La tavola è apparecchiata, l'atmosfera è informale e conviviale; si ride, ci si racconta, si condividono le proprie esperienze, si ragiona sulla società contemporanea e sui massimi sistemi. Stasera in casa
Knowles si respira l'odore d'incenso e candele che
Erykah Badu bruciava quando passava le proprie nottate in compagnia dei suoi
artsy friends (ricordate l'eterna "Appletree"?). Ma possiamo immaginare anche la divina Etta James, che apriva le porte di casa ad amici e artisti squattrinati per lanciare sguaiate festicciole a ritmo di
disco music.
La presenza di Solange non è forse totalizzante come le due Signore nominate qui sopra, ma la sua voce oggi ha acquistato una propria profondità, che la trasporta da eterna piccola di famiglia a figura che afferma il proprio pensiero attraverso le situazioni più pluraliste, senza mai snaturare il parere di nessuno - i paralleli con
Janet Jackson, in tal senso, si sprecano.
Si prova quindi immenso piacere nello scorrere tra le chiacchiere che animano il suo terzo album di studio, "A Seat At The Table", grazie a una plètora di coloriti ospiti che cantano, suonano e danno manforte alla gentile ma all'occorrenza pungente padrona di casa. Il risultato è un senso di comunità che scalda il cuore, un lavoro emotivo, politicizzato e fortemente matriarcale allo stesso tempo, ma che non scade mai in retoriche di sorta. Non v'è alcun bisogno di proclamare slogan a effetto o di alzare inutilmente la voce, dal momento che uno dei requisiti principali per stare alla tavola dovrebbe essere quello di saper ascoltare gli altri.
Il disco, infatti, pesca dai grandi numi della musica del passato, con Nina Simone e Minnie Riperton, ma allo stesso tempo tiene l'orecchio teso verso la contemporaneità, tramite l'uso di delicati inserti elettrici e una serie di pensose presenze maschili rubate al mondo dell'hip-hop. Così, questo
neo-soul dalle scarne trame
art, trova forse il parallelo più diretto col recente "
Freetown Sound" del suo collaboratore
Blood Orange, e anche se Solange non ha proprio la scrittura cristallina di quest'ultimo, pezzi come "Cranes In The Sky", "Where Do We Go" e "Mad" sono solluccheri di delicato soul post-moderno. La curiosa base
electro di "Junie", i soffici controcanti in stile
Mariah anni 90 di "Don't Wish Me Well", e i punteggi pianistici dell'iniziale "Rise", invece, mostrano un
songwriting delicato ed evanescente, ma tutt'altro che povero.
Sul lato più comunitario del lavoro, "Borderline (An Ode To Self Care)" conta della presenza di Q-Tip mentre omaggia Aaliyah, mentre dall'altra parte dell'oceano giunge Sampha a prendere parte alla scrittura e produzione di diversi pezzi, il più bello dei quali è sicuramente "Don't You Wait", che conta pure la presenza di altri due talenti anglosassoni:
Kindness e il basso di Olugbenga Adelekan dei
Metronomy.
Su ben tre brani i controcanti in aria gospel sono opera della voce di super-lusso di
Tweet (il che, per l'ambiente di riferimento, è un po' come avere
Madonna in casa a farti la lavatrice). Nell'"Interlude: I Got So Much Magic, You Can Have It", Solange si diverte a cantare nella spazzola di fronte allo specchio assieme a Nila Andrews e l'ex-
Destiny's Child Kelly Rowland, mentre l'altro "Interlude: This Moment" conta, tra gli altri, la presenza dello stesso Blood Orange e della violoncellista Kelsey Lu. Verso il finale,
Kelela dona la sua maliconica voce di burro fuso allo scarno ed evanescente duetto "Scales". Ma c'è pure Tina Knowles, che nel suo "Interlude: Tina Taught Me" si rivolge alla figlia - e di conseguenza all'America intera - col fare pratico, diretto e accorato tipico di una madre. Ovunque si posi l'orecchio, insomma, c'è una piccola storia da ascoltare.
Da notare come "A Seat At The Table" - pubblicato a meno di due mesi dalla fine del secondo termine dell'amministrazione Obama, e col volgare spauracchio nichilista di Donald Trump a gravare sull'umore generale - abbia debuttato direttamente in vetta alla classifica americana. Si tratta di un risultato nel suo piccolo assolutamente non indifferente, vista la matrice del lavoro, e che va ulteriormente celebrato in quanto al suo interno si muovono le molteplici voci di tutte quelle minoranze che compongono - e arricchiscono - la popolazione statunitense.
Solange Knowles, insomma, a questo giro ha fatto canestro; si può rimpiangere la mancanza di un pezzo squisitamente pop come quella "
Losing You" contenuta nel precedente Ep "
True", ma è un sentimento che svanisce col progredire degli ascolti. "A Seat At The Table" è un vero e proprio album d'ascolto, fatto per restare nel tempo come testimone della sua era, e porta con sé già il profumo del mini-classico.
12/10/2016