Nella continua relazione tra l’uomo e le sostanze psicoattive, la musica ha rappresentato una delle forme artistiche più stimolanti, un percorso quasi obbligatorio per i protagonisti della rivoluzione culturale pop-rock, che predicava un allargamento della coscienza, al fine di raggiungere la libertà spirituale. Lo studio sistematico degli effetti delle droghe ha evidenziato la notevole differenza sensoriale che il soggetto prova tra la prima esperienza e le successive, tese inevitabilmente a rivivere l’eccitazione del primo impatto, ma destinate a fallire, per poi inghiottire il soggetto in un vortice privo di una via d’uscita.
Come le sostanze psichedeliche, anche la musica ha delle materie prime e basilari, dalle quali si sviluppa un tracciato sonoro comune, che spinge gli artisti all’utilizzo di canoni similari, per dar vita a forme d’arte apparentemente diverse. Ripercorrendo sentieri già vissuti, i protagonisti del revival psichedelico, inseguono quella primigenia sensazione d’euforia, nel tentativo di restituire all’ascoltatore quell'enorme massa emotiva del primo impatto con il mondo delle droghe, senza però correre i rischi collaterali causati dall’uso di sostanze psicoattive. Ed è quello che gli Ultimate Paintings stanno realizzando abilmente nella loro evoluzione musicale, che trova in “Dusk” una delle migliori esegesi del recupero mnemonico della grande stagione del rock psichedelico americano e inglese.
La formula omaggia ancora una volta i Velvet Underground, e in particolare quel perfetto equilibrio tra note di basso e minimalismo chitarristico dagli effetti ipnotici, tipico del terzo album di Reed & company. La band introduce strutture pop meno affini ai Beatles e più vicine alle pulsioni new wave di gruppi come Ride, Teenage Fanclub o Pastels, ripercorrendo in parte la preziosa lezione dei Clientele e dei Real Estate.
Il terzo album di Hoare e Cooper è il più solido e compatto finora realizzato dal duo, tutto scorre con immacolato candore, avvolgendo l’ascoltatore con vellutate ballate psichedeliche. “Dusk” è rinfrescante come la brezza del mattino, conciliante come il tepore del camino, un album di cui diventa difficile fare a meno.
Il monocromatismo della copertina sottolinea l’atmosfera dell’album, un pop psichedelico virato seppia dalle molteplici sfumature, tra le cui maglie si notano sfavillanti jangle-pop di rara bellezza, come la mesmerica “Monday Morning, Somewhere Central”, un folk intriso di post-rock e lo-fi, o il malinconico dialogo tra ritmo e armonia di “A Portrait Of Jason”.
Gli Ultimate Painting rinunciano a un suono più immediato in favore di un’omogeneità che rischia di allontanare i fan della prima ora, quest'ultimi stimolati più dalle loro precedenti esperienze coi Mazes (Jack Cooper) e i Veronica Falls (James Hoare).
Il risultato raggiunto da “Dusk” rende merito alle scelte del duo, che tra citazioni dei Beatles (“Lead The Way”), sensuali e malsani echi psych (“Skippool Creek”) e richiami al folk-rock a stelle e strisce (“Who Is Your Next Target?”), mette a segno anche due piccoli gioiellini di rara bellezza. Il primo, “Song For Brian Jones”, dimostra cosa si può creare grazie al magico incrocio di chitarre e voci, un prezioso hit-single che da solo vale il prezzo del disco; stessa intensità lirica per l’altro vertice dell’album, ovvero “Set Me Free”, un languido e lussuoso jangle–pop, che non sfigurerebbe tra le migliori cose dei Byrds.
Si, è vero, nulla di quello che ascolterete in “Dusk” è nuovo o originale, anche se va detto che la materia prima di questo trip psichedelico è la migliore in commercio, ad essa sono stati aggiunti pochi additivi ed elargisce buone vibrazioni, le quali sono gustose a tal punto da farvi chiedere se non stiate ascoltando un vecchio vinile del 1967.
22/10/2016