalla già citata "Proof Of Love"), o ancora: "Il soldato, unico figlio, senza un posto dove correre, nessuno cui rivolgersi, si gira verso la pistola: è una croce, una pietra, un frammento d'osso. Un lungo cammino verso casa" (il suicidio narrato in "The Riverbank") non fanno che testimoniarlo.
Ma c'è qualcos'altro, oltre alla ricchezza di temi e di registri narrativi e alla vivida produzione, che rende unico tutto il lavoro: è lo spettro di Harry Partch, il genio del ventesimo secolo che mise a punto una scala a quarantatré toni e che realizzò strumenti come il Chromelodeon (suonato da David Broome) o le "cloud-chamber bowls", registrati nel laboratorio della Montclair State University nel New Jersey. A settantacinque anni, l'autore di "The Sound Of Silence" proprio non ne vuol sapere - per nostra fortuna - di appendere strumenti e microfono al chiodo né di vivere di rendita.
Finché si è in tempo, è caldamente consigliata la deluxe edition di "Stranger To Stranger" che comprende cinque canzoni aggiunte: il tema della serie "Horace And Pete" (Louis C. K.); interpretazioni dal vivo di "Wristband" e di "Duncan" - un bel recupero dal passato remoto meno inflazionato - impreziosite dall'intervento di Andrew Bird, del mandolinista Chris Tile, di Richard Dworsky (pianoforte e tastiere), Sarah Jarosz (banjo e mandolino) e Ted Moon (batteria); un breve "Guitar Piece" e soprattutto una versione di "New York Is My Home" in coppia con Dion DiMucci.
04/02/2017