C’è un diffuso senso di déjà-vu nel secondo album della seconda vita dei Pixies, quel piacevole sentirsi di nuovo confortevolmente a casa di vecchi amici.
Tutto suona replicando l’atmosfera di un tempo, come se i giorni si fossero fermati sui solchi di “Doolittle”, determinante influenzatore di band (Nirvana in primis) che avrebbero poi riscosso un successo infinitamente più grande di quello degli allora ragazzi di Boston.
Ogni canzone di “Head Carrier” pare costruita per ricordarne una del glorioso passato: percezione rafforzata quando “All I Think About Now” (l’unica traccia cantata e scritta da Paz Lenchantin) si palesa come evidente omaggio portato a “Where Is My Mind?” e alla storica bassista Kim Deal, della quale la Lenchantin (nota per i trascorsi con A Perfect Circle e Zwan) segue ogni linea-guida, specie nella gestione di cori e controcanti.
L’attacco della title track è una scossa adrenalinica, il cantato di Frank Black a sorpresa si approssima al registro di Michael Stipe, e da lì in poi si srotolano dodici pezzi molto più concreti rispetto a quelli contenuti nel debole “Indie Cindy”, l'album che due anni fa sancì il ritorno discografico dei Pixies.
Brutali e rabbiosi in “Baal’s Back” e “Um Chagga Lagga”, amorevoli in “Might As Well Be Gone” e “All The Saints”, ricchissimi di attitudine alt-pop in “Tenement Song” e “Plaster Of Paris”, irresistibilmente solari in “Classic Masher” e “Bel Esprit”, tutto scorre gradevole, sintetico e veloce, senza annoiare mai.
E poco male se i quattro musicisti non riescono a stupire come un tempo: le loro idee oggi non sono più una sorpresa, affermate da venticinque anni come uno standard di riferimento, fagocitate tanto nel circuito alternativo quanto nel mainstream da tutte quelle formazioni che li hanno adottati come riferimento assoluto.
Se vi accontentate di tutto questo, “Head Carrier” sarà per voi un gran bel disco, la concreta celebrazione di ciò che resta del vostro teen spirit più sbarazzino. E l’effetto-nostalgia sarà mitigato dall’apprezzamento per una reunion fra le più riuscite del nuovo millennio.
Per una generazione cresciuta sulle note di “Surfer Rosa” ascoltare queste tracce dopo la visione di un “1991: The Year Punk Broke” o di un “Hype!”, farà indossare a “Head Carrier” le vesti di degno continuatore di un’epoca e di un’estetica, molto più di quanto siano riusciti a fare un qualsiasi “King Animal” o un qualsiasi “Oceania” di turno.
06/10/2016